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lunedì 13 aprile 2015

Pugnando nel Campo


Sin dal Duecento, prima ancora che la Piazza assumesse la forma attuale e venisse costruito il Palazzo Pubblico sede del Podestà e del Governo dei Nove, i Senesi cominciarono a celebrare “i loro trionfi più significativi” nel Campo.


Il nuovo epicentro della città, “assunse un valore di sintesi spaziale nel tessuto urbano e di luogo teatrale per ogni tipo di esperienza, quotidiana oppur legata a manifestazioni particolari come feste, giostre, tornei ed altri simili intrattenimenti”, per dirla con Giuliano Catoni. 
A partire dal gioco di gran lunga preferito, la pugna, dove più che in ogni altra competizione è palese la trasposizione delle lotte di fazione e delle rivalità tra quartieri, la cui pratica indefessa, proseguita per secoli nonostante le reiterate proibizioni dei governanti, mette in risalto un’altra indubbia indole dei Senesi. La letteratura, infatti, è stracolma di riferimenti alla loro abilità nel praticare questo gioco. Nel XVIII secolo Uberto Benvoglienti si diceva sicuro che sarebbe stata “cosa impossibile sradicare una usanza così confacevole alla natura de’ Sanesi e che più tosto sarebbero mancati gli abitanti che l’uso di tal giuoco”, mentre Giugurta Tommasi, nella sua storia cittadina data alle stampe nel 1625, annotava che “in Toscana giocare a pugna è ed è sempre stata prerogativa del popolo Sanese”. 
D’altra parte, il loro talento nel menar le mani era diventato così proverbiale da aver varcato le frontiere patrie. Il britannico Peter Beckford, durante una visita in città nel 1787, scrisse nel suo diario di viaggio: “un tempo i Senesi erano pugili rinomati; non sorprende dunque sapere che vennero assegnati loro specifici luoghi della città a seconda del rango. I nobili combattevano nella Piazza grande; gli studenti a S. Agostino; i borghesi non me lo rammento; i domestici in Piazza del Carmine; i facchini a S. Domenico. Tempo deputato agli scontri era il Carnevale e in tale periodo non c'era restrizione alcuna. Né era sconveniente che un gentiluomo si mettesse a ballare il minuetto con un occhio nero ed il naso schiacciato”. 
Nonostante le parole di Beckford, non c’è dubbio, tuttavia, che la pugna fosse un gioco prettamente popolare e di origine remotissima, anche se verosimilmente non così lontana come scritto dal Tommasi, secondo cui i primi combattimenti sarebbero stati disputati addirittura a Roma nel Circo Massimo, dove venivano convocati anche i giovani senesi, già allora insuperabili in quel tipo di “sport”. Notizia peraltro vera, almeno in parte, perché una fonte autorevole come Tito Livio parla di pugili abilissimi provenienti dall’Etruria, anche se non esplicitamente da Siena. 
Di certo veniva combattuta già intorno alla metà del Duecento, insieme ad una sua variante ancor più violenta, l'elmora, visto che il più antico divieto di disputarla risale al 1253. Tutto inutile, però, se il Costituto del 1262 proibì il lancio delle pietre nel Campo durante la pugna e gli altri giochi che vi si tenevano ogni anno, a causa del quale, si legge testualmente, “morivano molte persone”. Proibizioni che si succedettero nel corso di tutto il Trecento, anche perché alcune edizioni furono particolarmente sanguinose. 
Dietro le accese zuffe nel Campo, infatti, non di rado si celava un elemento assai pericoloso per la stabilità cittadina: in periodi di malcontento popolare o di turbolenza politico-sociale, una violenta pugna poteva rapidamente sfociare in una rivolta tesa all’abbattimento del governo in carica, come probabilmente successe, senza esito, per il carnevale del 1318 o ancor più cruentemente nel 1324. In quest'ultima occasione presero parte alla “gara” più di mille persone, ma ben presto la classica pugnata (di norma combattuta tra due squadre – il Terzo di Città contro gli altri due – che dovevano riuscire a “cacciare” dal Campo la schiera avversaria con pugni e schiaffi dati a mano aperta, le cosiddette “boccate”) si tramutò in una battaglia in piena regola. Per sedarla dovettero intervenire il Podestà, i Nove, il Capitano di Guerra e finanche il vescovo Donusdeo Malavolti con preti e frati; alla fine si contarono moltissimi feriti, diverse case e botteghe incendiate, ma soprattutto quattro morti rimasti sul Campo. La virulenza della contesa fu tale che così la riassume un anonimo cronista: “era tanto il romore nel Campo, che parea andassine il mondo sotto sopra”. 
Il Governo reagì duramente e per qualche anno la pugna non fu più disputata, ma i divieti non riuscirono ad estirpare una passione così viscerale. Finché nel 1394 non ci si arrese all’evidenza: dopo l'ennesima pugna piuttosto lottata, il Consiglio Generale impose al Podestà di non intervenire per punire i colpevoli, avendo coinvolto praticamente l’intera cittadinanza. Non solo, d'ora in poi tale norma doveva essere applicata sempre, avendo preso atto che la pugna per il carnevale era consuetudine antichissima, popolare e dunque ormai da tollerare; tanto che nel Cinquecento Bartolomeo Carosi, il celebre profeta Brandano, ammoniva i Senesi con queste parole: “Guai a te Siena, quando non farai più alle pugna”! 
Certo si cercò di edulcorarla almeno un po', e forse anche per questo dai primi del Quattrocento fu introdotto un altro agone, la pallonata, sulla carta meno violento e più tecnico, anche se i Senesi lo interpretavano a modo loro. Sentiamo ancora Uberto Benvoglienti: “Il nostro giuoco ha fuoco e spirito e non è tanto intellettuale come è quello di Firenze” (!), anche se, ci teneva a precisare, pure nel calcio senese era necessaria “particolare industria, come nel saper battere a tempo, non dare in fallo, non lasciarsi assalire all'improvviso, scappare a tempo, ingannare nel corso ed altri ingegnosi strattagemmi”.
Le testimonianze sull’evoluzione di questi primitivi giochi senesi consentono di comprendere meglio la sopravvivenza di uno spirito di parte incanalato nell’antagonismo tra rioni, ma alimentato anche da divisioni di natura sociale o politica, che con il tempo, pur mutando le strutture di governo e dei rapporti tra cittadini, divennero naturali costanti di una città dalle caratteristiche culturali così vischiose da apparire come un'unica antica corporazione. Anche perché dai primi del Quattrocento iniziarono a giocare alla pugna proprio le Contrade, a cui va il merito di aver mantenuto vivo lo spirito di rivalità, fin dal Medioevo sublimato in diversi tipi di feste, ridotte alla fine solo alla pugnata e al Palio alla tonda. 
Prima di parlare di quest'ultimo, però, vale la pena ricordare la pugna più “bella” e commovente giocata nel Campo, così come la racconta un celebre testimone.

(continua)

 


Roberto Cresti

1 commento:

  1. Messer Biagio durante l'assedio ispano-tedesco?

    L'Irlandese Volante

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