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giovedì 13 novembre 2025

Dick Cheney, ora c’è l’inferno per te

Troppo tardi, ma Dick Cheney è morto. 


Nato il 30 gennaio 1941 a Lincoln, Nebraska, Cheney proveniva da una famiglia del Midwest profondamente repubblicana. Dopo avere velocemente lasciato la università di Yale per manifesta inferiorità, lavorò per una compagnia elettrica e fu arrestato due volte per guida in stato d’ebbrezza. Nel frattempo, dal 1962 al 1967, ottenne cinque rinvii dal servizio militare, evitando il Vietnam: due come studente, uno per matrimonio, e infine per la nascita della figlia Liz, esattamente nove mesi dopo l’annuncio che sarebbero stati richiamati anche gli uomini sposati senza figli. Sintesi perfetta del suo cinismo politico. Nel 1968 si unì allo staff del deputato repubblicano William Steiger e, poco dopo, divenne assistente di Donald Rumsfeld. Da lì cominciò la sua ascesa nella burocrazia di Washington, alimentata da un talento micidiale per la manovra politica e la manipolazione delle regole.

Durante l’amministrazione Ford (1974–1977), Cheney e Rumsfeld entrarono nel cuore del potere esecutivo. Mentre il Paese cercava di riprendersi dal trauma del Watergate, i due agirono dietro le quinte per impedire che il Congresso mettesse davvero le mani sui segreti della CIA. Insieme a George H. W. Bush, nominato direttore dell’Agenzia nel 1976, si occuparono di bloccare le indagini della Commissione Church, che stava scoprendo l’esistenza di programmi di spionaggio interno, assassinii mirati e l’Operazione Mockingbird, attraverso cui la CIA infiltrava i principali media statunitensi. Cheney, capo di gabinetto di Ford, e Rumsfeld, segretario alla Difesa, firmarono ordini per trattenere documenti sensibili su Cuba, JFK e le operazioni segrete condotte con la mafia contro Fidel Castro. Negli anni ‘80, mentre Reagan parlava di libertà e capitalismo, Cheney e Rumsfeld guidavano un progetto oscuro noto come Continuity of Government. Almeno una volta all’anno, i due scomparivano con un gruppo di funzionari e un membro del gabinetto presidenziale, rifugiandosi in basi militari segrete o bunker sotterranei come Mount Weather e Raven Rock, per simulare la sopravvivenza del governo americano dopo un attacco nucleare. Ma l’obiettivo vero non era la difesa civile: era testare una struttura di comando parallela, indipendente dal Congresso e dal voto popolare. Il piano prevedeva la sospensione della Costituzione, la designazione di un nuovo presidente e il trasferimento del potere a un comitato d’emergenza scelto in anticipo. Cheney e Rumsfeld si esercitavano, di fatto, a gestire un colpo di Stato legale, un’architettura che, vent’anni dopo, sarebbe tornata utile l’11 settembre 2001.

Nominato Segretario alla Difesa nel 1989 da George H. W. Bush, Cheney sfruttò la guerra del Golfo per inaugurare la nuova era delle guerre teleguidate. Fu lui a diffondere la falsa notizia che 250.000 soldati iracheni e 1.500 carri armati fossero schierati sul confine con l’Arabia Saudita: immagini satellitari mai confermate, smentite in seguito da foto sovietiche che mostravano solo sabbia. Quel falso allarme convinse i sauditi a chiedere l’intervento americano, legittimando la presenza militare statunitense nel Golfo e inaugurando il ciclo delle guerre preventive. Dopo il conflitto, Cheney incaricò la società KBR (controllata da Halliburton) di studiare la privatizzazione dei servizi logistici militari. KBR concluse che fosse altamente efficiente affidare alla stessa Halliburton tali funzioni. Nel 1995, come da copione, Cheney divenne CEO di Halliburton, guadagnando milioni di dollari in stock options e preparando il terreno per gli appalti miliardari che l’azienda avrebbe ottenuto dopo il 2003.

