In queste notti per lo più insonni ascolto quasi sempre Moby. Ed in particolare le sue canzoni più tristi, che raggiungono un grado di tristezza che nemmeno la tristezza più cupa può toccare. Elettronica mista ad archi, una voce rotta e stonata, parole sussurrate. Quando c'è da patire forte, il mio modo per attutire la botta è ritirarmi nella stanza degli orrori, forse secondo il noto principio psicoterapeutico secondo cui una paura si scaccia con una paura più grande.
Stanza dalla quale però lascio passare a volte qualche spiraglio di luce. C'è in particolare una canzone di Moby che mi ha sempre fatto ridere, "Raining again". Ballabilissima, di facile ascolto. Ci sono moltissimi video live in rete in cui, per questa canzone, una moltitudine di persone balla, salta, canta.
Ecco, ma noi quando mai potremo rivedere un concerto con migliaia di persone? Quando potremo mai riandare allo stadio per una partita di calcio? Quando potremo rivedere una mostra d'arte? Quando potremo riassaporare l'aria calda di una cena in contrada d'agosto?
Nei salti temporali della mia mente, da quando tutto questo è iniziato, quasi mai mi trovo nel presente. Ed allora, spiccando il volo un po' più in là, mi avventuro un anno avanti, a fine marzo 2021. Ma questo futuro non lo vedo, la mia immaginazione non arriva a ipotizzarlo. In qualche flash c'è questo blog fermo, fisso su questo articolo, come in animazione sospesa, mentre una razza di alieni sta analizzando tutta la documentazione che l'umanità ha lasciato dopo che il virus mortale l'ha distrutta. In un altro siamo ancora tutti in casa, ridotti al lumicino, mentre fuori bande di fuoriusciti tentano di svaligiare i supermercati per avere da mangiare. In un altro ancora è avvenuto il miracolo di un mondo cambiato e riconvertito a maggiore eguaglianza sociale. Ma non sono sicuro, davvero. E' la prima volta che mi capita: non vedo un futuro. Ma è un bene o un male?
E così una lacrimuccia scende quando, appunto, rivedo una moltitudine di persone che canta e balla, tutta insieme. A me, uno degli esseri più odiosi e antisociali del globo, viene da piangere a vedere tanta gente tutta insieme? Ebbene sì. Perchè - e ci si accorge sempre tardi della cosa - non avevo capito quanto fosse importante vivere a pieno tutti i momenti passati. Penso che questo faccia parte di un discorso interiore che un uomo fa prima di morire; chi vuole, ha la "fortuna" di elaborarlo ora, non ancora da trapassati ma pervasi da un senso di totale incertezza ed insicurezza, trasportati su tante nuvole di cotone, pronte a sfaldarsi al primo alito di vento.
Ed infine questo presente, affrontiamolo per un attimo. Terrificante, doloroso, drammatico, surreale, inaspettato. Ma che ci regala l'opportunità di praticare uno sport che per tanti di noi fino a pochi giorni fa era una grande chimera, la cura di noi stessi e di chi ci circonda. Il tempo per noi, questa grande risorsa che non abbiamo più da anni, ora ci abbraccia, ci avvolge. Non so più che giorno sia, ho ripreso le antiche abitudini di vivere di notte, di scrivere come in questo momento alle 1,49. Come il sognatore dostoevskiano che di notte incontro la sua Nasten'ka, il viaggio nel buio si prolunga, fino a quando la mente si acquieta nel sonno.
Vi dirò la verità: a me le giornate volano. E non so francamente decifrare se questa situazione, al netto della catastrofe oggi sanitaria e domani economica, sia tutta negativa.
Spero che tutto ciò finisca il prima possibile. Io cambierò.
"Ore confuse nella notte, la malinconia non è uno stato d'animo, le vite altrui si sono rotte e sembra non esista più il tuo prossimo".
(F. Guccini, "Canzone di notte", 1970)

Nessun commento:
Posta un commento