Un fastidioso venticello profumato muove le fronde del ciliegio fiorito nel giardino del vicino, mentre un paio di gattoni scuri, stesi sul selciato del piazzale, si crogiolano al sole, lasciandosi coccolare dal tepore narcotico di una primavera smaniosa di rivelare a tutti la propria esuberanza. Osservando i due tozzi felini, mi sorprendo ad invidiarli: a volte vorrei proprio possedere la loro capacità di fregarsene del mondo. In lontananza, il latrato di un cane fa eco al fischio del treno: qualcuno parte, qualcuno arriva, altri restano a guardare, fermi sotto un cielo azzurro, dove nuvole leggere si rincorrono nervose, cambiando forma ad ogni occhiata. Fuori dal bar, immigrati dell’Est Europa si confrontano attraverso le parole di un'idioma incomprensibile. La barista intanto passa lo straccio sul bancone e serve l’ennesima birra. Sullo schermo del televisore di casa, acceso ma silenzioso, si rincorrono svogliate le immagini di un Vicenza – Pisa qualunque. Il telefono, abbandonato sul divano, attende con impazienza l’arrivo del lunedì per riprendere a suonare. Una decina di messaggi da leggere sono il mio unico punto di contatto con il resto dell’umanità. Alcuni sono vecchi di mesi. Li tengo lì senza un vero motivo apparente. So solo che un giorno li leggerò, ma non so bene quando. E magari nel leggerli capirò che non ha più senso farlo. E cestinandoli senza rispondere, mi lascerò invadere dai soliti mille dubbi, che da sempre accompagnano il suono dei miei passi.
La richiesta arriva improvvisa e mi coglie impreparato: "Babbino, puoi venire un secondo?". Istantaneamente avverto lungo la schiena un brivido freddo che sa tanto di brutto presagio. Risalendo la colonna vertebrale, quel sinistro solletico si sofferma un attimo alla base della nuca e, senza darmi nemmeno il tempo di riflettere, mi si annoda intorno al collo come una sciarpa: "Devo risolvere alcuni problemi di geometria. Mi puoi aiutare, per piacere?". Affacciandomi alla porta di camera, titubante come la sera del primo bacio, noto immediatamente il meraviglioso disordine nel quale niente è al proprio posto. Se è vero, come dicono, che il caos precede l’ordine, in questo angolo di mondo siamo ancora alla fase uno. Il riverbero del tramonto filtra dalle tapparelle semi abbassate, mettendo ancora più in risalto pezzi di camera che qualcuno pare essersi divertito a mischiare. Sembra che nella piccola stanza ci sia appena scoppiata una bomba. A fatica riesco a raggiungere la scrivania, mentre la collera mi assale, avvolgendomi dal basso come una fiaccola. "Questa camera fa schifo". E nel pronunciare l’ultima parola, mi rivedo in mia madre. E mi sento morire. Di colpo mi pare essere quindici anni più vecchio. Sto diventando proprio ciò che più odiavo da piccolo.
La ragazza mi guarda beata e con una irritante aria di sufficienza mi fa: "Sì lo so, dopo metto a posto. Ora devo fare i compiti. Ma non mi riescono: mi dai una mano?". La domenica pare improvvisamente arrestarsi; la lancetta dei secondi si blocca ed anche il lavandino del bagno smette di gocciolare. Mi guardo intorno in cerca di aiuto. Dall’altra stanza, la voce amica dell’altro figlio pare arrivare in mio soccorso: "Babbo… ?!". "Dimmi", gli chiedo, quasi implorandolo di salvarmi. "Ma Mannini del Pisa è quello che era a Siena?". Incredulo, espello le prime parole che dal cervello riescono ad arrivare alla bocca: "Ma vai in culo te e lui per piacere!". Con fatica ritorno alla realtà, la figlia femmina mi squadra da capo a piedi.
