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lunedì 14 luglio 2025

In difesa di Francesca Albanese (e contro i gangster USA)

Gli USA annunciano sanzioni contro la relatrice ONU Francesca Albanese, colpevole di aver denunciato il "business del genocidio" contro i palestinesi (vedi nostri articoli precedenti). Un attacco alla giustizia internazionale e un segnale inquietante a chi osa sfidare l’impunità di Israele e dei suoi alleati.


La motivazione? Aver fatto il proprio lavoro. Aver denunciato, con rigore documentale e coraggio civile, il ruolo attivo di numerose aziende - molte delle quali statunitensi - nel cosiddetto business del genocidio contro il popolo palestinese. Che in termini pratici vuol dire finanziare la mattanza che uno Stato terrorista da anni sta conducendo contro un popolo indifeso.

Dietro la retorica ipocrita del segretario di Stato nonché gangster Marco Rubio, che definisce vergognosi gli sforzi della relatrice per spingere all’intervento la Corte Penale Internazionale, si cela la evidentissima verità: gli USA non tollerano che si metta in discussione l’impunità garantita ai propri alleati e alle proprie multinazionali. Le stesse aziende chiamate in causa da Albanese (Amazon, Alphabet, Microsoft, Palantir e Lockheed Martin, ecc) non sono solo fornitori di tecnologie, ma protagoniste operative di un sistema industriale che alimenta l’occupazione, la sorveglianza e la distruzione sistematica dei territori palestinesi.

Il fatto che la punizione consista in sanzioni personali contro una funzionaria delle Nazioni Unite rappresenta un pericoloso precedente. È la conferma che chiunque osi denunciare Israele e i suoi complici, anche con una moltitudine di prove alla mano, sarà aggredito, delegittimato e, se possibile, annientato sul piano personale e professionale. Un messaggio diretto a tutti gli osservatori internazionali: tacere o subire ritorsioni.

L’azione americana è arrivata - non a caso - mentre Netaniao era in visita negli USA e la diplomazia israeliana godeva della protezione totale dell’amministrazione Trumpete, nonostante lo psicopatico abbia sul groppone un mandato internazionale di arresto. La sincronia tra questa visita e le sanzioni alla Albanese denuncia un inquietante coordinamento politico e un tentativo palese di intimidazione contro chiunque osi fornire strumenti giuridici alla causa palestinese.

L’ONU, da anni paralizzata dai veti USA, non ha ancora espresso una posizione ufficiale. Neppure l’Itaglia, patria della giurista, vergognosamente attenta a non disturbare i padroni rispetto a difendere una sua cittadina premiata a livello internazionale.

Colpire Francesca Albanese significa colpire la possibilità stessa che la giustizia internazionale possa agire di fronte a crimini sistematici. Significa minacciare le Nazioni Unite dall’interno, piegarle alla volontà dei più forti. Se passa il principio che chi denuncia il genocidio può essere punito, allora siamo davvero entrati in una fase post-legale della storia occidentale. Noi lodiamo Francesca Albanese, che ha fatto quello che dovrebbero fare le istituzioni: dare voce alle vittime e pretendere responsabilità. Tutte cose che in questo mondo lanciato verso l'autodistruzione non valgono più niente.

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