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mercoledì 26 ottobre 2016

La danza del bradipo

Mentre il fine settimana sfuma lentamente dentro ai colori caldi di un “autunno torrido”, fuori dallo stadio gli uomini parlano animatamente gesticolando con le mani e le ragazze si salutano con un bacio sulla guancia.
Siena, domenica sera, ora dell’aperitivo: la partita della Robur nuoce allo spritz!
Nemmeno il tempo di mettere piede in curva che l’arbitro fischia l’inizio. Insieme al mio “medio” accompagnatore adolescente – medio, perché “piccolo” si addice ad un bambino e “grande” ad un adulto e lui non è ne l’uno ne l’altro – notiamo con disappunto che i nostri posti sono occupati da una meravigliosa coppia nonna/nipote. Scrivo ciò pur non avendo il conforto della certezza, ma essendoci forse 65 anni di differenza tra l’uno e l’altro non credo di sbagliarmi di molto. Riprendiamo a giocare al calcio dopo la sbornia di domenica scorsa ed il timore di non essere riusciti ancora a smaltirne le scorie alberga in fondo all’anima. Da buon padre di famiglia domando al mio erede maschio dove sia il suo giacchetto, ma ancor prima di ascoltare la risposta mi sento terribilmente vecchio. La partita comincia ma sarebbe stato meglio se l’arbitro non avesse fischiato.

