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sabato 3 febbraio 2018

Un frammento di estate

Chiudo gli occhi e, come per magia, il cielo ritorna sereno. In lontananza il giallo delle colline si contende l’orizzonte con il verde dei boschi. Nell’aria polvere e sete accompagnano fate e farfalle. Un leggero venticello scuote leggermente la siepe, mentre i raggi del sole giocano con le chiome degli alberi, disegnando sulla ghiaia del viale una complessa ragnatela di ombre. 

Mi guardo intorno spaesato: so perfettamente dove sono, soltanto non capisco come possa esserci arrivato, visto che un attimo fa era febbraio. Avanzo incerto, camminando sopra al perimetro della fortezza. Il pesante giaccone invernale stona terribilmente con la stagione. Mi sento fuori luogo, come un peluche dentro la cesta degli costruzioni. Forse è perché da piccolo amavo i Lego, se adesso mi sento a pezzi. Alla mia destra, la città deserta pare sonnecchiare, anestetizzata dal calore. Intorno a me tutto tace. Adoro questo silenzio. 
Dall’angolazione del sole deve essere pomeriggio inoltrato, né troppo presto per rimandare a dopo, né troppo tardi per farla domani. Sedute su una panchina,  una coppia di giovane mamme si gode il meriggio, guardando i rispettivi figli giocare, parlando magari di colleghe stronze e maestre d’asilo. Devono avere la stessa età: forse sono amiche da una vita e anche i bambini lo saranno. La gravidanza comune le ha rese più unite. Guardarle fa bene allo spirito: vorrei provare anch’io un sentimento così forte per qualcuno, ma forse non sono portato per i legami. Continuo a camminare, incuriosito dal piacevole tepore che nel giro di pochi attimi scaccia il ricordo gelido dell’inverno. È incredibile come basti un brandello d’estate a riportare la vita in pace con se stessa. Dalle finestre dell’accademia musicale giunge alle mie orecchie una malinconica musica jazz. Riconosco un assolo di tromba, seguita da intermezzo di pianoforte. Mi avvicino incuriosito: adesso gli strumenti sembrano diventare tre, poi quattro. Mi siedo ed ascolto, cercando di godermi questa vacanza dall’inverno. Riapro gli occhi e la musica è finita. Le due mamme si sono alzate e a male pena riesco a scorgerle in lontananza, un momento prima che l’angolo del bastione le nasconda alla mia vista. Rapidamente la temperatura comincia a scendere. Adesso il giaccone non fa più così scomodo. Stringendo i denti, provo a rievocare la sensazione di caldo provata un attimo prima. Niente. L’inverno si chiude su di me, inghiottendo per sempre quel breve interludio di bel tempo. Lentamente ritorno alla realtà. Cala il buio e si alza la nebbia. Tutto ritorna com’era.
Col freddo nelle ossa, sbatto con violenza l’ombrello prima di salire in auto. Vorrei inventarmi una storia che sappia di mare e di una terra lontana, baciata dal vento e arsa dal sole. Nella quale lo zucchero di canna si fa liquore e la gente balla la salsa. Ma questa pioggia mi blocca i pensieri, impedendomi di riflettere. E poi domenica c’è l’Alessandria. Per l’estate invece c’è ancora da aspettare. Gennaio finisce, portandosi via tutte le certezze accumulate in questi mesi. 
Finisce il quadrimestre e arrivano le pagelle. Tempi duri si prospettano per molti ragazzi. Ai miei tempi - orribile modo di dire di noi non più giovanissimi, tristemente in attesa di entrare negli "anta" - l’attesa delle pagelle era un po’ come la cronaca di una manifestazione sindacale, rispetto alla quale i partecipanti passavano da decine di migliaia per gli organizzatori, a poche centinaia secondo la questura. A casa mia invece, durante le lunghe discussioni familiari, alla domanda: "Quante materie hai sotto?", la risposta era sempre la solita: una secondo il sottoscritto, sei per la mamma. Che, poverina, guardava i libri intonsi, alcuni dei quali ancora avvolti dalla pellicola e si disperava per i soldi buttati. "Guarda che non è Brunello", mi disse un giorno. "A stare qui, non è che migliorano". Io tuttavia pensavo ad altro. Anzi, in verità, davo soltanto l’impressione di farlo perché, a dirla tutta, non facevo nemmeno quello. Durante le superiori non avevo hobbies (notare come ho coniugato bene il plurale!), non ostentavo fidanzate e nemmeno mi drogavo. Giocavo a calcio con risultati alquanto deprecabili ed ero convinto di conoscere il mondo. Però tifavo la Robur, dai gradoni di cemento della curva. Perché vi sto dicendo tutto questo? Me lo sono chiesto anche io due ore fa, quando ho cominciato a spippolare sulla tastiera. Ma poi mi sono detto scrivi scrivi, che tanto qualche idea ti viene. Ed invece, eccomi qua. Solo e insipido come un biscotto senza olio di palma. 
Che poi questa storia del togliere roba dagli alimenti io proprio non la capisco. C’hanno cresciuto a suon di schifezze, ingozzandoci di roba cancerogena e tossica, zeppa di nomi strani e dopo venti anni, quando ormai i giochi sembrerebbero fatti e i fegati spappolati, ci rimbombano il cervello con la storia del senza: via lo zucchero, niente olio di palma, abbasso il glutine, morte ai grassi idrogenati, lotta ai conservanti e guerra ai coloranti. Ma io mi chiedo... se dalla roba che mangiavamo da bambini togliamo tutte le voci del suddetto elenco, che rimane? Aria fritta, fuffa, niente! Come di questo pezzo del resto, che con tanto amore ho cercato di scrivere, provando a regalarvi un frammento di estate. L’idea era buona, peccato per lo svolgimento… Come direbbe il poeta, utilizzando un po’ di prosopopea: ho fatto un fiore e c’ho cacato. Ma tant’è. 
E poi domenica si torna in campo, quindi parliamo un pochino di calcio. Anche perché il titolo di questa rubrica - seppur io mi sia preso tante, troppe, immense e del tutto immotivate libertà - non lascerebbe spazio all’immaginazione. Va a finire che di questo passo scatta il licenziamento e a giugno mi ritrovo a scrivere in qualche blog del Grosseto. O del Poggibonsi! Ma d’altra parte di qualcosa dovrò pur campare, no? A proposito di licenziamenti, prima della partita i grigio/grigi dell’Alessandria scenderanno in campo con un Borsalino in testa, in segno di vicinanza alla storica azienda e ai suoi dipendenti. Cappello che poi mi auguro tireranno alle ragazze sedute in tribuna, in un romanticissimo gesto da primi del novecento. Per par condicio, visto che siamo in campagna elettorale, i nostri eroi a strisce bianco nere (mischiando le quali otterremo le maglie dell’Alessandria), entreranno sul terreno di giuoco stringendo in mano un derivato. Anche in questo caso sarebbe molto carino se poi lo tirassero… nel muso a chi decise di comprarli.

Alessandria - Siena: passando da Genova, Google Maps dà 4 ore abbondanti. La Robur invece, passando indenne domenica prossima, metterebbe un altro bel mattoncino nella sua già ricca classifica. L’hanno visto tutti, rimontare punti al Livorno è possibile: basta crederci. Avanti Robur! Una piccola delusione non fermerà la nostra marcia.

Tutti insieme uniti avanzeremo.


Mirko

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