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mercoledì 4 novembre 2015

Le lingue di Menelicche

Avvicinandoci allo stadio abbiamo in testa più dubbi che certezze.
Questa sera riusciremo a capire chi siamo? Gli interrogativi si accalcano davanti al portone della mia mente e io non sono sicuro di volerli far salire. La sconfitta con la Maceratese di domenica scorsa brucia ancora. Prendere goal al minuto 94 non è piacevole. Roba da far perdere l’appetito.
Contrariamente alle aspettative, invece la fame arriva poco prima di uscire dalla superstrada. Urge mangiare qualcosa prima di entrare allo stadio. Anche perché a stomaco pieno si ragiona meglio. Per la scelta del locale, non c’è che l’imbarazzo della scelta: bar, fastfood, pizzerie, paninari. 
La zona commerciale del paesone industriale della bassa pisana sembra esattamente uguale a centinaia di altre zone commerciali sparse nel mondo. Osservando il panorama dal finestrino finisco a pensare che tra luci arancioni, multisale e Burgerking potremo essere ovunque: Varsavia, Colonia, Madrid. Mi sorprendo a canticchiare Ragazzo dell’Europa, una delle canzoni più belle del repertorio della Giannona nostrana. Ripenso a quando, qualche anno prima, c’avevo creduto davvero a diventare un ragazzo dell’Europa e girare il continente con la sciarpina bianconera. I presupposti c’erano ed i soldi anche. Invece tutto è finito nel giro di qualche anno. E adesso eccoci qua, a vagare per Pontedera in cerca della cena a mezz’ora dal fischio d’inizio.
La scelta del locale viene presa in maniera un po’ casuale. Ci piace l’idea più che altro. In fila indiana varchiamo la soglia dopo aver litigato con la porta: il cartello "TIRARE" non ne voleva sapere di essere spinto. All’interno l’aria è intrisa del profumo di carne alla griglia e patatine fritte. I colori sono accesi, la musica è solo un sottofondo e alle pareti fotografie di auto d’epoca e ragazze burrose contribuiscono a creare un ambiente posticcio. Cameriere sui pattini sfrecciano veloci tra i tavoli. "Anni '50", penso con entusiasmo. Poi penso agli anni '50 vissuti dai mie nonni e mi assale l’amarezza. Come due sentinelle in attesa del cambio, di fianco all’ingresso troneggiano le statue Elvis e di Marilyn. Passandogli accanto, ho l’impressione di essere osservato: se non fossi sicuro di essere sobrio al 100%, giurerei di averle viste muoversi. Spinto da un’insensata curiosità, faccio qualche passo nella loro direzione e dopo qualche secondo trovo la conferma che cercavo. Elvis sta bisbigliando qualcosa nelle orecchie di Marilyn, la quale ci guarda perplessa. Ai loro occhi dobbiamo dare l’impressione di essere la compagnia dell’anello, penso. Ma poi scaccio quel pensiero: dubito che abbiano mai letto Tolkien. 
Il Re indossa una giacca gialla e tiene in mano la sua Fender Rossa, mentre la sua dama tenta di tenere a bada la gonna bianca un po’ troppo svolazzante. A vederli così sembrano felici e non danno l’impressione di essere morti da decenni. Elvis smette di suonare e mi fissa, mentre il tempo pare fermarsi. Intorno a me la vita scorre regolare: bimbetti mascherati gridano allegri e i genitori annoiati controllano il cellulare. È Halloween, ma sembra carnevale: mancano soltanto le lingue di Menelicche. 
Mentre aspetto che una statua di plastica mi rivolga la parola, penso che ho decisamente bisogno di parlare con qualcuno bravo. Il telefono in tasca sembra vibrare, lo tiro fuori e accendo il display: Marilyn lo guarda incuriosita. Dalla sua espressione ricordo che non ne ha mai posseduto uno. "Chissà come sarebbe flirtare con un distorsione della mente", mi chiedo. Ma, come se avesse capito i miei pensieri, la voce di Elvis mi riporta alla realtà (…). "Che ci fate qui?", domanda. È incredibile, sembra esattamente lo stesso timbro di “Suspicios Mind”. So che mi sto immaginando tutto, ma sembra proprio lui. 
Meravigliato rispondo: "Io? Voi piuttosto, che ci fate a Pontedera?". 
Si guardano e scoppiano a ridere, lasciando cadere la domanda. "Non vi abbiamo mai visto in giro!", riprende lei mentre si guarda distrattamente le unghie laccate. 
"Veniamo da Siena e siamo in città solo di passaggio!", controbatto. 
Lui mi rivolge un sorriso complice e mi strizza l’occhio mentre lei scuote la testa.
"No, cosa avete capito? Niente donne questa sera, loro sono a casa ad aspettarci. Questa sera gioca la Robur!". 
"Cos’è la Robur?", chiede Marilyn. 
"È la squadra di calcio di Siena". 
Elvis mi interrompe bruscamente, lasciandomi a bocca aperta: "Al diavolo il calcio. Voi italiani pensate solo a quello!". 
"No", controbatte Marilyn, "il mio Italiano pensava solo al baseball!". 
"Taci un attimo!", la zittisce lui. 
Vedere i due litigare mi riporta alla mente i vicini di casa ultraottantenni che passavano le giornate a gridare sul terrazzo. Chissà come sarebbero diventati, se avessero avuto la possibilità di invecchiare. 
Non credo che i miei di compagni di avventura si stiano accorgendo di nulla. Anche perchè sono passati pochi secondi dal nostro ingresso del locale. Elvis mi squadra e mi chiede: "Cos’è per te la Robur?". 
"Un pezzetto della mia vita! Sono passate le stagioni, le ragazze sono diventate moglie e i figli si sono fatti grandi, ma lei è sempre stata l’unica certezza. La domenica alle 14.30, il sabato alle 18 o il lunedì alle 20.30. In casa o fuori, con il sole e la pioggia. Lei c’è sempre stata. Nella storia della mia vita lei è l’eroina e gli avversari sono i cattivi. E di solito l’eroe trionfa sempre". 
Elvis pare soddisfatto della mia risposta: "In bocca al lupo!", mi dice, mentre Marlyn mi manda un bacio. "Tornerete grandi, noi lo sappiamo già. Portate pazienza e non disperate, ma sappiate che siete nel giusto!". 
All’improvviso ci provo: "Conosci il risultato di questa sera?". 
"Sì!", mi risponde. 
"Vinciamo?". 
"Non te lo può dire!", si intromette brusca la donna, "altrimenti si arrabbia!".
"Si arrabbia chi?", chiedo. 
Ed in coro mi rispondono: "Il guardiano dei sogni!". E ridendo mi congedano.
Alla fine i miei compagni di avventura hanno deciso di non mangiare. Il tempo stringe e la Robur chiama. Prima di uscire vedo Marilyn chiedere ad Elvis: "Ma chi erano?". 
E lui: "Non lo so, ma sembravano la compagnia dell’anello!".

Pontendera – Siena: 2 a 2. Ricominciamo! Adesso abbiamo capito: noi siamo gli eroi e loro i cattivi. E gli eroi vincono sempre!

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