La richiesta arriva improvvisa e mi coglie impreparato: "Babbino, puoi venire un secondo?". Istantaneamente avverto lungo la schiena un brivido freddo che sa tanto di brutto presagio. Risalendo la colonna vertebrale, quel sinistro solletico si sofferma un attimo alla base della nuca e, senza darmi nemmeno il tempo di riflettere, mi si annoda intorno al collo come una sciarpa: "Devo risolvere alcuni problemi di geometria. Mi puoi aiutare, per piacere?". Affacciandomi alla porta di camera, titubante come la sera del primo bacio, noto immediatamente il meraviglioso disordine nel quale niente è al proprio posto. Se è vero, come dicono, che il caos precede l’ordine, in questo angolo di mondo siamo ancora alla fase uno. Il riverbero del tramonto filtra dalle tapparelle semi abbassate, mettendo ancora più in risalto pezzi di camera che qualcuno pare essersi divertito a mischiare. Sembra che nella piccola stanza ci sia appena scoppiata una bomba. A fatica riesco a raggiungere la scrivania, mentre la collera mi assale, avvolgendomi dal basso come una fiaccola. "Questa camera fa schifo". E nel pronunciare l’ultima parola, mi rivedo in mia madre. E mi sento morire. Di colpo mi pare essere quindici anni più vecchio. Sto diventando proprio ciò che più odiavo da piccolo.
La ragazza mi guarda beata e con una irritante aria di sufficienza mi fa: "Sì lo so, dopo metto a posto. Ora devo fare i compiti. Ma non mi riescono: mi dai una mano?". La domenica pare improvvisamente arrestarsi; la lancetta dei secondi si blocca ed anche il lavandino del bagno smette di gocciolare. Mi guardo intorno in cerca di aiuto. Dall’altra stanza, la voce amica dell’altro figlio pare arrivare in mio soccorso: "Babbo… ?!". "Dimmi", gli chiedo, quasi implorandolo di salvarmi. "Ma Mannini del Pisa è quello che era a Siena?". Incredulo, espello le prime parole che dal cervello riescono ad arrivare alla bocca: "Ma vai in culo te e lui per piacere!". Con fatica ritorno alla realtà, la figlia femmina mi squadra da capo a piedi.
Sa che dovrà giocarsi bene le sue carte, altrimenti andrà a scuola impreparata. Ruffiana, la butta sul sentimentale: "Che ha fatto il Siena?". E sbaglia paurosamente. "Ha perso 3 a 0 ieri a Piacenza, se Dio vole! Senza metterci le mani per niente". La ragazza capisce di aver commesso un errore e abbassa lo sguardo. Intuisco di essere in vantaggio e ne approfitto subito: "Se vuoi che ti aiuti metti a posto la camera. Subito!", sibilando l’ultima parola come un cobra in procinto di attaccare. Sconfitta, la piccola donna si alza dalla scrivania e inizia piano piano a ridare un senso alla stanza. Come un archeologo nella Valle dei Templi, riesuma oggetti smarriti da tempo e la camera riprende velocemente le sue sembianze originarie.
Con movenze teatrali al limite dell’assurdo, spalanco la porta finestra che dà sul terrazzo. Nel silenzio della sera, rotto soltanto dal rumore delle auto che dalla strada arriva fin dentro casa, mi siedo alla scrivania e inizio a leggere. Con la coda dell’occhio sorprendo mia figlia a spiarmi, mentre soffiando verso l’alto prova a togliersi una ciocca di capelli biondi dagli occhi. "Ma non ci aveva già perso a Piacenza quest’anno?". Seppur falsamente interessata, la domanda risulta piuttosto sadica. La creatura non ha affatto digerito il mio ricatto e prova a pungere. Ignorandola, mi concentro sui problemi, ma riesco a malapena a leggere: "Utilizzando un’equazione di primo grado, calcola la lunghezza di x…" che dalla stanza accanto il figlio maschio grida tutto eccitato: "Babbo, ha pareggiato il Vicenza". Esterrefatto e totalmente indifferente alla notizia, osservo mia figlia, che scuotendo la testa, riferendosi al fratello sembra dirmi: "E' così, bisogna volergli bene lo stesso. Tanto non ci possiamo fare niente".