Il Piacenza parte forte (o la Robur parte piano piano o forse non parte per niente) e totalizza 4 calci d’angolo nei primi 4 minuti; che per gli amanti della matematica e delle statistiche fanno 1 corner al minuto. Media destinata a scendere a 1 angolo ogni 2 minuti quando le lancette dell’orologio raggiungeranno il minuto 10. E ci scappa anche il tempo per un paio di traverse. La gente mugugna e sbraita. Peccato perché la vittoria col Livorno avrebbe riportato un po’ di folla al Rastrello ed effettivamente si sta tutti un pochino più stretti. Al Piacenza riesce tutto quello che non riesce al Siena. I rossi ci schiacciano dentro la nostra area di rigore (ma solo perché non è possibile andare a difendere in curva o nella scarpata del Jolly) come farebbe il Barcellona con il Ponte d’Arbia (con tutto il rispetto per i primi ma soprattutto per i secondi). Gli ospiti paiono indiavolati ed azzannano i bianconeri, lenti nelle chiusure ed impacciati nelle ripartenze. La continua e scellerata ostinazione con la quale quest’ultimi saltano il centrocampo fa sembrare la Robur una squadra di calcio a 7 che tenta di alleggerire il peso degli avversari spedendo la palla il più lontano possibile, con la speranza che la punta (da sola e spalle alla porta) inventi qualcosa. Anche perché i nostri centrocampisti non sembrano particolarmente ispirati. Anzi, nella settimana in cui è stata celebrata la giornata mondiale del bradipo (vero, controllate pure!) sembrano ben contenti di partecipare alle celebrazioni, alternando cose brutte ad altre bruttissime e lasciando sulla bocca di tutti gli spettatori presenti decine di aggettivi non qui ripetibili per rispetto alla sensibilità delle lettrici. Viviamo i primi minuti nell’attesa – forse speranza – di prendere goal. Ed è una sensazione veramente fastidiosa!
Goal che puntualmente arriva grazie ad un’azione che mister Colella dovrebbe studiare bene e ripetere allo sfinimento ai suoi giocatori. Lancio, scatto sul fondo, scarico indietro, cross e 1 a 0. A volte il calcio è un gioco semplice. A segnare è un tizio con i capelli lunghi. Il nonno davanti a me, seduto nel MIO posto, sale prepotentemente in cattedra ed il dramma diventa commedia.
Nell'attimo che intercorre tra il goal e l’abbraccio, mentre il marcatore capellone con il 7 sulle spalle giustamente esulta, il nostro attempato eroe si gira verso di me ed esclama: "Ecco, c’ha fatto goal anche Titone. Guarda come esulta questo sudiciume!".
Lo guardo con la stesso affetto con il quale un nipote osserva il nonno e cercando di nascondere un sorriso cerco di tranquillizzarlo: "Non è Titone. È un altro. Lui è in panchina!".
Il vecchietto (mi perdoni ma diversamente giovane suona peggio) mi osserva perplesso e indicando l’imponente figura del mister del Siena mi fa: "Ma come si fa, via via. E poi guarda quant’è grosso l’allenatore. E non è manco arrivato ai ricciarelli!".
Una lacrima salata mi riga la guancia destra per poi spegnersi sulle labbra.
La partita riprende, ma il Piacenza pare sazio e smette di spingere con la foga iniziale. Al 45° le squadre tornano negli spogliatoi.
Nel silenzio surreale di una domenica che sta per finire, gli altoparlanti iniziano a diffondere una canzone conosciuta e piuttosto scontata di Jovanotti mentre sul maxischermo, ultimo feticcio dei fasti gloriosi della Serie A, cominciano a scorrere le immagini lontane di un tempo felice. Fermo restando che mi piaceva più “A Mano a Mano” di Rino Gaetano, arrivo alla fine del filmato con la speranza di veder comparire (anche per qualche secondo) il fotogramma di un paio di baffi grigi che saltano sotto la curva. Niente, anche questa proprietà ha perso un’occasione.
A metà intervallo, Mario Titone (quello vero), si avvicina alla gradinata per ricevere una panierata di applausi. Il nonno si desta dal suo tepore e riprende ad inveirgli contro: "Sieeee! Battetegli anche le mani ora! Tanto cheddì… S’è comportato bene!".
Allungo un braccio e lo tocco gentilmente sulla spalla destra, il nipote esterrefatto mi guarda divertito: "Non è lui che ha fatto rete. Titone è in panchina! Lo vede si sta scaldando?".
Si volta, mi guarda senza vedermi, con occhi severi ma leggermente acquosi. E tace.
Riprende la partita ma in realtà cambia poco rispetto al primo tempo. Il bradipesco centrocampo bianconero non fa assolutamente nulla per invertire la triste deriva mentre i rossi piacentini disegnano sul terreno di gioco interessanti geometrie (si dice così, no?). Tuttavia, proprio quando tutti si aspettano il colpo del ko (e d’altra parte si sa, il calcio è così, direbbero a Sky), il portiere ospite decide di ravvivare un pomeriggio avaro di emozioni. Arrosto degno di un ristorante stellato e palla nel sacco: 1 a 1. E pensare che doveva stare 4 a 0 per loro.
L’entusiasmo si mischia con l’euforia: fischia la fine vai! Tuttavia l’effetto placebo del pareggio dura quanto un gatto in tangenziale perché il Piacenza segna subito il 2 a 1. E per non saper nel leggere e nè scrivere, ne fa anche un altro, con un giocatore che prima di concludere entra in area saltando i difensori senesi con la stessa agilità di Marc Girardelli dei tempi buoni. Sì, magari c'era un falletto da fischiare...
Partita finita e tutti a casa? Quasi, anche perché la sprezzante superiorità del Piacenza a tratti pare crudele. Tant’è che ad un certo punto mi chiedo: ma se questi giocano così, l’Alessandria come gioca? Nemmeno il tempo di provare a rispondere a questo annoso quesito che mi terrà sveglio tutta la settimana che l’arbitro – come a voler riparare l’errore che ha portato al 3 a 1 – ci fischia un rigore a favore. Mendicino batte in maniera vomitevole e lo scarso portiere emiliano (ma Piacenza è in Lombardia o in Romagna?) para.
Il mio nonno adottivo si volta ed esibendo una dentina immacolata che nemmeno Kukident, mi fa: "Manco se ce la porta con le mani questo segna stasera!".
Ed il match scivola via verso l’oblio di un archivio polveroso. A fine partita un sussulto: Titone (quello vero) corre sotto la curva. Il mio nuovo amico lo osserva attento e poi esclama: "Come il 10? Oh unn’aveva il 7?".
Capisco che è veramente arrivata l’ora di tornare casa: buona notte a tutti!

Siena – Piacenza 2-3: successo viene prima di sudore soltanto nel vocabolario. Punto! Non ce lo dimentichiamo mai!

Tutti insieme uniti avanzeremo!



Mirko

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