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martedì 30 giugno 2015

Troika & scale mobili


Quando da ragazzo qualcuno diceva: “Domani arriva la Troika”, immediatamente il mio cuore iniziava a battere forte e il cervello volava verso avventure peccaminose, di quelle che si raccontano agli amici dopo il sesto limoncello. 


In realtà non avevo la benché minima speranza di combinarci niente con la Troika di turno, ma non ne avevo certo paura. 
Dopo 20 anni invece, scopro con sgomento che la Troika ha assunto un potere abnorme ed i Greci ne hanno un terrore mortale. E allora mi domando: che cosa potrà fargli mai di male ai barbuti ellenici, una ragazza brillante e discinta, che non riesce mai a tenere le gambe chiuse? Mah… E poi mi chiedo: sarà mica il ricordo del Cavallo di Troika a tormentarli? Francamente il dubbio mi assilla da mesi, impedendomi il riposo notturno. 
Anche perché – al pari dei Greci – anche io sono cresciuto con le mie paure, alcune delle quali talmente bizzarre da costringere il mio psicologo a lunghe sedute di analisi. E fra tutte le fobie che hanno accompagnato la mia esistenza, una rivendica senza dubbio il ruolo di protagonista: vuoi per il cognome che porto (Pioli) o vuoi che Siena è la città del Santa Maria, io ho sempre avuto il terrore delle scale (e soprattutto di quelle mobili). 
La paura della scale tuttavia non nasce per caso, ma ha radici origini molto profonde. Per spiegarmela sono dovuto andare a scavare a lungo dentro di me. Magari se mi facevo un orto e scavavo la terra per togliere i sassi e piantare patate e pomodori, guadagnavo di più. Dopo tanto pensare riuscii comunque a capire che anche dietro alle mie paure c’era una Troika… E il motivo era molto semplice, anche se un po’ doloroso. 
Da piccolo avevo il difetto di non riuscire a capire quando una ragazza potesse essere interessata a me. Quindi, tra musate colossali (tante) e occasioni perse (poche), vivevo la mia vita di gazzilloro solitario orfano di un’anima gemella, con la sessualità di un corista delle voci bianche. Spinto da un animo indomito, tuttavia, decisi di cercare caparbiamente la mia mezza mela in tutti gli angoli della città e delle campagne circostanti, aiutato solo da un mezzo cupido armato di una mezza freccia. E per capire quale fosse la ragazza giusta, architettai un sistema impeccabile, che la fisica moderna non stenterebbe a definire “geniale, scientifico e a costo zero”: mi sarebbe infatti bastato portare una ragazza su di una scala mobile per leggerle nel pensiero. 
Se si fosse fermata al gradino precedente al mio, sarebbe stato il segnale che essa mi vedeva come un amico/fratello maggiore; mentre se la scelta fosse caduta sul gradino successivo al mio, mi avrebbe visto come uno schiavetto/zerbino; se invece avesse preso posto sullo scalino accanto a me, avrei avuto la prova tangibile di aver trovato l’amore. 
Risolto il primo dilemma, me ne rimaneva un altro, diverso ma altrettanto grave. A Siena, negli anni '90, non trovavi una scala mobile a pagarla e per giunta il Presidente del Consiglio, nel Luglio del 1992, l’aveva anche abolita. "Oltre al danno la beffa", pensavo! Il mio sogno d’amore distrutto da uno che si chiama Amato. "Tanto a lui mica importava niente", singhiozzavo nel buio della mia cameretta, mentre Canale 3 mandava in onda le repliche dei palii degli ultimi 40 anni, "... lui in vita sua sarà stato sicuramente Amato e forse avrà avuto anche qualche amante" (tanto per snocciolare entrambe le declinazioni del participio del verbo amare). Ma io? Niente... condannato a vivere una vita di affetti sterili in un deserto di solitudine. 
Poi, improvvisamente, le cose cambiarono e la città scoprì le scale mobili. La risalita di San Francesco fu la prima, ma purtroppo mi sfuggì. Mi accorsi della sua presenza soltanto allorquando De Luca ci piazzò vicino la bottega del “fu” Ac Siena… Troppo tardi. Quelle delle Grondaie non erano utilizzabili: non potevo certo invitare una ragazza per il primo appuntamento alla Coop. E che le avrei offerto? Un filo da mezzo chilo, due yogurt e un paio di etti di prosciutto nostrano? No, per carità, avrebbe scambiato la mia generosità per voglia di mettere su casa e sarebbe scappata a gambe levate. In seguito costruirono quelle della Pam e quelle del Metropolitan. Le prime purtroppo erano troppo lunghe: rischiavo di salirci da single e scendere da cornuto, senza contare che a mezzo avrei trovato anche un pretesto per litigare. Le seconde invece andavano benissimo; peccato che per farle mi avevano tolto il cinema, cancellandomi il posto ideale dove poter far franella. E allora? Altre non ne conoscevo, gli anni passavano e le ragazze trovavano marito. E io? Niente niente, ero solo carne da Sabroso, avrebbe detto un poeta di periferia. 
Un bel giorno invece conobbi una ragazza, bella come Martina Stella e intelligente come la compianta Margherita Hack (vi prego di non invertire le qualità, altrimenti ne fuoriesce un fumetto manga). Al primo sguardo avevo già il suo nome tatuato sul mio cuore e per bloccare le farfalle nella pancia dovevo innaffiarmi l’ombellico con il Flit. Alla fine di un lungo corteggiamento, fatto di appostamenti notturni e sms mielosi, conditi con pezzi di canzoni d’amore new-melodiche italiane, la creatura si decise ad uscire con me. Come luogo dell’appuntamento scelse le scalette dei bagni. L’autunno solleticava il naso all’estate, il sole stava spofondando dentro la fortezza ed io mi sentivo Brad Pitt. Per non fare tardi arrivai sul luogo dell’incontro 25 minuti prima. Lei arrivò puntualissima, bellissima e profumatissima e in un tripudio di superlativi assoluti mi raggiunse sulle scale. Io ero fermo sul terzo gradino e lei si fermò esattamente accanto a me. Il cuore ebbe un balzo! Guardandomi negli occhi mi disse: "Ciao!" e prendendomi per mano aggiunse: "Lesto, vieni con me!". "Dove andiamo?", le chiesi. Portandosi l’indice davanti allo stepitoso nasino mi disse: "Shhh, sorpresa". Attraversare Piazza della Posta stringendo la sua mano fu chiaramente il punto più alto della mia carriera da Golden Boy, tipo Corona con Belen o Mastrota con Natalia Estrada. In realtà non fu una vera e propria camminata da innamorati, fu piuttosto lei che tirava il mio polso, tipo la bidella che porta il somaro dal preside; ma lì per lì non ci feci caso. "Vorrà fare shopping", pensai - aggiungendo immediatamente - "con te verrei anche alla Tognazza a gamba zoppa". Invece mi portò dentro un famoso negozio di ottica del corso e si fece aiutare dalla commessa a scegliere un binocolo da passeggio. Lo soppesò con la mano destra, me lo porse e mi disse: "Tieni, questo è tuo. In futuro ti potrà servire, perché una come me, te, non la vedrai nemmeno col cannocchiale!". 
E capii, per sempre, cosa significa “occhio allo scalino”...

2 commenti:

  1. grande.................

    Gianluca

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  2. Finalmente una storia che non conoscevo. Bella come sempre la linea di narrazione.

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