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venerdì 24 novembre 2017

Il Sienegal

La notizia era nell’aria, anche se inizialmente era stata accolta con freddezza. L’autunno stava piano declinando verso l’inverno, i pomeriggi terminavano in fretta e la nazionale italiana di calcio era fuori dal Mondiale.
Appoggiato al frigo dei gelati, Pancino osservava la strada in silenzio, sperando di veder finalmente comparire da dietro le auto in sosta la figura Dante. "Certo Graziella che senza Mondiali anche te ci perdi un monte di quattrini, eh?", chiese tutto ad un tratto l’uomo, rivolgendosi alla barista.
"Ma se Dio vole almeno stai a casa e non ti vedo", rispose quest’ultima, tutta presa dalla lista delle cose da ordinare. Francamente a lei dei Mondiali non importava un granché e il calcio era soltanto un triste sottofondo che da anni accompagnava le sue giornate. Ancor più acida riprese: "Tanto qui dentro non siamo boni a parlare di altro! Dieci mesi di calcio e due di palio. Calcio e palio, palio e calcio! Due palle che non ti dico! Ma tanto prima o poi lo vendo questo buco", chiuse stizzita.
"Sì, e te lo comprano i cinesi del Milan coi soldi del Monopoli", replicò Pancino sorridendo, per poi continuare: "Ma a che ore hai detto ce l’hai il concerto questa sera?".
La donna lo guardò perplessa e per la decima volta rispose: "Alle 21,30 al Mandela Forum a Firenze, duro".
Nel sentire il nome di quella città, il volto di Pancino si contrasse in una smorfia. "Oh, ma se ti sta pensiero, ci vo da sola! Non c’è bisogno che tu e quell’altri due babbei vi scomodiate tanto. Che come minimo con la sfortuna che portate stasera Renato Zero si sente male e 'un canta nemmeno".
All’interno del bar, vuoto, l’uomo fu sul punto di replicare, quando improvvisamente una tonfo secco sulla porta interruppe il loro dialogo. "O Dante", abbaiò Graziella, "così me la butti giù, villano! C’è scritto ‘tirare’ dal almeno 20 anni, è inutile che tutte la volte che arrivi, spingi".
Ma il professore, rosso in volto e visibilmente eccitato, non sembrò udire le parole della barista e senza neanche salutare si avventò sul vecchio telecomando della televisione, malamente protetto da un consumato guscio Meliconi anni '90 di gomma nera, ridotto a brandelli dal tempo, dall’usura e dalle innumerevoli volte in cui era stato tirato nel muro durante gli anni d’oro della Robur in Serie A. Scorrendo velocemente i canali esclamò: "Graziellina, sei pronta? Dai piccinina su, scrivi in un cartellino "Chiuso per concerto" e attaccalo all’uscio. Mi raccomando, non ci vogliono né doppie né apostrofi, che poi la gente ti sparla dietro! E non ti preoccupare per il barre, ho parlato col nerino che rimette a posto i carrelli della Coop, ti ci viene lui a da' un occhio questa sera. Magari domani mattina gli regali una pasta e sei pari".
"Sie, come minimo gliela dà di ieri l’altro, tirchia com’è", intervenne Pancino, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio le parole del prof.
"Quelle andate a male le lascio solo per te", replicò acida Graziella. "Tanto con cotesto buzzo chi t’ammazza?".
Divertito, Pancino continuò: "O bellina, con tutti i soldacci che t’ho dato in questi anni, questo barre è mio almeno al 40%! Fai due conti e guarda quante volte t’ho pagato le ferie a forza di sprizzi e panini col buristo".
 "O ma vi chetate, sembrate marito e moglie", urlò improvvisamente Dante dopo aver trovato il canale delle notizie. "Sentiamo se prima ho capito bene".
"Capito cosa?", domandò Pancino.
"Ma come cosa? Non lo sapete?". E indicando lo schermo il professore fece cenno agli altri di tacere. Il cronista della tv pubblica parlava da davanti al Palazzo Comunale di Siena, alle sue spalle Piazza del Campo si ergeva in tutta la sua maestosità. Come sempre, intorno alla telecamera si era radunato un capannello di persone: un bambino sorrideva e una cinesina rideva.
"Che avranno sempre da ride ‘ste cinesi?", chiese incuriosita Graziella.
"Ma mica ridono", rispose Pancino. "Sembra ridano, ma so’ normali: c’hanno la bocca a mandorla".
"Te piccinino c’hai il cervello a mandorla, vedi", lo interruppe Dante, per poi tornare all’argomento principale. "Allora è vero quello che diceva Ringo alla Radio! E c’hanno ripescati: si va ai Mondiali".
In quello stesso istante, Maso entrò di corsa nel locale: "Oh, ma avete sentito anche voi?".
"O zitti un pochino", fece Graziella, più eccitata dall’idea del concerto che dei Mondiali. "Fatemi sentire che dice questo pelatino".
La notizia a dir la verità aveva cominciato a trapelare già dalle prime ora del mattino e per mezza giornata era stato tutto un susseguirsi di annunci e smentite. Il presidente americano Trump aveva chiesto ufficialmente al governo italiano di costruire il ponte sullo stretto di Messina. "Almeno dopo ci potete rizzare sopra un bel muro! Alto come quello che sto facendo io al confine col Messico", aveva detto al telefono parlando con il nostro primo ministro. "E se lo costruite, mi darete la forza per legittimare all’ONU le mie azioni! Con il vostro aiuto potrò infatti dire a quei bamboccioni che se lo fanno in Italia che non so' boni a niente, perché non possiamo farlo noi che siamo l’America?". In cambio del piacere, stando a sentire le solite fonti ben informate, avrebbe offerto tutto l’appoggio dell’intelligence USA per risolvere un problema nazionale e ridare slancio all’economia disastrata del Belpaese. Il Consiglio dei Ministri convocato d’urgenza aveva deliberato che l’Italia aveva due ordini di problemi gravi: l’esclusione dai Mondiali e gli ormoni impazziti delle esponenti femminili della famiglia Rodriguez.
