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giovedì 1 aprile 2021

Dal discorso del capitalista al discorso del medico: del discorso del capitalista

Secondo appuntamento con il saggio di Folagra. Oggi si parla della dimensione che (forse) fu, quella del capitalista. E si parla del discorso del capitalista, sul quale è (era?) improntato un mondo ed un sistema di vita. Un mondo basato sull'imperativo del godimento, egotico e compulsivo, incurante del contesto e del futuro, financo immediato. Ebbene, proprio questa figura dominante, in un batter d'occhio, è stata vittima di un impressionante attacco arrivato dall'ipotetico nuovo padrone del neo-sistema, che si sta stagliando in questa fase di transizione.


È giunto ora il momento di definire quali siano le due grandezze paradigmatiche attraverso cui sta svolgendosi questo stato di transizione. 

La grandezza di partenza è più semplice da individuare perché è un paradigma che ormai da decenni si trova alla base di un’immagine del mondo che ben conosciamo, che avevamo dato a lungo per scontata, ma che nella realtà dei fatti sta sbiadendo a enorme velocità. Per visualizzare la grandezza d’approdo, il nuovo paradigma, occorre invece uno sforzo intuitivo maggiore e più rischioso perché, come è facilmente comprensibile, si tratta di una grandezza in formazione, non ancora istituita pienamente e dunque in gran parte da immaginare. 

Ebbene, per definire quel paradigma di partenza, quell’immagine del mondo che ci era estremamente familiare ma che dopo un anno di emergenza sta appunto offuscandosi, ci è parso giusto utilizzare una famosa formula coniata da Jacques Lacan alla fine degli anni Settanta, il cosiddetto discorso del capitalista. Il discorso del capitalista, secondo Lacan, è quello che detta regole e prescrizioni al mondo occidentale nella fase tarda del capitalismo e, se volessimo storicizzarlo, potremmo dire che ha funzionato, senza significativi cedimenti, almeno dagli anni Settanta del Novecento fino ai giorni della pandemia. Se il cosiddetto discorso del padrone tipico del capitalismo borghese del primo Novecento si basava sul culto del lavoro e dell’accumulo di beni, nonché sulla sospensione del godimento nel presente in previsione del soddisfacimento futuro del desiderio, trovando in fondo una sua espressione calzante nel super io morale e repressivo di Freud, il discorso del capitalista si muove nella direzione diametralmente opposta: è così ansioso, al contrario, di godere in modo immediato e compulsivo dei beni a disposizione nel presente da non permettere neppure la formazione del desiderio. A questo proposito, Massimo Recalcati ha affermato che il super io del discorso del capitalista, pensato da Lacan, espone la spinta o l’imperativo al godimento come un vero e proprio comandamento sociale (“Non rinviare, godi!” Specularmente opposto al noto adagio dei nostri nonni “Prima il dovere poi il piacere!”) ed impone di anestetizzare ad ogni costo la mancanza da cui nasce il desiderio, saturandola con oggetti e dipendenze di vario genere. È in questo modo che la formazione del desiderio diventa impossibile a causa della fretta sociale che impone di vivere la mancanza come frustrazione intollerabile e di godere al più presto e in ogni modo possibile. Si ha, insomma, così fretta di evitare la frustrazione e di godere delle cose da non volere perdere tempo a costituire quel senso di mancanza interiore necessario per desiderarle. Tanto il super io Freudiano reprimeva, rinviava o imponeva di sublimare il godimento, così il super io del capitalista fa pressione sul soggetto affinché goda senza perdere tempo e senza rinvii, senza sacrificarsi in vista dell’ipotetica realizzazione di un desiderio futuro. Ovviamente, anche il discorso del capitalista si è da sempre costituito come un attentato al patto sociale, perché inneggiante all’individualismo, all’egoismo, ad un godimento strettamente personale; ma era davvero facile individuarlo e criticarlo, come detto in precedenza, giacché rappresentava un bersaglio permanente e facilmente inquadrabile da parte dei centri di costituzione e mediazione della cultura e dell’etica ufficiali (la retorica politica, il sistema dell’istruzione, l’industria dell’arte liberale e progressista, la Chiesa). Sul piano sociale e antropologico, questa pressione si è incarnata perfettamente nel consumatore individualista tipico della società globale, incapace di rinunciare al o di rinviare il proprio godimento, insensibile ai sacrifici o a qualsiasi altro richiamo di carattere etico e morale. Vivendo di dipendenze radicate nel presente e rifiutando la dimensione del soddisfacimento futuro, non a caso è stato uno di quei soggetti che ha sofferto maggiormente delle restrizioni imposte nel corso dell’ultimo anno e che è stato preso, come è noto, a bersaglio del risentimento sociale (i consumatori di aperitivi, gli edonisti da palestra o da shopping, i frequentatori assidui dei ristoranti, delle discoteche o dei locali notturni, i giovani viaggiatori, persino gli sportivi o i consumatori dell’industria culturale ecc., tutto ciò insomma che è stato definito “inessenziale”). Proprio il risentimento sociale intenso e feroce, andato ben oltre ogni ragionevolezza o evidenza empirico-scientifica, che si è abbattuto su questa categoria prima così scontata e necessaria ai meccanismi su cui si reggevano la società e l’economia, rappresenta uno degli indizi, delle tracce più probanti di quella transizione enunciata in precedenza e che solo in apparenza può essere definita emergenziale. Da un giorno all’altro, con una velocità mai vista, un tipo umano tanto consueto da risultare senza alternative credibili nel nostro paesaggio antropologico e sociale è stato oggetto di un attacco inaudito, è stato denaturalizzato e disumanizzato, ha subito la più infamante delle gogne e delle esposizioni mediatiche fino ad essere individuato come il nemico principale. I suoi persecutori sono stati gli esponenti di una nuova ed emergente forma di “socialità consapevole”, o per meglio dire di “asocialità consapevole”, anch’essa per l’appunto senza alternative credibili, imposta a partire da quei metodi che una corporazione di competenti ha ritenuto opportuno adottare per frenare il contagio. 

Insomma un altro discorso si è fatto prepotentemente largo ed è entrato in conflitto, fino a metterlo all’angolo in un batter d’occhio, con il discorso e il super io del capitalista, dominante da quasi mezzo secolo. A dire il vero, non esiste ancora una definizione precisa, magari desunta da qualche interpretazione autorevole, in grado di nominare questo nuovo discorso o paradigma o grandezza, già virtualmente contenuto e annunciato nello stato di transizione, anche perché, tengo a precisare, si tratta di un discorso in via di formazione, quindi ancora evitabile proprio perché non del tutto naturalizzato. Propongo di definirlo discorso del medico, usando il termine medico come una metonimia utile a individuare non tanto una categoria professionale precisa, ma quell’intero apparato di specialisti, competenti, membri della comunità scientifica, membri dell’esecutivo, comunicatori (per cui sarebbe stato indifferente usare, ad esempio, il termine specialista, competente, virologo, epidemiologo ecc. ecc.), che da oltre un anno, spacciando delle ipotesi scientifiche per certezze o scenari senza alternative, ha iniziato a dettare al mondo nuove e rigorosissime regole e prescrizioni di separazione sociale.



Marco Bianciardi (Folagra)

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