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venerdì 7 aprile 2017

Il niente rivestito

…avrei bisogno di sfogarmi e non so più nemmeno piangere…
Mattina: nel naso l’odore speziato del caffè, nell’aria il puzzo acre di un vecchio motore diesel. Fermi al semaforo, aspettiamo in silenzio il nostro turno, distratti dall’immagine di una modella in intimo ritratta in un manifesto, mentre grandi mongolfiere tracciano nel cielo traiettorie indefinite. Arrivano, ci guardano e se ne vanno. Palloni colorati appesi con fili invisibili alle dita di un bambino, che osservandoli da dentro l’auto del nonno, grida: "Guarda!". Palloni colorati gonfi di aria calda: un niente rivestito. Come la Robur, i suoi giocatori, il suo allenatore, la sua società.
Pomeriggio: il campionato di calcio della seconda Lega Pro dopo Mezzaroma sfila via lentamente, silenzioso come una mongolfiera e incolore come un film in bianco e nero. Minuto dopo minuto, finisce anche questa giornata. Soddisfazioni col contagocce e felicità in dose omeopatica. La vita calcistica 2.0 del terzo millennio è avara di momenti spensierati. Contenuti mediocri, trame scarne e dettagli insignificanti. Pareggiamo al 95° a Tuttocuoio – che non è un posto preciso, ma un'idea vaga di sofferenza, come l’inferno, il deserto e la solitudine – ed esultiamo come al goal di Maccarone alla Fiorentina. Il niente rivestito ancorato dentro di noi si espande in fretta e lottando centimetro su centimetro sbuffa, annaspa e cresce a dismisura, fino ad arrivare ad inghiottire ricordi, certezze e speranze.
Notte: la giornata finisce e le luci artificiali sostituiscono il sole. Le mongolfiere sono finalmente tornate sulla terra e in cielo del loro passaggio non vi è rimasta più traccia. Il cancello dello stadio è di nuovo chiuso. Sotto la tribuna coperta, gli spogliatoi profumano di olio canforato e bagno schiuma. Dalla finestra aperta entra un refolo di aria fresca mentre il figlio del custode tira un calcio ad un rotolo di nastro adesivo e corre a braccia alzate fra bottiglie di plastica vuota e gomitoli di salva pelle usato. Passando in fronte allo specchio dei bagni si sofferma un secondo ad osservare la sua immagine riflessa, prima di scappare via lontano e non pensare più a niente.
Tornando verso casa, è momento di bilanci. Nella bisaccia un misero punto amaro pesa come un macigno. Viaggiando contromano verso il futuro, lasciamo che l’ignavia ci corroda, relegandoci in un pezzo di vita anonima, grigia e malinconica, che a volte si mostra indolente ed altre vile. Vorremmo alzare la voce ma non sappiamo farlo. Vorremmo sbattere il pugno sul tavolo ma non possiamo farlo. Vorremmo, vorremmo, vorremmo… Vorremmo fare tante cose, ma non ne facciamo mai nessuna. E le voci di quell’elenco non vengono mai cancellate. Ci disturba l’arroganza (capito presidente?) e ci infastidisce l’arrendevolezza. Ostentiamo umiltà, mascherando i dubbi e nascondendo i difetti, come se celarli alla vista degli altri fosse sufficiente a guarirli.
Il vuoto rivestito oramai si è fatto sostanza e adesso cammina accanto a noi. Ci osserva, ci giudica e forse ci fa compagnia. Il sospetto di assistere a giorni inutili diventa sempre più pressante con il passare dei minuti. E la paura di buttar via il tempo, da prima labile e sfuggente, comincia a martellare in testa ad ogni curva, costringendoci ad abbassare lo sguardo ed a strusciare i piedi come se fossimo… come si dice? Imbarazzati. Ecco, questo è il termine giusto per descrivere la sensazione provata alla fine di ogni partita del Siena. Imbarazzati e vuoti. Come un collega che racconta una barzelletta che non farà ridere nessuno o come un ragazzo e una ragazza alle prese con il loro primo amore, mentre in silenzio raccolgono i vestiti sparsi sul pavimento, senza guardarsi negli occhi, con le labbra arrossate dai baci e il cuore che piano piano rallenta. Vorrebbero parlarsi e dirsi cose che non dimenticheranno mai, ma finiscono per aprire bocca contemporaneamente e scoppiano a ridere, immersi in un’euforia casuale. Esattamente come la testata di Marotta, in una vita parallela a quella dei ragazzi, ma così reale che sembra vera. Come quei sogni che ogni tanto facciamo, che non sappiamo mai se sono veri o finti e che al mattino si aggrappano alla nostra mente e per tutto il giorno ci lasciano turbati. Incapaci di dimenticarli.

