Ma poi ripenso a quella volta, mi pare fosse verso la fine di maggio di una vita fa, in cui le dissi orgoglioso: "Nonnina, la Robur è in Serie B" e lei, guardandomi con lo stesso interesse del gatto che guarda il telecomando del televisore, avvicinando le spalle alle orecchie e mordendosi il labbro inferiore, fece finta di capire. Ma a distanza di anni, sto sempre aspettando una risposta, che temo non arriverà piú.
Se fosse ancora in vita, mi farebbe piacere sentirla di nuovo contare i soldi in lire. "L’euro non è la mia moneta", mi diceva fissandomi con occhi sinceri. "E poi nessuno mi ha chiesto se lo volevo". Orgogliosa della sua pensione, osservava i nipotini giocare e scuoteva la testa, pensando alla loro, "che pagheranno fino all’ultimo centesimo senza mai riscuoterla". Se ne andò un giorno di aprile di qualche anno fa, avvolta in quel silenzio che l’aveva accompagnata per tutta la vita, vissuta senza mai arrabbiarsi o alzare la voce. E pensare che da piccolo ce l’ho proprio messa tutta per sentirla strillare. Non so perché mi sia venuta in mente proprio adesso e non so nemmeno perché abbia sentito l’impulso di scriverlo in questo spazio, abitualmente dedicato ad altro. So solo che avvertivo soltanto un leggero solletico dietro al collo, che mi obbligava a riflettere e mi diceva: "Sì, sì, centra". E, pensa e ripensa, alla fine ho capito...
Fuori è arrivato finalmente marzo, quello vero e pazzo: dopo settimane un po’ troppo estive, nella nostra primavera all’incontrario abbiamo finalmente raggiunto il punto di equilibrio. L’aria pare più fresca, da nord tira una fastidiosa tramontana che scuote i cipressi, alza le gonne e solletica i grossi nuvoloni grigi che vanno e vengono veloci, in cerca di qualcosa da fare. Qua e là sprazzi di sole disegnano sulle campagne verdi piacevoli giochi di luce, come se un gigante invisibile si divertisse a muovere le nuvole per creare immense ombre cinesi sulla superficie terrestre. Il cambio dell’ora ha finalmente reso dignità alle giornate, che adesso durano fino a cena. Pasqua si avvicina e con lei la fine del campionato. Fosse per me, schiaccerei volentieri il golden buzzer e salterei direttamente all’ultimo minuto dell’ultima partita, evitandomi ulteriori settimane di alti e bassi (pochi primi e molti secondi, in verità) di partite giocate col patema d’animo legato al dubbio del non sapere mai se in campo scenderanno i giocatori buoni o i loro fratelli scemi.
Fuori è arrivato finalmente marzo, quello vero e pazzo: dopo settimane un po’ troppo estive, nella nostra primavera all’incontrario abbiamo finalmente raggiunto il punto di equilibrio. L’aria pare più fresca, da nord tira una fastidiosa tramontana che scuote i cipressi, alza le gonne e solletica i grossi nuvoloni grigi che vanno e vengono veloci, in cerca di qualcosa da fare. Qua e là sprazzi di sole disegnano sulle campagne verdi piacevoli giochi di luce, come se un gigante invisibile si divertisse a muovere le nuvole per creare immense ombre cinesi sulla superficie terrestre. Il cambio dell’ora ha finalmente reso dignità alle giornate, che adesso durano fino a cena. Pasqua si avvicina e con lei la fine del campionato. Fosse per me, schiaccerei volentieri il golden buzzer e salterei direttamente all’ultimo minuto dell’ultima partita, evitandomi ulteriori settimane di alti e bassi (pochi primi e molti secondi, in verità) di partite giocate col patema d’animo legato al dubbio del non sapere mai se in campo scenderanno i giocatori buoni o i loro fratelli scemi.
