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mercoledì 4 ottobre 2017

Non mi piace

Barba di due giorni, gola infiammata e passo pesante. Un’intricata ragnatela di rughe decora il contorno degli occhi, scarsamente protetti dalle palpebre socchiuse. Nella penombra della stanza, lo sguardo cerca di rompere il nero del buio, mentre corpo e mente combattono la loro ennesima battaglia, intrappolati tra il bisogno di riposo e l’obbligo di alzarsi dal letto.

"Sul mare luccica la nostra barca, tesa nel vento il suo nome è sentimento"...
Da un buco nero del cervello emerge a fatica la frase di una canzone sentita tanto tempo prima, ai tempi della scuola. Quando bastava un raffreddore per starsene a casa e saltare le lezioni. Sì, il turno infrasettimanale somiglia proprio ad un’influenza. Ma presa da grande. Quella che non puoi curare stando a letto, perché in ufficio hai troppe cose da fare. Somiglia ad influenza soprattutto se programmato alle 18.30 di un mercoledì lavorativo di ottobre, segnato di nero sul calendario e buono soltanto per scollettare la settimana e farci sentire un po’ più vicini alla domenica. Giocare in casa a quell’ora, mentre la gente lavora, per molti equivale a non giocare. È quasi come fare due partite fuori: da Carrara a Olbia, senza soluzione di continuità. Nel mezzo soltanto cose raccontate. Vissute da altri e poi filtrate, scremate e tradotte. E non mi piace affatto. L’appagamento dei sensi di una partita seguita alla tv o alla radio si limita alla vista e all’udito. Dalle voce di un radiocronista o dalle immagini di una telecamere non è possibile riuscire ad avvertire il profumo dell’erba umida tagliata di fresco, il sapore dell’attesa del calcio d’inizio, il tatto delle mani con i seggiolini della curva consumati dal sole. E pensare che sarebbe bastato soltanto spostare il fischio d’inizio in avanti di due ore per far sembrare tutto leggermente più normale. Addirittura logico. Nonostante tutto, un passo alla volta, ci stiamo allontanando dagli stadi sempre di più. E non mi piace.
Là fuori intanto, mentre il ricordo della canzone svanisce, il mondo immerso nelle luci arancioni prova a ridestarsi. Il rumore di un'auto di passaggio riporta la mente alla realtà: gente che viene, gente che va. Qualcuno parte, qualcun altro ritorna. La sirena dell’ambulanza ha sostituito il canto del gallo, mentre la guardia giurata finisce il suo giro. E l’omino del pane lo incomincia. Tramonti albeggianti e giornate all’incontrario. S’inserisce il codice e si sblocca la tastiera. Messaggi sul telefono a profusione. Si legge distrattamente e si risponde per cortesia, con faccine sorridenti e cuoricini colorati: "Ci vediamo questa sera o domani mattina. O al limite ci sente per sabato. Ma non questo, quell’altro. O magari ti chiamo io vai". La giornata comincia sempre un attimo dopo aver disinnescato la sveglia. Colazioni veloci e frasi di circostanza, saluti stiracchiati e baci a stampo. Casa, autovelox, autovelox, lavoro.
Certi giorni vivere pare un po’ come seguire le istruzioni di un centralino telefonico: "Digitare 1 per sbarcare il lunario, 2 per arrivare presto a sera, 3 per ignorare il brutto del mondo, 4 per tapparsi il naso e andare avanti, 5 per parlare con un operatore. La preghiamo di restare in attesa per non perdere la priorità acquisita". A volte la vita degli adulti è talmente lineare, che può bastare addirittura un'intervista dei vigili urbani per rompere la monotonia. Almeno dopo abbiamo qualcosa da raccontare a qualcuno disposto ad ascoltare. O a fare finta. Anche se, in verità, i posti di blocco mi hanno sempre turbato.
Le ore passano, il lavoro scorre con i soliti alti e bassi - giramenti di coglioni li chiamerebbe il poeta - e finalmente arriva la sera. Lavoro, autovelox, autovelox, casa. Stessa strada del mattino, soltanto percorsa al contrario. Sotto le pensiline del tram, gruppetti di persone aspettano in silenzio la loro corsa. Qualcuno fuma, altri fissano uno schermo luminoso. Chi parla, lo fa soltanto per lamentarsi. A volte penso che sarebbe bello poterci guardare da fuori. Per capire che idea di noi, si fanno gli altri.
Il martedì finisce nel punto esatto in cui inizia il mercoledì. Le solite cose di ieri, ripetute anche oggi. Schiuma da barba, lametta, sapone, doccia. Arriva il Giana Erminio e non mi sento pronto. Ribolle ancora nelle vene l’adrenalina di Carrara. Il senso di appagamento adesso ha raggiunto picchi fastidiosi. Siamo soltanto alla settima giornata di campionato eppure mi pare di esserci dentro da una vita. Vorrei potermi addormentare e svegliarmi a maggio. Mi piacciono le sorprese, un po’ meno le attese. Riprende il campionato dopo appena due giorni. Siamo secondi in classifica e per un momento è possibile anche sognare. Eppure, nonostante ciò, non mi piace questa Serie C e non vedo l’ora di andarmene. Non mi piace pensare al turno infrasettimanale, alle cinque sostituzioni tipo torneo di calcetto, agli anticipi del venerdì ed ai posticipi del lunedì. Non mi piacciono gli orari, scelti a caso senza criterio o un minimo di logica. E non mi piace nemmeno l’insistenza con la quale certi errori vengono riproposti nel tempo. Vedi quell’orribile nome ‘Lega Pro’, la cui sostituzione ha finalmente fatto pace con la ragione. Non mi piace la divisione territoriale dei campionati, che fa assomigliare Cuneo - Arzachena più ad un campionato sabaudo che ad un torneo professionistico nazionale. Non mi piacciono i tre gironi e il dover riposare. Trovo aberrante essere dispari e dover fare i conti con “le partite in meno”; che a seconda della loro casuale collocazione nel calendario potrebbero anche arrivare a condizionare la classifica. Non mi piace l’ostinazione di chi vuole continuare a vendere un prodotto invendibile, che non interessa a nessuno, tolti quei quattro illusi che ancora credono nel calcio e che vengono costantemente penalizzati da pseudospeculazioni disegnate a tavolino. Credo che la gente di Serie C si meriti qualcosa di meglio di tutto questo. Che non mi piace e non mi piacerà mai. Ragazzi vi prego, portateci via da questo strazio di categoria.

Siena - Giana Erminio: ricominciare tutto da zero come se nulla fosse stato fatto. Come se fosse la prima giornata di campionato. Vincere fuori aiuta ad espandere i confini, affermarsi in casa permette di rafforzare le fondamenta. Il turno infrasettimanale cade proprio fra due trasferte terribili, una delle quali per fortuna è già archiviata con successo. Avanti Robur. Un passo alla volta!

Tutti uniti insieme avanzeremo!


Mirko

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