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mercoledì 31 gennaio 2018

Il déjà vu

Ci sono serate che sarebbe meglio uscire a fare due passi piuttosto che andare lo stadio. O magari lanciarsi in balli sfrenati dentro ad un locale di periferia, frequentato da vecchietti arzilli e spregiudicati, ai quali l’Inps versa ancora la pensione ed il viagra ha regalato una seconda giovinezza. Serate strane, spigolose, amare; così amare che rovinano anche la cena. 

Serate durante le quali la macchinetta dei sogni pare incepparsi all’improvviso, come il distributore del caffè che finisce l’acqua o un bancomat senza collegamento. Tutto avviene secondo una logica precisa, mi disse una volta il prof. di fisica. Però dietro c’è sempre un disegno del Signore, gli fece eco quello di religione. Guardati dentro e troverai le risposte, aggiunse quello di filosofia (che, data la natura tecnica del mio istituto, non so davvero cosa ci cercasse a Scacciapensieri). Io francamente non so dei tre chi avesse ragione, ma li ascoltai comunque in silenzio - come sempre ho fatto in vita mia, visto che ascoltare è più facile e molto meno faticoso che parlare - e poi chiesi di andare al bagno, alzando educatamente il braccio. Al tempo rigiravo ancora la prima sigaretta del pacchetto e perdevo tutti gli accendini. Le cose accadevano, ma scoprirne il motivo non era certo un mio cruccio. Dopo quel giorno lontano, ognuno riprese la sua strada: il fisico risucchiato dentro un tetro laboratorio, il religioso perso nelle pieghe dei suoi dogmi, il filoso atterrito dalle troppe citazioni da imparare a memoria, buone solo per affascinare le ragazze di campagna durante le degustazioni di vino in centro. Negli anni ho ripensato più volte a quei tre signori, che partendo da luoghi distinti e distanti tentavano di arrivare nel medesimo punto. Crescendo ho capito che, nonostante tutto, le cose accadono e basta. Senza un vero perché. E a volte non vanno nemmeno come vorremmo.
E così, sul finire di un pomeriggio di ozio, la storia di una domenica come tante altre, o forse soltanto un pochino più importante di altre, al termine della quale si potrebbe anche tornare a sognare a occhi aperti, come il fisico davanti ad una scoperta, il religioso d’innanzi ad un miracolo o il filosofo su un libro di Kant, si complica maledettamente. Ed in brevissimo tempo, tutto cambia. Forse per una sera appena o forse per sempre. Perché, a volte, ciò che avviene in pochi minuti si protrae nel tempo per ore, giorni, mesi… forse addirittura anni, proprio come il suono di un campanello nel silenzio della notte. Ci sono serate in cui un errore maldestro assume le sembianze del tatuaggio del nome dell’ex fidanzata sulla spalla: un motivo di rimpianto, del quale pentirsene a lungo.
Va bene, lo ammetto: giocare con il Gavoranno in casa (hai detto il Napoli di Cavani...), suscita in me parecchia apprensione. Certo, io sono uno cresciuto con la paura di affrontare il Meroni e lo Staggia, quindi figuriamoci se non mi può far paura chiunque. E poi ognuno è liberissimo di scegliersi i propri fantasmi, no? Tuttavia, dopo quel brutto pomeriggio di maggio di tre anni fa, durante il quale il tempo parve fermarsi sopra lo stadio, proprio mentre la palla del calcio di rigore di Minincleri picchiava sul palo e tornava verso la metà campo, a me il pensiero del Gavoranno rivolta le budella. A niente servì la liberatoria vittoria dell’andata. Nonostante i tre punti, passeggiando per Grosseto, avvertivo dentro di me un deciso senso di irrequietezza. Facile dirlo adesso, direte voi, domandando: perché non l’hai detto tre giorni fa? Forse perché immagino che le cose a volte vanno di merda da sole e a nulla serva evocare gli spettri, che tanto poi arrivano lo stesso. Ci sono serate in cui ci si rimane di merda e a niente valgono tutte le parole del mondo. Tutto sembra filare liscio ed invece tutto si rompe all’improvviso. Un ingranaggio si grippa, una nota stona, un acuto stecca. E così ci troviamo di colpo soli e spaesati in mezzo all’odore dell’erba umida che sale dal campo. 

Basta un attimo per rovinare un bel momento: un mucchietto di cenere lasciata cadere al di fuori del posacenere, due schizzi di pipì sulla seggetta, una scritta con la vernice spray su un palazzo del centro. Tutto comincia a stonare e ciò che prima sembrava sopportabile, diventa intollerabile. Da qualche parte laggiù in basso, la caviglia ricomincia a dolere, le rate del mutuo saranno presto in scadenza e domani il citto c’ha anche il dentista. Velocemente, tutti i pensieri cattivi, tenuti lontani dalle vittorie della Robur, tornano a rimbalzare dentro la testa, amplificando il loro invadente rumore con il passare del tempo. 
A tre minuti dalla fine, sul campo scende un silenzio spettrale. Intorno a me nessuno sa di preciso cosa sia successo, ma tutti sono uniti in un tragicomico dejà vu. Nemmeno il tempo di pensare: "Forza portierone", che il Gavorrano pareggia. La palla si insacca con lentezza estenuante. Dai gradoni volano insulti. In un primo momento mi guardo intorno sbalordito, poi capisco: la gente non offende per rabbia, ma soltanto per legittima difesa. Infatti gli epiteti non hanno un vero e proprio destinatario e quel plurale maiestatis pare proprio lanciato in aria senza un preciso scopo, come le lanterne cinesi nelle sere d’estate. L’arbitro fischia: il dejà vu del Gavorrano si fonde con quello delle altre partite casalinghe sciaguratamente buttate via nel corso di questa stagione. Da qualche parte ci deve essere un sottile filo conduttore che unisce il paesello maremmano con Gorgonzola, Monza e Pontedera. Adesso il dejà vu assume grandezze esponenziali, ma, a differenza degli altri punti, temo che questi si faranno rimpiangere. 
Per un secondo mi sento come quelle sere in pizzeria, nelle quali al tuo tavolo tutti mangiano mentre tu aspetti ancora la tua pizza. Finalmente vedi comparire dal fondo della sala la cameriera con un piatto in mano. Sorridendo ti punta e a grandi falcate viene spedita verso di te. Inconsciamente cominci a pregustare il sapore acidulo del pomodoro pachino che si fonde con la mozzarella di bufala, cercando di carpire nell’aria il profumo del basilico. A pochi passi dalla tua sedia, tuttavia, la ragazza scarta verso destra, consegnando la pizza al signore grasso seduto nel tavolo di fianco al tuo. E tu rimani li, incredulo e affamato, a guardarla andare di via. Mentre la vita per gli altri scorre uguale a prima.

Siena - Gavorrano: passare oltre rapidamente. Meno male si rigioca fuori. Idea: possiamo inventarci qualcosa a livello di curva, per far squalificare il campo per i prossimi tre mesi e giocare sempre lontano da Siena? Sembra diventata la novella dello stento. Con la media punti che abbiamo fuori casa, dovevamo già essere a mezza classifica in Serie B. Avanti Robur,  che 6 punti non sono poi così tanti.

Tutti uniti insieme avanzeremo.



Mirko

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