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lunedì 11 luglio 2016

Le false rappresentazioni

Forse stimolato dai tre articoli su come vincere le elezioni a Siena, abbiamo il piacere di ospitare un altro intervento del pensatore Folagra, che stavolta ci ragguaglia sulle false rappresentazioni di certa politica.
L'invito alla lettura è feroce!
C’è chi si è sforzato di leggere le recenti vittorie elettorali a Roma e Torino del Movimento 5 Stelle attraverso il filtro di vecchie griglie interpretative, di chiavi di lettura superate ma in fondo rassicuranti. Lo hanno fatto, in modo particolare, D’Alema e Fassino. Entrambi gli anziani leader di centrosinistra, pur partendo da presupposti diversi e soprattutto inseguendo obiettivi diversi, nei loro commenti post elettorali hanno addebitato il successo del Movimento alla convergenza dei voti di due categorie di elettori delusi: i voti dei fuggiaschi dal PD e dal renzismo (questa, in sintesi, la tesi assai interessata di D’Alema sulla sconfitta del PD a Roma: lui stesso aveva affermato di sostenere la Raggi …) oppure quelli di un elettorato di centrodestra non salviniano, ormai privo di punti di riferimento, a cui è rimasto sul piano politico solo il boicottaggio del rivale (questa l’analisi di Fassino sulla sua sconfitta a Torino). 
Entrambe le interpretazioni hanno un tratto in comune, quello di riconfermare e di riprodurre una concezione della politica incapace di uscire dal consueto confronto centrodestra-centrosinistra e decodificabile solo a partire dalle crisi o dai successi, dalle ricomposizioni o dalle scissioni, che riguardano i partiti tradizionali ed i loro “professionisti” della politica, senza mai fare i conti con la decisiva crisi di rappresentanza da cui centro-sinistra e centro-destra sono ormai affetti, indipendentemente dalla loro tenuta interna, dalle loro proposte politiche e di leadership, dai loro restyling più o meno discutibili. Il successo del Cinque Stelle non assume mai, in queste ricostruzioni, una propria positività, una propria autonoma ragione d’essere. Assolutamente no. Vive di luce indiretta e riflessa. Lo si fa vivere solo in funzione del rapporto più o meno controverso che l’elettorato intrattiene in quel momento con le forze politiche tradizionali: quando il voto non premia queste forze politiche, allora non può che essere voto di protesta, indizio di crisi nazionale o di allontanamento della gente dalla politica, boicottaggio stretto parente dell’astensionismo vero e proprio, come se non potesse darsi politica o democrazia oltre il recinto sacro dei partiti e dei politici di professione. Cosa sta dietro a questa volontà di sottrarre vita al Movimento 5 Stelle, di denigrarlo, di togliergli credibilità, rappresentandolo come un semplice incidente di percorso della politica istituzionale che, presto o tardi, non potrà che essere riassorbito? 
Niente di neutro e di disincantato, evidentemente. Piuttosto analisi molto interessate e che esprimono dei precisi orientamenti di potere. La politica dei partiti si nutre ormai di false rappresentazioni che hanno lo scopo di cristallizzare il dibattito, di neutralizzare il nuovo, di rilanciare consuetudini mentali che non servono al paese, ma solo alla legittimazione dei partiti stessi e degli interessi delle loro singole correnti. Diffondere delle false rappresentazioni, anzi, sta diventando sempre più la vera posta in gioco per forze politiche esautorate, autoreferenziali, scollegate non solo dall’elettorato in generale ma persino dalle proprie basi tradizionali (basterebbe pensare, in questo senso, al collasso di iscrizioni che riguarda un partito come il PD, che non si capisce più di chi o di cosa sia espressione …). La falsa rappresentazione, soprattutto se alimentata e diffusa in modo capillare dai media tradizionali, può diventare un’arma politica estremamente insidiosa e persuasiva. Si fonda in sostanza su due procedimenti: a) far apparire un tratto o una costellazione di tratti di un fenomeno analizzato come la sua essenza, la sua unica verità; b) spacciare una positività storica come un’essenza atemporale e valida universalmente, rimuovendo qualsiasi riflessione sulla sua reale genealogia, sulla sua parzialità, sugli interessi ed i poteri che hanno contribuito a costituirla e che sono interessati alla sua perpetuazione. 
