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mercoledì 23 ottobre 2019

Al Saragiolo

Contravvenendo alla statistica e anche un po’ alla logica, passiamo indenni anche da Pergoletto e rientriamo a Siena a notte fonda con tre punti in saccoccia, ennesimo trofeo delle nostre scorribande in terra longobarda d’Oltrappenino, da appendere con due chiodi sopra al caminetto accanto alle corna del cervo. 
Nella nostra personale classifica delle partite fuori casa stacchiamo trionfalmente il Monza e finalmente - almeno lì - guardiamo tutti dall’alto in basso, come un buttafuori mestruato all’ingresso della discoteca. E sì che avere la meglio della compagine lombarda non è stato facile, tant’è che siamo riusciti a spuntarla soltanto negli ultimi minuti grazie ad un goal che avrà sicuramente scaldato il cuore agli omini dell’orti tanto cari a questo blog. 
Ma adesso, vi prego, basta parlare di calcio giocato: è così noioso. Anzi, credo che se esistesse una hit parade degli argomenti scacciafica, il calcio salirebbe di diritto sul podio. Pertanto domenica s’è vinto perché siamo stati bravi a portare almeno una volta la palla dentro la porta avversaria, impedendo parallelamente al nemico di violare la nostra, 0 a 1 e tutti contenti. S’è giocato bene? Non lo so. Siamo stati cinici? Non mi interessa. Abbiamo organizzato una trama fluida, con ripartenze efficaci e ottime coperture degli spazi? Non sono Adani, quindi non posso rispondere. Il calcio non lo sapevo giocare, figuriamoci se mi riesce raccontarlo. Non sono mica uno dei tanti nipotini di Gianni Brera sparsi per la rete! E poi chissà, forse dentro di me c’è una parte femminile che spinge per farmi scegliere altri argomenti, tipo il decoupage, le presentazioni a domicilio della Tupperware o le ricetta facili e veloci del Bimbi. Un recente studio addirittura ha dimostrato che in ogni uomo alberga una più o meno importante componente omosessuale: ecco, nel mio caso tale componente è sicuramente lesbica (cit.). Quindi, niente calcio giocato. 
Domenica scorsa abbiamo presi 3 punticioni e se oggi avessimo soltanto pareggiato tutte le partite follemente dilapidate tra le mura amiche - che più che mura sono un groviglio di tubi innocenti, travi di acciaio e seggiolini tossici - adesso saremmo parecchio più in su, immersi nell’aria buona dell’alta montagna tra aquile maestose e marmotte fischione. E invece niente. Anche perché la prossima si rigioca in casa e a me torna a salire l’ansia. 
Da Pergolettese a Pianese, almeno per l’alfabeto il passo è breve. E forse è proprio per seguire la didattica sequenza "PER, PIA" se al momento della formulazione dei calendari il destino c’ha messo di fronte prima la Pergolettese e poi la Pianese. Quindi nemmeno il tempo di gioire per la vittoria che è già l’ora di pensare al prossimo turno, proprio come quando la sveglia suona al mattino e a te pare di dormire da cinque minuti. Francamente non conoscevo la Pergolettese, mai sentita prima e - se le cose andassero come dovrebbero - mai più sentita poi! Con la Pianese invece è molto diverso, perché chiunque nato dalle nostre parti, che abbia praticato il decennio del settore giovanile, diciamo dai Pulcini agli Juniores, almeno una volta nella vita si è trovato a giocarci contro. E questo per me è già una notizia, perché pensare alla Robur avversaria di una squadra di professionisti contro la quale ho giocato anche io, mi fa tanto strano. 
Belli i tempi antecedenti all’era delle fusioni e delle polisportive, dove alla domenica mattina i ragazzotti dei paesini della provincia o dei quartieri di città si ritrovavano al campo per la partita di campionato. Era sempre un derby! Non so se ricordo male io, ma al tempo eravamo una marea. È vero che la natalità italiana è in forte calo, ma qui nemmeno più gli stranieri si danno da fare; forse è giunto veramente il momento di chiudere Pornhub. E grazie a quella marea di bambini nati sul finire degli anni '70, ogni tre case c’era una squadra. Ac Siena, Meroni e San Miniato in città. Tressa, Monteroni, Buonconvento, Rapolano, Asciano, Rosia, San Rocco, Uopini, Poggibonsi, Castellina, Colligiana