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mercoledì 13 dicembre 2017

Maxitangente Enimont

Alla fine dello scorso secolo, crolla tutto d'un tratto un mondo di cartone (l'ennesimo) creato ad hoc dalla politica itagliana e non, scardinato da un pool di magistrati milanesi, attraverso una stagione di quasi dieci anni che sarà conosciuta con il nome in codice di Mani Pulite. Epicentro della questione giudiziaria è il cosiddetto Processo Enimont. Ripassiamolo, per verificare se... vabbè, valutate voi.
Nel 1989, un'incredibile operazione stava per concludersi fra ENI e l'imprenditore Gardini: la nascita di Enimont, società mista a capitale pubblico (40% ENI) e privato (40% Gardini & C. + 20% azioni libere messe sul mercato).
Dopo poco più di un anno, la Enimont ebbe bisogno di una totale ristrutturazione societaria, con la cessione della quota di Gardini a ENI. Un'operazione da miliardi di lire, che fin dall'inizio risultò essere assai nebulosa.
Solo dopo anni si scoprì ciò che era accaduto.
Solo attraverso una maxitangente diffusa presso tutti i partiti ed i maggiori politici del tempo l'operazione ebbe successo, usufruendo della possibilità di far transitare i denari in nero dentro le casse dello IOR, che fu poi in grado facilmente di triangolare con le banche svizzere.
L'11 ottobre 1990 fu aperto il conto cifrato 001-3- 16764-G "Louis Augustus ioans foundation (Usa)" con 600 milioni in contanti, per preziosa collaborazione del Mons. Donato De Bonis, erede di Marcinkus ed inventore del sistema dei depositi offshore, composto da una serie di conti cifrati in cui era impossibile risalire all'origine sia dei depositanti che della reale origine del denaro depositato.
Il conto in questione portava formalmente ad una fondazione che doveva raccogliere soldi per bambini poveri, ma in realtà si trattava di ben altro.
Dopo tre mesi dall'apertura del conto, De Bonis vi inserì 5 miliardi di titolo di stato, da inviare all'incasso su conti correnti di privati cittadini. I titoli furono monetizzati e suddivisi in due conti: uno da 2,7 miliardi di lire della "Joannes Foundation" del pidduista Bisignani, 'altro da 2,2 miliardi di lire denominato "Cardinale Francis Spelman" a nome di Giulio Andreotti. I denari rimasero solo per poche ore sul conto "Spelman", dato che un altro invio di 2,5 miliardi di lire fu effettuato dallo stesso verso il conto EF 2927 della Trade Development Bank di Ginevra, via Banco di Lugano.
Fu questa, di 5 miliardi di lire, la prima mazzetta della maxitangente Enimont.
Riassumiamo: attraverso triangolazioni su triangolazioni, un mare di denaro pubblico transitò dallo IOR alle banche svizzere per approdare sui conti correnti di politici e partiti italiani.
Ma c'era anche un'altra opzione, più elaborata ma di certo più sicura: il trasferimento di soldi effettuato brevi manu, da personale scelto che trasportava, presumibilmente attraverso delle valigette, contante da e verso Roma (IOR) e da e verso la Svizzera (Lugano in primis).
Roma-Lugano.
Lugano-Roma.

2 commenti:

  1. Mi sa che ai politici italiani la lezione non è servita, salvo imparare a rubare in modi diversi...d'altra parte la tecnologia va sfruttata....

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    1. Io non vorrei che certe dinamiche fossero reiterate anche dalle banche e dallo IOR...

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