Nel 2001, Dick Cheney tornò alla Casa Bianca come vice di George W. Bush, ma in realtà era il supervisore dell’intero apparato di sicurezza. A maggio dello stesso anno, Bush gli affidò la supervisione di tutte le esercitazioni di difesa e risposta agli attacchi: FEMA, NORAD, FAA. A giugno, il Joint Chiefs of Staff emise il CJCSI 3610.01A, che stabiliva che qualsiasi intervento sugli aerei dirottati dovesse essere approvato dal Segretario alla Difesa. Tre mesi dopo, durante gli attacchi dell’11 settembre, Rumsfeld risultò irreperibile, mentre Cheney controllava il Presidential Emergency Operations Center. Secondo l’ex agente e ricercatore Michael Ruppert, Cheney gestiva un sistema di comando alternativo, sovrapposto ai canali ufficiali, mentre erano in corso esercitazioni militari che simulavano proprio dirottamenti aerei (Vigilant Guardian, Northern Vigilance, Tripod II). Fu il momento in cui il Continuity of Government venne realmente attivato: la Costituzione sospesa, il presidente in volo su Air Force One, e il potere effettivo concentrato nelle mani del vicepresidente.

Peter Dale Scott, studioso del deep state, dimostrò che da quel giorno gli Stati Uniti vivono in un regime d’emergenza permanente: la proclamazione di “national emergency by reason of certain terrorist attacks”, emessa il 14 settembre 2001, viene rinnovata ogni anno. Nel 2007, l’ordine fu ampliato con la direttiva NSPD-51, che autorizza un governo d’emergenza segreto e inaccessibile persino ai membri del Congresso. Cheney aveva realizzato il sogno del potere invisibile: un governo perpetuo al riparo dal voto.

Il 16 settembre 2001, Cheney dichiarò che per vincere il terrorismo bisognava «lavorare sul lato oscuro». Da lì nacquero le prigioni segrete della CIA, le extraordinary renditions e il programma di tortura autorizzato da lui stesso e dai suoi consiglieri David Addington, John Yoo e Jay Bybee. L’acqua non era più tortura ma “interrogatorio potenziato”. I prigionieri venivano incappucciati, immersi nell’acqua, minacciati con insetti e privati del sonno per settimane. Cheney lo rivendicò: «Rifarei tutto». Colin Powell confermò che Cheney «era il vero presidente» nel primo mandato di Bush. Amnesty International lo definì «uno dei principali architetti di un programma che equivaleva alla tortura».

Tra il 2001 e il 2003, Cheney fu la mente della campagna per la guerra in Iraq. Sostenne falsamente che Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa, basandosi su documenti manipolati e su testimonianze estorte con la tortura. Disse: «Non ci sono dubbi: Saddam ha armi nucleari». Le sue menzogne costarono al mondo quasi un milione di morti. Nel frattempo, Halliburton, la sua ex azienda, ottenne senza gara appalti da 39,5 miliardi per la ricostruzione irachena. Nel 2012, il Tribunale per i Crimini di Guerra di Kuala Lumpur lo riconobbe colpevole, insieme a Bush e Rumsfeld, di crimini di guerra e tortura. La sentenza fu ignorata da Washington e da tutti gli stati membri della NATO. Nello stesso anno cancellò un discorso a Toronto, «per motivi di sicurezza»: persino il Canada non garantiva più la sua immunità morale. Intanto la figlia Liz veniva riciclata come icona liberal per aver criticato Donald Trump: bastò un gesto mediatico per riscrivere la genealogia del male.

Nel 2010 Cheney visse due anni senza battito, collegato a un dispositivo LVAD che pompava sangue senza pulsazioni. Il “cuore meccanico” divenne il simbolo perfetto della sua carriera: un uomo senza cuore, ma con una macchina al posto dell’anima. Nel 2012 ricevette un trapianto e tornò a sorridere davanti alle telecamere, fino alla morte nel 2025, celebrato dai media che un tempo fingevano di odiarlo.



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