e tantissime altre in provincia. La trasferta più lunga che ogni anno ci toccava era quella di Piancastagnaio, tranquillo e ridente paesino abitato da qualche migliaio di anime accoccolato sul fianco del Monte Amiata. E spesso erano litigate, anche se da un Pianese "senese di merda" non me lo sono mai sentito dire, mentre da un Poggibonsese era lessico familare. Con la Pianese spesso c’ho pareggiato, diverse volte c’ho perso e qualche volta c’ho anche vinto. Quando ci andava di lusso giocavamo allo stadio in paese (quello con la tribuna bella dove giocammo anni fa ai tempi della Serie D), ma quasi sempre ci toccava andare a qualche chilometro di distanza. 
Tipo al Saragiolo. E chi ha un minimo di dimestichezza con il calcio eroico sa di cosa parlo. Giocare al Saragiolo, su un campo di terra castagnola e breccino da fionda, immerso dentro ad un bosco di maestosi alberi secolari, con fiocchi di nevi grandi come poponi d’inverno, con la polvere densa dei tre mesi che non piove verso primavera o una tappeto di ricci e castagne al posto della linea di porta in autunno, non era proprio il massimo. Più che un campo era una quadro: diciamo una natura morta. Però siamo sempre tutti vivi e tanto basta! Si partiva la mattina presto ad un’ora antelucana (le strade erano quel che erano... esattamente come oggi, Stato infame!), verso Torrenieri o San Quirico si faceva colazione al barre (con doppia erre ed "e" finale) e si arrivava a Piano due ore prima della partita. I deboli di stomaco avevano già vomitato il bombolone con la crema all’altezza di Bagni San Filippo. A volte era colpa delle curve, altre del pasticciere. Colmi di speranza s’andava dritti allo stadio e puntualmente ci rimpallavano. E ancora me lo ricordo il custode, un omino piccolo e rubizzo, di quelli che scrivono "aLbitro" nel cartellino legato alla chiave della porta dello spogliatoio, che ridendo sotto i baffi ci diceva: "No belli: i giovanissimi oggi non giocano qui. Dovete anda' al Saragiolo". E con il braccio indicava un posto indefinito alle nostre spalle, che poteva essere ovunque sulla terra, perché in certe fredde mattinate di febbraio il mondo finiva veramente al Saragiolo. Se perdevi, poi, erano tutti amici. Addirittura ricordo ancora con affetto quella volta che sotto le feste di Natale, loro primi e noi secondi, dopo averci sconfitto per 2 a 1, ci offrirono uno spuntino a base di panettone e Coca Cola. Ma se ti azzardavi a vincere invece, era tutta un’altra storia. L’ultima volta che ci riuscii, un ometto calvo aggrappato alla rete mi offese tutto l’albero genealogico andando indietro nel tempo fino al 22 marzo del 1860. Nemmeno nei regi Archivi di Stato conoscevano tutti i familiari che riuscì a nominare. Mia madre fu più volte bollata come diversamente casta (ma detto un po’ più in francese), mentre mio babbo prese per 90 minuti del tamburo. Ma poi mi chiedo io: da quando in qua tamburo è un’offesa? E ad un’altra mamma che provò a protestare poi, il simpatico nonnino rispose: "Fa’ il sugo la domenica mattina, invece di veni' a rompe' i coglioni al Saragiolo". L’avrei abbracciato, nonostante l’odio reciproco. Ma poi, a fine partita, quando corsi verso la rete per gridargli grosso modo che nonostante tutto gli volevo bene, mi salutò con un inaspettato sorriso, condito dalla frase "Complimenti portiere", che mi fece capire che le cose che succedevano al Saragiolo restavano al Saragiolo! Francamente sono anni che non ritorno da quelle parti e non so se l’avvento del professionismo possa aver cambiato qualcosa, ma per la partita di ritorno propongo una Pianese - Robur Siena al Saragiolo, giusto per ritornare indietro nel tempo, sentirsi tutti un po’ più giovani e rivivere per un attimo un pezzo di mondo che non c’è più. In culo al calcio moderno e alle pay tv.

Pergolettese - Robur Siena 0 a 1: tutti dovrebbero avere un Ortolini tascabile. Da estrarre al momento giusto e buttare nella mischia. Alè alè alè!

Robur Siena - Pianese: è giunta l’ora. Tutto il resto sono solo chiacchiere!

Che bello è, quando esco di casa…


Mirko

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