E così, i due ragazzi, ignari del niente rivestito che li attende dietro l’angolo della vita, camminano mano nella mano, in silenzio, Attorno a loro, gente grande parla di calcio. "Il Siena ha pareggiato all’ultimo minuto oggi, ha segnato Marotta", sentono dire da un signore rubizzo alto poco più di un colonnino. "E sabato rigioca in casa col Renate", aggiunge il suo compare. I due giovani proseguono, sorridendo. La ragazza chiede: "Chi è Marotta?", il ragazzo le cinge la vita e la spinge contro un muro. Avrebbero mille posti da visitare. Ed invece se ne stanno immobili in un corridoio di un parcheggio multipiano sotterraneo. Il soffitto basso è attraversato da grosse tubature rossicce. Il ragazzo abbandona per un secondo il confortevole abbraccio della sua amata e con un balzo si aggrappa ad un grosso tubo di metallo, lasciandosi penzolare per qualche istante. La giovane donna scuote la testa. Un tizio di passaggio borbotta qualcosa, sospeso a metà tra il disappunto e l’invidia. Le telecamere a circuito riprendono la scena. E quell’immagine rinchiusa in qualche hard disk sarà l’ultimo frammento del loro amore. Tornando con i piedi per terra, come le mongolfiere a fine giornata, il ragazzo si guarda le dita e scoppia in una fragorosa risata: la pelle bianca del palmo appare completamente ricoperta da uno spesso strato di polvere nera, mentre sulle tubature le impronte di due mani spiccano come luci nel buio. Nella sua innocente incoscienza, non sa che in futuro, per ogni giorno della sua vita, passando da quelle parti cercherà con lo sguardo il segno dell’ombra delle sue mani ricalcato sul tubo, finchè il tempo o una ditta di manutenzione non lo cancellerà. Perché quelle dieci dita chiare immerse nel nero, saranno tutto ciò che di lei gli rimane. E lentamente comincerà a conoscere il suo "niente rivestito".

Tuttocuio – Siena: 1 a 1. Nonostante alcuni momenti di ordinaria follia, portiamo via un punto facendo a schiaffi un po’ con tutti. Fra schianti e zampate, dopo aver fatto perdere la pazienza al nostro presidente, riusciamo nell’impresa di farla perdere anche al loro. Che a guardarlo bene pare un incrocio ibrido tra Bepop delle Tartarughe Ninja e Slimer dei Ghostbusters. E tutto sommato, va bene così!

Siena – Renate: se un novello Tony d’Amato approdasse da queste parti per allenare la Robur, mi farebbe tanto piacere che ai suoi giocatori ricordasse che col Renate è una partita fondamentale per vivere in pace. E magari potrebbe dir loro: "O noi risorgiamo come collettivo, oppure vi prendo a zampate individualmente! È la Lega Pro ragazzi. È tutto qui". Ma poi penso a Scazzola e mi passa la poesia.

Tutti insieme uniti avanzeremo!


Mirko

4 commenti:

  1. Mirko,spero vivamente che tu abbia conservato TUTTI i tuoi meravigliosi racconti e che tu possa/voglia pubblicarli perché,a parer mio e non solo,sono delle perle rare in un mare di merda quotidiana.

    Con immensa stima,

    Cuorenero.

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  2. Si sono racconti molto belli...direi un neorealismo vintage, se mi è consentito l'accostamento,..comunque un po' di speranza per il futuro e un blando ottimismo puo' aiutare..

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