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venerdì 25 novembre 2016

Lo strappo alla regola

Dicono che a forza di stare assieme a qualcuno si finisca per assomigliarvi. Nei modi di fare, di parlare e soprattutto di pensare.
Io a questa cosa non ci avevo mai creduto, ma i fatti che seguirono l’inverno dello scorso anno, cambiarono tutto.
La coppia di signori che venne ad abitare nella meravigliosa mansarda del palazzo di mia zia, proprio sopra all’appartamento della nonnina minuta con il bassotto marrone ed i capelli montati a neve, irruppero nelle nostre vite con la forza di un tornado caraibico, stravolgendola per sempre. Arrivarono in sordina un bel giorno di metà gennaio e scendendo dalla grossa auto, tedesca e lucente, si guardarono intorno con l’aria spaesata di coloro che non sanno bene cosa sono venuti a fare. Appena il tempo di scambiare i soliti convenevoli di rito, più per educazione che per altro, con il padrone di casa – un ometto robusto con la faccia imprigionata tra un buffo cappellaccio di stoffa e un ridicolo papillon stretto intorno al collo – che i vicini già sognavano.

"Sono arrivati quelli nuovi", dicevano dandosi di gomito nascosti dietro le serrande dei garage o dentro il locale dell’autoclave. "Questi sì che sono dei signori", affermava convinto il professore di lettere del quarto piano. "Altro che quel contadino che c’era prima", gli faceva eco l’operario dell’Enel del primo. "Che veniva alle riunioni, parlava per 25 minuti e non si capiva mai niente di quello che voleva dire. Questa sì che è gente seria! Vedrai se non sistemano tutto il condominio in due balletti. A me sono mesi che piove in casa. Se quello scemo non vende, prima o poi crolla tutto il solaio a forza di infiltrazioni. Questi qua non vengono certo a Siena per speculare. Hanno in mente qualcosa di grosso! Ho anche sentito l’amministratore lamentarsi con il giardiniere: dice che anche loro siano a rischio. So’ venuti per comandare e vogliono cambiare le cose. E fanno proprio bene".
I signori venuti da fuori chiusero l’affare in due balletti e, sicuri della loro scelta, ancor prima di apporre le firme sul contratto consegnarono al proprietario uscente il denaro necessario per sistemare tutte le pendenze che aveva accumulato negli anni, lasciandogli addirittura tutto il tempo di trovare una nuova abitazione con calma, a patto che non si fosse più presentato alle riunioni e avesse smesso di utilizzare l’ascensore. A poco servirono le lamentele di alcuni vicini che avevano messo gli occhi sulla proprietà e che, mossi dal miraggio dell’affare, avevano più volte pagato le pendenze che il vecchio proprietario aveva disseminato in giro per la città. L’affare era concluso, i soldi versati e il futuro era chiaro. Il vento del cambiamento avrebbe presto soffiato nell’elegante ballatoio dell’ingresso, spazzando dal basso le bianche scale di marmo, con molta più intensità della signora bulgara che il martedì veniva a fare le pulizie. 
Per alcuni mesi tuttavia, dei nuovi proprietari si persero le tracce. Ad ogni riunione di condominio mandavano un emissario, che prendeva la parola e descriveva situazioni meravigliose nelle quali le antenne satellitari sarebbe state tolte dalle terrazze a favore di un unico apparecchio posto sul tetto, le coperture di amianto dei posti auto sostituite con strutture metalliche moderne e il piazzale riasfaltato di nuovo. La gente era tutto un brodo di giuggiole. Molti iniziarono ad amarli. Alcuni addirittura, a forza di parlare di loro, finirono per formulare gli stessi pensieri. In pratica, credettero di assomigliare loro e di far parte del loro giro. La fine era appena iniziata.
Il giorno della firma del contratto, che il vecchio proprietario per darsi un tono aveva definito “closing” nonostante la reticenza di quest’ultimo che improvvisamente aveva cambiato idea e la rabbia degli altri inquilini creditori verso di esso, i due signori divennero finalmente proprietari a tutti gli effetti dell’immobile ed iniziarono subito a parlare di progetti, che in molti già definivano “sogni”. Nel silenzio i freschi proprietari brigarono per far licenziare tutti coloro che avevano servito il vecchio “consiglio”: amministratore, giardiniere, signora delle pulizie, sostituendoli con gente nuova, di loro fiducia. Il nuovo amministratore, un loro giovane ed inesperto parente, illustrò immediatamente le nuove regole, appendendo un cartello in fondo alle scale, di fianco ai contatori della luce. Al primo punto si denunciava l’esigenza di ripitturare le pareti degli spazi comuni con colori più belli, scelti democraticamente da lui, nonostante fossero stati pitturati soltanto qualche tempo prima da tutti i condomini assieme. Il malumore cominciò a serpeggiare fra gli inquilini più anziani, che per protesta smisero di pagare la quota mensile del condominio. Tra i vari punti trattati, c’era anche la questione spinosa legata alla “regola della carta igienica” a causa della quale, per evitare le ricorrenti spese di pulizia delle fossi comuni, era stato vietato a tutti i condomini di pulirsi il sedere con più di uno strappo di carta per volta. Il malcontento era ai massimi livelli, anche perché dal tetto filtrava l’acqua e il riscaldamento andava a singhiozzo. L’impresario scelto dall’amministratore, chiamato per sistemare lo stabile, si stava rivelando un incapace, privo di idee e di fantasia. 
E fu così che in un bel giorno di autunno, il più nervoso dei condomini, per protestare contro il taglio dei due maestosi pini da anni orgoglio del giardino, affacciandosi alla finestra del bagno appallottolò un intero rotolo di carta igienica e gridando "Vergogna!" lo scaraventò giù per lo scarico. La gente rimase impietrita di fronte alla scena, anche se in realtà qualcuno già sorrideva, nel silenzio surreale che improvvisamente era calato sull’isolato. L’amministratore, rosso di rabbia e scuro in volto, dopo aver indirizzato un’occhiataccia in direzione del tipo, scappò a rifugiarsi in casa dei suoi datori. E così come era arrivato se ne andò, senza lasciarsi dietro alcun segno del suo passaggio. Per tutti noi invece, ancora increduli, quel momento divenne per sempre il “giorno dello strappo alla regola”. La gente piano piano smise di credere alle favole ed in poco tempo il palazzo tornò allo splendore di un tempo. Dei nuovi proprietari, arrivati un giorno di metà gennaio con una potente automobile tedesca, nessuno seppe più nulla.

Renate – Siena: dopo il Giana qualcosa e il Tuttocuoio, ecco il Renate di Renate che gioca a Meda. Terra di Brianza sospesa tra il Manzoni ed il cavaliere. È proprio vero: al peggio non c’è mai fine.

Tutti uniti insieme avanzeremo.



Mirko

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