Il canale youtube di wiatutti!

mercoledì 28 dicembre 2016

Ricordi, coincidenze e promesse (non mantenute)

Lo schema in realtà è piuttosto semplice da seguire.
Anche perché è sempre il solito. E quindi anche un tordo come il sottoscritto non dovrebbe avere grossi problemi a rispettare le regole.
Tutto ciò che viene scritto prima della partita della Robur finisce nella rubrica “Presentare il presentabile e l’impresentabile”, mentre i pezzi elaborati dopo vanno dentro alla “La partita psichedelica”. La prima presenta e la seconda racconta. Non essendoci un argomento preciso da sviluppare, è pressoché impossibile riuscire ad andare “fuori tema”. Eppure ho come l’impressione di andarci molto spesso.
Sovente mi capita di arrivare in fondo al foglio (grosso modo una pagina di word senza margini e spaziatura) e chiedermi: ma che ho scritto? E se poi lascio passare un minuto senza inviare la mail, finisco per cancellare tutto e ricominciare da capo. Esattamente come facevo alle superiori, durante il tema di italiano, quando al termine delle tre ore istituzionali, consegnavo a quel sant’uomo del professore di lettere soltanto un paio di brutte, perché non mi restava più il tempo per sceglierne una e ricopiarla in bella.
Che anni strani quelli delle superiori, passati a fare lo slalom tra contraddizioni ed insicurezze, con la speranza di rimanere in piedi fino a valle per provare a cercare, oltre la linea rossa dell’arrivo, il mio agognato posto nel mondo. Certo, potevo drogarmi come alcuni dei miei amici, ma il mio orgoglio acido e invadente non me lo avrebbe mai permesso. Tre cose mi piaceva fare: giocare a calcio, tifare la Robur e ascoltare le canzoni degli "Articolo 31". Tutto qui? Sì, direi che non ci fosse spazio per nient’altro.
Campo sportivo, stadio e stereo. Le giornate passavano veloci, l’importante era trovare sempre qualcosa da fare per non dover pensare a come riempire i profondi buchi dell’autocommiserazione, all’interno dei quali il mondo si faceva grande, grosso e minaccioso e sembrava volesse schiacciarmi nell’angolo più lontano della piccola cameretta addobbata di arancione. Con le ginocchia sporche di terra, il profumo dei fumogeni nel naso e le frasi in rima del mio gruppo preferito conficcate nel cervello, lasciavo che le stagioni si alternassero senza opporre resistenza. Conducevo un’esistenza silenziosa ai margini dell’esuberanza adolescenziale, nella quale il mio orizzonte pareva limitato al pari dei miei sogni e la paura di essere escluso dagli amici mi obbligava ad autoescludermi preventivamente. Forse ero tutto matto, forse ero soltanto “strano”, o forse ero identico agli altri, ma sta di fatto che passavo molto più tempo con un pallone fra i piedi, una sciarpa al collo ed un paio di cuffie nelle orecchie che sopra i libri. Ed infatti non ero certo il primo della classe.
Se però a scuola in qualche modo riuscivo sempre a cavarmela, con le ragazze era una vera e propria tragedia. Di fronte ad un qualsiasi esponente del gentil sesso finivo per bloccarmi, come se le parole – chiare e cristalline dentro la mia testa – rimanessero incollate alla lingua e non ne volessero sapere di venir fuori. E quando capitava di riuscire a rompere il ghiaccio, finivo per parlarmi addosso, risultando noioso ed incomprensibile. Tipo un filosofo tamarro di periferia, pieno di avverbi e frasi fatte, per il quale la parola sesso era soltanto una voce da questionario, compilabile con una crocetta vicino alla lettera M. Chissà, forse oltre che brutto ero pure stupido. Sì, devo ammettere che ero proprio il tipico personaggio che oggi prenderei per il culo. O forse odierei.
E così, con il tempo, ho lasciato tutto alle mie spalle, confinando i ricordi in una specie di limbo, dal quale – credevo - non fosse possibile riesumarli.
