Le piccole gocce di acqua sparse sul fondo del lavello emanavano una luce iridescente sotto quella delle lampadine colorate appese al soffitto.
Schiacciata dal peso della verità appena appresa, Michela se ne rimaneva immobile, nell’attesa che intorno a lei il mondo smettesse di girare. In gola, il gusto amaro dell’angoscia le ricordava il sapore della novalgina che la nonna le somministrava da piccola, per sedare i ricorrenti mal di testa.
Con lo straccio umido intriso di alcool asciugò la superficie argentea del lavandino, aggrappandosi a quel gesto per non scoppiare a piangere. Alessandro era tutta la sua vita e, nonostante tutte la sofferenza derivante da un amore non corrisposto, il solo pensiero che potesse soffrire le riempiva il cuore di tristezza. Scacciando velocemente i pensieri malinconici di un passato ormai lontano, alzò la testa e strinse gli occhi fino a farli diventare due piccole fessure celesti, ruotandoli velocemente verso il suo interlocutore in cerca del suo sguardo. Quando aprì bocca, nella sua voce non c’era traccia di rancore, ma soltanto compassione mista a delusione.
"Che vuoi da me?", chiese mordendosi nervosamente le labbra, tentando di placare il crescente nervosismo accanendosi su di un lembo del grembiule. Massimiliano la guardò di sottecchi, anestetizzato dalle tossine ingerite nel corso della serata.
Incapace di aspettare la risposta, Michela continuò: "Chi sei? Chi ti ha mandato qui?".
Il ragazzo parve non dare peso alle parole appena udite e, alzandosi di scatto dallo sgabello, si scrollò le spalle e chiese bruscamente: "Dov’è il bagno?". In piedi al centro della sala, dopo qualche secondo di smarrimento, individuò un’apertura nel muro illuminata da una luce fioca e vi si diresse barcollando.
Rimasta sola, Michela osservò il poster appeso alla parete di fronte - “The power of love”, recitava la scritta stampata in rosso su sfondo blu - e sorrise amara ripensando al suo di amore, finito disperso nella notte dei tempi senza mai essere consumato. Il pensiero volò immediatamente ad Alessandro e l’immagine del suo bel volto comparve immediatamente davanti ai suoi occhi. Si erano conosciuti un giorno di tanti anni fa…
Se ne stava seduta come tutte le mattine in cima a Via San Salvadore ad ammirare la Basilica dei Servi dall’altra parte della collina, quando le si era avvicinato un ragazzino gentile dall’aria un po’ spaventata, che si era seduto senza aprire bocca. Col tempo avevano finito per rompere il silenzio e il fiume di parole che ne era scaturito aveva rotto ben presto gli argini, inondando le loro vite. Dal loro personalissimo punto di vista, osservavano la grande chiesa di mattoni rossi innalzarsi maestosa sullo sfondo del cielo azzurro delle estati senesi e immaginavano il domani.
"Non mi dire mai ciò che sogni!", le ripeteva Alessandro, serio: "Altrimenti non si avvererà niente".
I sogni di Michela in realtà erano piuttosto semplici: figlia di un ufficiale dell’esercito e di una professoressa di lettere di Verona, aveva visto i suoi genitori dirsi addio una sera di dicembre, mentre tutta la città sembrava drogata dall’atmosfera natalizia. La mamma, dopo qualche settimana di tira e molla, aveva finito col tornarsene in Veneto, autoescludendosi dalla sua vita senza nemmeno chiederle un parere e delegando al babbo e ai nonni paterni il compito di crescerla. Col tempo aveva finto di non patire la sua assenza e si era fatta forza da sola, aiutata da una nonna incantevole ed un nonno meraviglioso. Osservando l’imponente basilica, sognava il giorno in cui, vestita di bianco e circondata da fiori profumati, qualcuno le avesse chiesto davanti a Dio di amarla e rispettarla per tutta la vita. Poi l’irruzione di Alessandro nella sua esistenza aveva reso tutto molto più semplice ed il futuro era virato improvvisamente verso le tonalità pastello dei sogni a lieto fine.
Anche lui osservava spesso la chiesa, ma i suoi desideri volavano via, lontani da essa e da quel pezzetto di mondo che reputava troppo piccolo per contenerli tutti. Il ragazzo voleva scoprire cosa ci fosse oltre l’orizzonte, conoscere il mondo e fare qualcosa d’importante. Se per Michela la basilica era un punto di arrivo, per Alessandro era soltanto un punto di partenza.