Esempi di applicazione del procedimento a)? Presto fatto: a Parma o a Livorno, comuni governati dai Cinque Stelle, sono scoppiati degli scandali? Ebbene, allora vuol dire che il Cinque Stelle, nella sua totalità, è esattamente come gli altri partiti. Riduzione della complessità ad un dettaglio, dunque; enfasi strumentalmente posta sul particolare (grazie anche alla potenza audiovisiva di cui è possibile servirsi a fini persuasivi) a danno della complessità e della novità della proposta totale. Al centrodestra ed al centrosinistra è stato permesso di rovinare, attraverso il governo diretto o l’influenza indiretta, decine e decine di istituzioni pubbliche o private (Stato, Regioni, Province, Comuni, Banche), e nonostante questo se ne vuole tutelare l’esistenza, si ritiene anzi questa esistenza necessaria al mantenimento della democrazia. Al massimo si può richiedere un cambiamento di leadership, si può invocare la presenza di uomini o di donne più degni nella cabina di comando, si può pretendere un avvicendamento generazionale o di genere (più giovani e più donne) nelle posizioni-chiave del partito, mai si arriva però ad ammettere che forse - fisiologicamente e strutturalmente - i partiti, con i loro metodi di reclutamento, le loro gerarchie interne, le loro correnti siano ormai divenuti apparati obsoleti ed autoreferenziali al servizio non si sa bene di chi, e che la figura del politico di professione, dell’uomo di partito in carriera - senza ulteriori meriti o caratteri - debba essere profondamente ripensata e rimessa in discussione, appurati i suoi alti costi economici e sociali in rapporto all’esiguità e relatività dei successi conseguiti sul piano politico a favore della comunità. La purezza e l’immediatezza nella risoluzione dei problemi è richiesta soltanto al Movimento Cinque Stelle. Al suo interno si rappresenta come inammissibile l’errore, la scelta inefficace, l’esperimento fallito. La tecnica di leggere il tutto tramite il dettaglio vale solo per il Movimento Cinque Stelle, cioè per una forza politica che esiste, in modo sperimentale, da meno di tre anni, e non per altri partiti che hanno gestito in modo disastroso le istituzioni per decenni ... Al Cinque Stelle si richiede la bacchetta magica, il tutto e subito, altrimenti è indegno o incompetente, ai partiti tradizionali si concede invece un credito infinito, nel tempo e nello spazio, con l’unica richiesta che ogni tanto, a cicli regolari, si diano una spolverata esteriore. 
Un esempio del procedimento b)? Che non possa esistere democrazia senza partiti ad esempio e, conseguenza di questa asserzione, che l’elettorato Cinque Stelle sia manipolabile ed ignorante, che sia fascista perfino e che vivremo delle irreparabili derive antidemocratiche se riuscirà a prevalere. Dietro affermazioni del genere non si trova ovviamente un amore disinteressato per la democrazia in generale e per la governabilità del paese, ma un interesse molto parziale e circoscritto, peraltro molto ben identificabile, che è quello dei professionisti della politica, delle caste di partito, di chi fonda la propria esistenza, la propria carriera, il proprio reddito persuadendo gli altri di rappresentare un necessario ed insostituibile baluardo contro il caos istituzionale o, peggio ancora, contro il Fascismo. La democrazia è una realtà dinamica, una positività storica che può evolvere nel tempo, non una sorta di essenza trascendente o un dato di natura. Anzi proprio la sua riformabilità, la sua modificabilità ne hanno decretato il successo, rendendola preferibile ad altre forme di governo fisse e non modificabili. Ebbene, nell’era dell’intelligenza e dell’emancipazione generalizzate nonché del generale accrescimento di opportunità di accesso ai repertori della cultura, della storia e della politica, la democrazia potrebbe darsi sul serio attraverso nuove forme, nuovi