Poi capita che sul finire di un fresco pomeriggio di fine dicembre, molto prossimo al Natale in verità, il trillo di una telefonata alla quale hai già deciso di non rispondere rompa il silenzio della sera, proprio mentre stai chiudendo l’auto per precipitarti allo stadio. La Robur gioca l’ultima partita in casa dell’anno e non vuoi certo perdertela. Certo, la classifica non va come vorresti, ma dato che al peggio non c’è mai fine, occorre accontentarci, proprio come la mattina di Natale, scartando i regali. Il freddo se la prende con i piedi, condensando il fiato ed irrigidendo le labbra: anche parlarsi costa fatica. Sugli spalti solo pochi impavidi. Il telefono nella tasca interna della giacca a vento continua a lamentarsi. Con uno sforzo immane riesci ad estrarre un paio di dita dal guanto ed accetti la chiamata, passando la punta dell’indice da sinistra verso destra sullo schermo illuminato. 
Una voce familiare ti saluta dall’altro capo e senza convenevoli esclama: "C’è J-AX al Papillon questa sera. Si va?".
In un secondo, il seggiolino verde corroso dal sole, dal vento e dai postumi della gestione Mezzaroma pare sprofondare verso il centro della terra. Mentre il tempo, dopo un attimo di immobilità, comincia a scorrere al contrario. Intorno al campo spariscono le curve in metallo, la luna gialla si trasforma in un sole cocente e tutto il mondo diventa più luminoso. Robur e J-Ax. Nella stessa sera? No, hai la tentazione di bruciare l’invito. E poi, cerchi di convincerti, sono anni che non lo ascolti più con quella autistica voracità dei giorni migliori. Addirittura, ti sei anche promesso di non andare più ai suoi concerti. Troppo tempo è passato dai quei primi anni del 2000, durante i quali la Robur iniziava la sua salita verso il paradiso e lui decideva di cambiare genere, fino ad arrivare negli anni a seguire a sciogliere definitivamente il gruppo. ‘Il tuo gruppo’.
La voce dall’altro capo del telefono continua a ripetere: "Pronto? Ci sei?".
Ma non le presti attenzione. Sei lontano anni luce dallo stadio. Senti un boato, il Siena deve aver marcato. Non riesci a capire se a segnare è stato Marotta, Ghizzani o De Falco. Dagli strati più profondi della memoria riemergono frasi dimenticate. Facce, sorrisi e profumi persi nel tempo, sfumature lasciate distrattamente ai bordi dei ricordi e poi smarrite per sempre. Coincidenze impreviste e destini incrociati. Frasi sciocche e promesse non mantenute. Il Pontedera pareggia, la gente mormora. Il cuore batte all’impazzata. Per la prima volta dopo tanti anni, non sai che fare. Hai perso tutte la tue sicumere, faticosamente costruite nel tempo. Scalando l’abisso nel quale eri precipitato, ti accorgi di stringere ancora il telefono fra le mani. La Robur raddoppia. Aspetti di udire il nome del marcatore fuoriuscire dagli altoparlanti, ma riesci soltanto a leggere l’orario a led rossi sul vecchio tabellone: la gradinata ha perso la parte superiore. La partita finisce, ma la porta spazio temporale con il tuo passato rimane aperta. Sta a te decidere se oltrepassarla o restare nel presente.
Sfilando a fianco di un negozio chiuso, illuminato soltanto dalla luce dei lampioni, riesci a scorgere il tuo riflesso fermo sulla superficie lucida della vetrina: hai di nuovo i capelli e la visiera del cappello è girata al contrario. Tuo figlio si volta indietro, fermo in mezzo alla via ti sembra un lontano compagno di scuola. "Vieni come, stasera", gli dici tutto d’un fiato, "ti porto dentro al mio passato!".

Siena – Pontedera 2 a 1: prendiamo i tre punti e non lamentiamoci. Poteva andare parecchio parecchio peggio. Consideriamolo il nostro “regalo di Natale”.

Tutti insieme uniti avanzeremo.



Mirko.

Nessun commento:

Posta un commento