Domenica 29 ottobre, Roma, Circo Massimo, ore 21,00 (in punto): David Gilmour mi appare, una sorta di visione onirica e medianica. Io, umile essere umano, sono davanti a Dio.
No cari lettori, non esagero. Per me Gilmour è Dio. Il Dio della chitarra, se volete ridurlo così, ma sempre di Dio si tratta.
Non avevo mai avuto l'occasione di vederlo e sentirlo dal vivo; dovevo farlo otto anni fa, ma per una serie di ragioni non avevo potuto. Ho seguito tuttavia da sempre la sua carriera professionale, in ultimo in solitaria e inizialmente come uno dei Pink Floyd.
Ecco, ognuno di noi, nella nostra vita, si è imbattuto in questo gruppo, che poi gruppo è termine riduttivo assai. Io ho il netto ricordo dei miei 14 anni, quarta ginnasio. Alle feste, spesso svolte di nascosto nelle case di genitori assenti, al liceo girava una cassetta con un meraviglioso mix di rock anni '60 e '70: chissà chi l'aveva assemblata... Le canzoni erano abbastanza allegre, a parte qualcuna che serviva per tentare i primi timidi e fantozziani approcci all'altro sesso, attività che non mi ha mai trovato particolarmente brillante. Ebbene, la canzone giusta era piazzata in mezzo e parecchi di noi avevano memorizzato la sua localizzazione: "I wish you were here" era il pezzo. E io con questa canzone ci sono cresciuto ed ho visto ballare per tanti anni amici come pali di scopa, fino a che un giorno non toccò anche a me.
I Pink Floyd al liceo erano uno di quei gruppi che si doveva ascoltare, per tenere conversazioni di alto livello sulla musica che già a tanti ragazzi garbava molto, per cui per me fu naturale approfondire il genio di Syd o il progressive rock che tanto mi gustava, insieme alla adorata elettronica. Fino a che, nel 1987 tutto il liceo stette per mesi a parlare del nuovo album del gruppo senza Waters. Ma questa è un'altra storia.
Quindi, come tanti dei miei coetanei, la musica dei Pink Floyd la ho nel cuore e nella testa. Con una anomalia. Personalmente non amo la chitarra, sia classica che elettrica. Però Gilmour... Non so spiegarvelo, ma mi emoziona. Di una emozione che toglie il fiato, annebbia la testa.
Negli ultimi anni Gilmour, ormai oltre settantenne, ha ancor più accentuato quel senso di nostalgia e malinconia che pervade tutti noi, uomini che abbiamo girato la boa della vita, in attesa dell'estremo saluto. Ed inutile fare i supergiovani, i gradassi o i menefreghisti: questo senso incombente della fine esiste. Almeno, esiste in me. Oddio, lo avevo già a 18 anni a dire il vero, ma ora è tangibile e soprattutto è riscontrabile in ciò che altri fanno. Ebbene, se non si analizza l'ultimo Gilmour con questa lente di ingrandimento, non lo si capisce.
Cosa ne scaturisce a livello artistico? Qualcosa di inspiegabile. Un miscuglio di bravura tecnica mostruosa, ricordi che affiorano nei cassetti della memoria, lacrime che scendono copiose, elementi che si smuovono dentro l'anima, note dolci e tristissime, parole che rammentano gioventù, stati d'animo, compagnie che non ci sono più. Il tutto narrato da Dio. Un Dio bellissimo, imponente e fragilissimo al tempo stesso, dentro un corpo di un 78enne che non tiene più le note alte e che canta con la voce fioca degli anziani che trovi sulle panchine nelle mattinate di febbraio. Insomma, un concerto della vita e della morte, la celebrazione simultanea delle due facce della nostra esistenza, mentre le canzoni famose si avvicendano fra i singhiozzi del pubblico, in un composto stile inglese, in rispetto di chi per tanti anni ci ha permesso di sognare ed amare col suono di uno strumento che riesce a piangere, ridere, provare sofferenza o soddisfazione.
L'erba era più verde
La luce più brillante
Il gusto più dolce
Circondati da amici
Le notti di meraviglia
La lucente nebbia mattutina
L'acqua corrente
Il fiume senza fine
Per sempre e sempre
Grazie David, grazie per tutto.
Peró lui è a favore dei vaccini e si è sparato cinque dosi di Astrazeneca.
RispondiEliminaSo contento per lui. Direi che nulla aggiunge a quanto da me scritto. Al-Mutanabbi
EliminaNon stai bene. Davvero
Elimina“IL DIVINO”
RispondiEliminahttps://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2024/10/04/news/david_gilmour_roger_waters_polemica_pink_floyd-423535277/
Il testo riportato alla fine del post, mi ha risvegliato un ricordo bellissimo, risalente ai primi anni '90...quando sono stato "folgorato" da questa canzone meravigliosa, corredata da un video sublime che al tempo ricercavo avidamente su VideoMusic.
RispondiEliminaNon sono un fan dei Pink Floyd, ma questo pezzo da allora mi ha sempre accompagnato.
High Hopes...una allegoria della vita raccontata con parole e musica, cadenzata da una campana che divide ma che al tempo stesso (forse) ci rassicura mantenendo vivo il ricordo di un passato bello e autentico...
Capitan Harlock
(Antonio Peruzzi)
È proprio così. Considera che dovrà essere la canzone del mio funerale… Al-Mutanabbi
EliminaAllegria come piovesse…
EliminaVabbè, per divertirsi ce ne so tanti... Giovanotti, Elodie (col culo di fuori), ecc. Al-Mutanabbi
EliminaNo no no, non mi fraintendere. Non mi riferivo alla musica o al concerto. Il mio commento era riferito alla frase 'considera che dovrà essere la canzone del mio funerale'.
EliminaEh lo so, prima o poi pare che capiti per tutti… Al-Mutanabbi
EliminaPropenderei per il poi.
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