modi, nuovi attori. La democrazia rappresentativa, fondata su una netta linea di demarcazione e di separazione tra rappresentanti e rappresentati, tra politici di professione e base popolare (spesso concepita ad arte come totalmente ignorante ed inconsapevole, quindi bisognosa di guide), non è l’unica realizzabile, non chiude l’orizzonte dei possibili, non possiede intrinsecamente gli unici tratti in cui una democrazia possa essere riconosciuta e sperimentata. La definizione di democrazia è plasmabile, ricontrattabile soprattutto se le forme ed in modi in cui si organizza al presente risultano inefficaci ed escludenti. La democrazia dei partiti è una positività storica e non un’essenza assoluta ed atemporale. Come tale se non funziona, può essere profondamente modificata o persino rimossa, senza che questo escluda per forza uno stato democratico e di tutela dei diritti, o significhi una ricaduta nel Fascismo. Ormai Fascismo e Memoria dei Partiti dell’Arco Costituzionale sono rappresentati nel nostro paese – soprattutto a livello di vulgata di massa (televisione, giornali, scuola, commemorazioni) - non come prodotti storici, che hanno trovato genealogia, sviluppo, crisi all’interno di circostanze storiche ben definite, ma come entità atemporali, incarnazioni permanenti del Male e del Bene che non possono essere ripensati, che non possono costituire oggetto di meditazione e di riconsiderazione, pena la caduta nel revisionismo o, peggio, nel negazionismo. Esiste invece anche un ripensamento positivo, critico e consapevole, non solo regressivo. 
Ormai il conflitto in politica non è tra centrodestra e centrosinistra, come si ostinano a raccontarci gli storytellers dei media ufficiali, ma tra i pochi che stanno dentro ed i molti, troppi, che stanno fuori. In tutti i campi, dalle banche alla politica, l’idea di delegare ad altri la gestione della propria vita come dei propri risparmi, per fare il primo esempio che può venire in mente, è entrata irrimediabilmente in crisi. E questo per due fattori: per l’incapacità e spesso la disonestà di chi dovrebbe rappresentare e gestire, e per la formazione accelerata di nuove generazioni esperte di nuove tecnologie che hanno un capitale di conoscenze e di capacità di iniziativa ed autonomia superiore alle vecchie. Non ci sarà una rivoluzione, ma una redistribuzione della partecipazione questo senza dubbio sì. Una redistribuzione che sarà certo osteggiata dalle élite della politica - e dai loro omologhi negli altri campi (finanza, cultura, giornalismo, ecc.) - che hanno tutto l’interesse a rappresentarsi come essenziali e necessarie al mantenimento della Costituzione e della Democrazia Italiana, dei valori culturali e delle eccellenze in ogni settore, ma che in realtà lavorano al mantenimento di quelle strutture e di quelle chiusure esistenti in grado di giustificare e di alimentare il loro potere particolaristico di carattere simbolico, politico ed economico. Sono élite che non cesseranno di rappresentare, attraverso la potenza di fuoco dei loro strumenti, coloro che stanno fuori e che premono per “partecipare” come indegni, inadatti, impreparati; élite che non smetteranno di sottrarre alla persone i tratti della loro individualità e della loro complessità, riducendoli agli abusati e scontati stereotipi della massa indifferenziata ed alienata. Niente analisi, ma manifestazione di potere che si spaccia per analisi. 
A Torino l’obiettivo polemico è stato innanzitutto un principio: un blocco di cento persone non può governare in eterno una comunità, persino se lo fa bene o benino. A Siena occorrerà una lunga durata, ci sono più resistenze di mentalità, ordine corporativo, conservatorismo mitopoietico, ci vorrà più tempo, certo, ma anche qui una redistribuzione della partecipazione non potrà che realizzarsi. 
L’alternativa è il caos o l’entropia. 

Folagra

1 commento:

  1. Dato che in itaglia solo le nuove generazioni hanno accesso alla rete, stampate e legga telo con i vostri babbi e vostri nonni......
    Potrebbe essere un metodo!

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