La piccola donna rapidamente si innamorò del giovane, scoprendosi ben presto fragile e vulnerabile. Alessandro non tardò ad accorgersi del potere che riusciva ad esercitare sull’amica e, nonostante i buoni propositi, finì meschinamente per approfittarsene. Poi, tangenzialmente alla loro amicizia, comparve Laura, coetanea di Alessandro e sua vecchia compagna di scuola. Per Michela fu l’inizio della fine. Nel giro di qualche settimana capì che fra i tre sarebbe sempre stata “l’altra” e i ragazzi intesi come maschi persero d’interesse. Tuttavia non riusciva a staccarsi da Alessandro e nonostante la sofferenza e i pianti notturni, si sforzò di recitare il ruolo della perfetta amica. Il colpo di grazia le arrivò qualche anno più tardi, di ritorno dalla prima trasferta della Robur in serie A, quando sorprese Laura e Alessandro a scambiarsi un bacio fuori dallo stadio. La terra le sparì da sotto i piedi ed il mondo le parve crollare. Pochi minuti prima li aveva fotografati sorridenti sui gradoni delle tribune, ma in quel momento avrebbe volentieri distrutto la macchina fotografica e bruciato il rullino, se Alessandro non le avesse chiesto di sviluppare le foto per ricordare quella giornata meravigliosa. In seguito poi quella foto maledetta finì per essere appesa ad una parete del soggiorno di Laura, costringendola a girare lo sguardo ogni qualvolta andava a trovarla…
Versandosi una generosa porzione di vodka, attese che Massimiliano terminasse i suoi bisogni e chinandosi per riempire la lavastoviglie notò il luccichio del display del suo cellulare, lasciato distrattamente vicino al registratore di cassa. Sul piccolo schermo del dispositivo lampeggiavano le icone di due messaggi di “what’s up”. Leggendo il mittente del primo ebbe un tuffo al cuore; pur non avendo quel numero salvato in rubrica, riconobbe immediatamente la sequenza familiare: d’altra parte Alessandro era sempre stato un numero troppo facile da imparare a memoria. Come una stupida, sorrise nel pensare che se in tutto questo tempo non aveva cancellato il numero, forse per lui contava davvero qualcosa. Scacciò la speranza e aprì il messaggio: “Sto a pezzi. Sei al locale? Passo a bere qualcosa. Non te ne andare. Ho bisogno di te.” Una faccina triste chiudeva il breve testo. L’altro messaggio la lasciò senza fiato. Era Laura e quaranta minuti prima le aveva chiesto se poteva raggiungerla al pub. "Bene", pensò Michela, "quasi quasi me ne vado io e li lascio tutti qui". Poi, riponendo il sarcasmo nell’armadietto delle cose da non fare, fu colta da un improvviso attacco di ansia. Incespicando nella pedana del bancone si avventò verso la porta del bagno, colpendola con forza.
Dopo qualche pugno iniziò a gridare: "Esci immediatamente. Te ne devi andare. Subito!".
Ricevendo in risposta soltanto un sonoro rutto accompagnato dal rumore dello sciacquone.
"Esci, ti ho detto! È tardi e voglio andarmene!". Massimiliano aprì la piccola porta accompagnando le sue parole con un sguardo perplesso: "È tutto ok? Che ti prende?", chiese dubbioso.
"No, no che non lo è", rispose Michela: "Tu oggi pomeriggio hai fatto un gran casino, ti sei scopato la ragazza del mio migliore amico e poi – strana coincidenza – sei corso a raccontarmelo. Ma io adesso non ho nè la forza nè la voglia di continuare a starti a sentire, quindi per piacere: esci e lasciami in pace!".
"Oh, ma che cazzo dici? Che ti prende?", tentò di difendersi lui. "Che è ‘sta storia del tuo migliore amico?", chiese incerto.
"Niente", rispose Michela: "Affari miei. Fuori di qui!". "Perché?", ribattè testardo Massimiliano, più divertito che arrabbiato.
"Perché", incalzò furente Michela, "Alessandro e Laura" stanno venendo qui!".
E proprio in quel momento il cellulare di Michela iniziò a suonare, emettendo le note di una vecchia canzone dei Rats: “Chiara ho letto il tuo messaggio sui gradini della scuola”…
La musica squarciò il silenzio, mentre all’ingresso del piccolo locale una voce maschile chiedeva di entrare.
Mirko
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