E allora, per la prima volta in via mia, capisco ciò che all’uomo è sempre sfuggito: un essere umano femmina tutti gli anni cresce di un anno, evolve. Un umano maschio invece arriva a dieci anni e vi rimane fino ai quindici, stratifica. Il corpo ingrossa ma il cervello se ne sta lì, immobile. Ecco perché poi, da grandi, ci fidanziamo con donne più piccole: sembrano più giovani, ma in realtà sono coetanee. Questa è la vera differenza fra uomini e donne: altro che peli, costole e cromosomi. E ci voleva il pareggio del Vicenza, al termine di una fine settimana primaverile, durante il quale la Robur ha nuovamente perso, per capirlo. A volte le grandi intuizioni della scienza nascono proprio in momenti impensabili. Tutto contento ritorno ai compiti, finisco di leggere la domanda e guardando mia figlia, faccio quello che avrei dovuto aver fatto da ore: "Chiama la tu’ mamma, vai". E scappo via, per una volta libero e felice, mentre il Vicenza raddoppia e la domenica sfuma nel buio della sera.
Piacenza (una delle tante) – Robur Siena 3 a 0: 7 sconfitte su 9 partite. Sbaglio? Che il niente sia con noi! Mah, fate voi. Io spero soltanto di arrivare a maggio il più velocemente possibile e poi non vedervi mai più. Tutti! Ma tutti tutti. Nessuno escluso. Quelli coi 2 milioni, quelli col triennale firmato, quelli che gliel’hanno fatto firmare e quelli del "sono a Siena per rilanciarmi". Solo allora potremo dirvi: NON è stato bello, ma adesso finalmente è finita. A mai più!
Tutti uniti insieme avanzeremo.
Mirko
Piacenza (una delle tante) – Robur Siena 3 a 0: 7 sconfitte su 9 partite. Sbaglio? Che il niente sia con noi! Mah, fate voi. Io spero soltanto di arrivare a maggio il più velocemente possibile e poi non vedervi mai più. Tutti! Ma tutti tutti. Nessuno escluso. Quelli coi 2 milioni, quelli col triennale firmato, quelli che gliel’hanno fatto firmare e quelli del "sono a Siena per rilanciarmi". Solo allora potremo dirvi: NON è stato bello, ma adesso finalmente è finita. A mai più!
Tutti uniti insieme avanzeremo.
Mirko
Eh già, anche io non vedo l'ora di fare ciò che dici....
RispondiEliminaSolo che, un anno fa circa, dicevamo le stesse cose, nella speranza - poi rivelatasi vana - che chiudere un ciclo orrendo potesse aprirne uno migliore.
Solo che l'anno scorso, nonostante le figure di cacca etc. eravamo tra l'ottavo e il decimo posto, quest'anno si rischia di tornare a Villabiagio....
Mi sovviene quindi il dubbio che il nostro auspicio - ormai di cadenza annuale - di far sparire tutti a maggio, porti alla comparsa di figuri e situazioni ancora peggiori di quelle appena scomparse, per l'ormai consolidato assioma del "al peggio 'un c'è mai fine".
Cosa augurarsi allora?
Io mi augurerei una proprietà seria, obiettivi chiari e progetti ragionevoli. Non ci serve la chimera della seria A. Abbiamo bisogno di risposte concrete e di un minimo di interesse per la nostra passione. Vorrei che potessimo tornare ad essere ambiziosi. Il pesce puzza sempre dalla testa. Concordo la presidentessa: se è lei che veramente comande, è lei la vera responsabile di questa assoluta tristezza.
EliminaMirko
Eh si, a non più rivedervi ..tutti tutti via...lo dicemmo anche lo scorso anno di questo periodo..giustissimo..pero' per non dirlo di nuovo il prossimo anno come si puo' fare ? Tutte persone giuste nei posti giusti ci saranno ?
RispondiEliminaCi si pensa io,te ed Egisto.
EliminaGente adatta nei POSTI giusti!
E si porta anche il cigno Romeo.
José Altafini(pensionato giusto al posto giusto).