"Te lo dicevo che ci so' troppi stranieri nel nostro paese", chiosò Pancino, sovrastando la televisione. "Prima s’è pienato la Serie A di neri e ora s’è cominciato a importare anche le lorde. Come se non bastassero quelle nostrane! Tra pochino nemmeno il Grande Fratello ci fanno fa' più a noi italiani".
"Zittoooo, fammi sentire", sbottò Dante, alzando il volume di altre due tacche. 
Com’era facilmente prevedibile il Governo italiano aveva scelto di dare la priorità ai Mondiali, infischiandosene degli ormoni e di tutto il restante drammatico sfacelo in cui versava il Paese. In un batter d’occhio,  l’amministrazione Trump si era messa alacremente al lavoro per trovare una soluzione. Dopo un paio d’ore di colloqui e il rifiuto a farsi da parte delle federazioni di Tunisia, Costa Rica e Panama (immediatamente rase al suolo da uno squadrone di cacciabombardieri senza targa, forse rubati), era stato finalmente trovato un compromesso: l’Italia avrebbe avuto la possibilità di essere rappresentata ai Mondiali in Russia, purché avesse accettato di fondersi con un una nazione (magari povera in canna e da gestire al meglio con un paio di golpi e controgolpi) avente diritto. La scelta per forza di cose era ricaduta sul Senegal, che tuttavia, almeno inizialmente, aveva minacciato di invadere per ritorsione tutti i centri di accoglienza italiani. L’unica condizione dettata dalla Fifa era stata quella di cercare di trovare un nome simile a quello originale, per non dover riscrivere tutti i cartelloni. "Senagalia" fu scartato subito, troppo provinciale, così come "Italegal". Il dimissionario presidente Tavecchio aveva buttato là un "Opti Pobà" che sapeva di Prima Repubblica, mentre "Cabo non mi guocere in bentola le batate non sono buone con me" venne giudicato troppo lungo e vagamente razzista. "I leoni della bassa padana" invece non soddisfecero le tante minoranze etniche sparpagliate su tutta la penisola. All’improvviso, l’Alto Rappresentate dei rifugiati montepaschini presso la Santa Sede, un tipo distinto e molto riccioluto, che parlava inglese con l’accento da immigrato, ebbe la pensata. Poche lettere: rapido, intuitivo e perfetto. "SIENEGAL" ed il gioco fu fatto. Nemmeno il tempo di un comunicato stampa che per le vie del centro la gente già correva a comprare i panni nuovi per vestire a dovere, caso mai Ilaria d’Amico li avesse intervistati. Anna e Fede ricevettero un invito ufficiale dallo staff di Barbara D’Urso, mentre Giovanni Dolci venne candidato per il Pallone d’Oro dei direttori sportivi.
"Ma che spettacolo", esclamò Pancino tutto contento. "Ragazzi, ci pensate o no che meraviglia? Mezzo Siena ai Mondiali. Un pochi bianchi e un pochi neri, come gli scacchi, che invece dell’inno cantano la Verbena. Magari mentre i tifosi suonano bongo e chiarine contemporaneamente! Sai domenica come ci sformano quei rospacci d’Arezzo?".
Scettico, Maso scuoteva la testa: "A me sembra proprio una cazzata. E con che maglie si giocherebbe, con quelle a strisce?".
"No di certo", rispose il Pancio. "Anche se ai Fedelissimi non gli piace, mi garberebbe quella inquartata col simbolo del Senegal vicino alla Balzana e i numeroni rossi, come quella usata per la vittoria della C1 tanti anni fa". E poi. colto da un dubbio: "Ma scusate un attimo... se si gioca in undici, come faranno a dividere i giocatori? Saranno più bianchi o più neri? Se fossi nelle federazioni, per non far torto a nessuno per io porterei cinque neri, cinque del Siena e Buffon, almeno la smette di essere triste. E come allenatore metterei Scazzola: con quei capelli brizzolati alla George Clooney, accontenterebbe veramente tutti. O Graziella, ma ci pensi? Il Siena ai Mondiali".
"Pancino... Pancino... Pancino... la smetti di dormire appoggiato al frigo e ti movi?". La voce di Graziella arrivò ovattata alle orecchie dell’uomo, disturbandogli il pisolino e riportandolo alla realtà: "Se non ci si sbriga, di concerto vedo quello di un altr’anno".

Siena - Arezzo: ricomincia la corsa dopo il turno di riposo e, ahinoi, ritocca gioca' in casa! Io spero che da Arezzo vengano tanti, tanti, tanti da colorare lo stadio di amaranto e farci sembrare noi gli ospiti (a proposito, ma sono amaranto o sono granata? Ve lo chiedo perché non sono mai stato capace di cogliere la differenza tra Livorno e Torino, a parte il mare e le Alpi. Poi ci sarebbe anche il Bordeaux... vabbè). All’entrata in campo vorrei poi che gridassero forte: "Anche oggi giochiamo in casa" e che queste parole arrivassero nitide agli orecchi di Peter Pane e della sua ciurma di bimbi sperduti, che dopo tre tonfi interni dovrebbe proprio cominciare a ritrovarsi. Io di squadre strane ne ho viste tante, ma una che ha paura di gioca' in casa non l’avevo mai vista. Tuttavia, è arrivato il momento di invertire la rotta. Tornare al sorriso è un dovere, farlo contro di loro sarà anche divertente.

Tutti uniti insieme avanzeremo.


Mirko

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