Ho letto in questi giorni un interessante articolo apparso sulla rivista Contrasti, da anni una delle testate giornalistiche più vive e stimolanti. Che ha sempre dato molta attenzione al mondo del tifo e che stavolta approfondisce lo stato dell’arte del mondo ultras.
Ora, io ultras non sono e rispetto fortemente chi ultras lo è. Per cui riporto quanto l’articolo scrive, non dando giudizi di merito. È bello però che da pezzi di questo genere possa nascere interesse e dibattito fra addetti ai lavori e non.
Guardando ai numeri, si nota, dal 2016/2017, un forte incremento delle presenze di tifosi negli stadi itagliani, addirittura un +40%. Ma al di là dei numeri, l’articolista vede nel mondo ultras “alcuni segni di stanchezza che solo uno sprovveduto vorrebbe ignorare”. Da ribelli a modelli: questa è l’idea che Contrasti intravede nell’oggi delle curve. Inquadrando un movimento stanco, riflessivo, ormai lontano da quelli che erano modelli e persone che fin dagli anni ‘60 fecero partire un flusso che costantemente è arrivato fino ai nostri giorni.
Ok, i tempi sono cambiati. Le curve sono state sfoltite fra daspo, regole cervellotiche, misure repressive. Ed è proprio cambiata la società, ormai incline ad accettare supinamente ogni tipo di vessazione indotta. Ma tutto ciò non può e non deve giustificare un reflusso verso l’omologazione che ha colpito molte curve europee.
Omologazione che inizia dai nomi. Finite le sigle fantasiose e meravigliose degli anni ‘70-‘90, con nomi altisonanti, brigate di diverso colore, fosse, collettivi, commandos, ecc, oggi si è andati verso la standardizzazione di nome della città + anno di fondazione + sigla Ultras o poco più. Il dissenso si è molto perso, sia nelle forme estetiche che nelle battaglie politiche (ormai pressoché nulle). Gli striscioni ed i cori si ripetono in loop con qualche variante di scarso rilievo. I vestiti sono rigorosamente uguali e neri, seguendo una moda nordeuropea. Insomma, dice l’articolo, siamo ormai in presenza di una standardizzazione del diverso, o almeno di ciò che nell’immaginario collettivo solo pochi anni fa era considerato diverso.
Pensare ad un ritorno al passato è utopistico e nostalgico. Ma non è scorretto sostenere il tifo controcorrente, lo stadio come luogo vivo ed aggregativo, in cui non si scambi passione con spettacolo, vita con intrattenimento, ribellione per posa.

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