Ed ecco allora che ritorna alla mente la nonna - esasperata dal mio comportamento - mentre mi rimproverava dopo una delle tante marachelle combinate: "Te non sei il Mirko che conosco io", mi diceva, "te sei il su’ fratello scemo". Dall’alto dei miei pochi anni di vita, non riuscivo a capire quelle parole. Le quali, come sempre nella beata inconsapevolezza dei bambini, entravano dall’orecchio sinistro per uscire, una frazione di secondo dopo, da quello destro. Ma poi, crescendo, le ho capite benissimo. All’ennesimo guaio combinato tra le mura domestiche, mi prese da una parte e mi rimproverò pesantemente: se c’era una cosa alla quale teneva erano i gerani del piazzale di casa. Li coccolava come figli e dentro di me ho sempre sospettato che volesse più bene a loro che al sottoscritto. Tutto mi era permesso a casa sua, meno che toccare quei fiori. Il pallone, tuttavia, sembrava proprio attratto da quelle insignificanti piantine. Magari sará stato per colpa del loro colore o forse per l’odore, ma quei piccoli fioricini sgargianti sembravano contenere al loro interno una sorta di magnetismo floreale, in grado di attirare qualsiasi sfera si fosse trovata a transitare da quelle parti nel raggio di un chilometro.
Con gli occhi colmi di lacrime, combattuto nel mio bipolarismo e incerto se far prevalere il fratello furbo o quello scemo, chiesi scusa singhiozzando. Lei, serena, afferrò un bicchiere e mi disse: "Gettalo a terra’". Incerto, la guardai con gli occhi velati e obbedii senza fiatare. Anche perché non mi pareva il caso di seguitare a farla arrabbiare. Toccando la graniglia del pavimento di cucina, il bicchiere andò logicamente in mille pezzi. La nonna, sempre senza alzare la voce proseguì: "Hai visto? Si è rotto’". Incerto, feci segno di sì con la testa. "Adesso chiedigli scusa", aggiunse lei. Ed io, cadendo nella trappola, fissando i piccoli frammenti luccicanti sparsi sulle mattonelle esclamai: "Scusa". Lei, senza nascondere la soddisfazione, chiosò: "E' tornato come prima adesso che gli hai chiesto scusa?’". Io, girando lo sguardo dai suoi occhi al pavimento, ammisi: "No". Lei, dopo aver mosso qualche passo in direzione dell’armadio delle scope, si girò verso di me e guardandomi dritto negli occhi chiese, sentenziando: "Hai capito adesso?".
Sì, da quel giorno capii. Capii l’inutilità del chiedere scusa. Capii che a volte basta fermarsi un secondo prima. Capii l'importanza di riflettere. Ciò naturalmente non mi ha reso un uomo migliore. Ma ogni volta che ho dovuto chiedere scusa, ad un genitore, ad una fidanzata, ad un amico, mi sono sempre tornate a mente quelle parole; così come quando le scuse le ho attese per anni, invano (e ancora le sto attendendo).
Ma la nonna alla fine che c’entra col Siena? C’entra, perché il fratello buono e quello scemo oggi giocano entrambi nella Robur. A volte gioca il primo e la gente a fine partita applaude, altre (troppo spesso, purtroppo) gioca il secondo e la figure di merda piovono al suolo come gocce di pioggia durante i monsoni. A nulla serve vincerne una se poi dobbiamo perderne tre. A niente serve prendere un "8" per rimediare una serie infinita di "4". A niente serve chiedere scusa e giocare da professionista una volta ogni tanto, se poi alla prima occasione si riparte da zero. Fissando i cocci del bicchiere, che sfrigolavano sotto le suole delle ciabatte della nonna, forse mossi il primo passo verso quel posto strano chiamato "quando sarò grande". La Robur invece, questa Robur attuale, quella della Durio e del Trani, di Dolci, Vaira e Scazzola, di Castiglia e Rondanini, temo che grande non diventerà mai. E alla fine chiedere scusa a chi l’ha sempre sostenuta senza chiedere niente in cambio sarà l’unica (totalmente inutile) cosa da fare, prima di salire sull’auto e sparire per sempre.
Carrarese – Siena: 2 a 0. Due goal presi contro zero tiri fatti. Tutto come da programma. Oramai non siete neanche più originali e ad ogni occasione copiate voi stessi, ripetendo sempre le medesime assurde prestazioni. Vi serve uno psicologo? Sì, ma uno bravo bravo peró. Altrimenti potreste iniziare a drogarvi o magari a bere. Almeno avreste una ''scusa''. Comunque, una di meno alla fine. E questa è la sola nota lieta della partita.
Tutti uniti insieme avanzeremo!
Ma la nonna alla fine che c’entra col Siena? C’entra, perché il fratello buono e quello scemo oggi giocano entrambi nella Robur. A volte gioca il primo e la gente a fine partita applaude, altre (troppo spesso, purtroppo) gioca il secondo e la figure di merda piovono al suolo come gocce di pioggia durante i monsoni. A nulla serve vincerne una se poi dobbiamo perderne tre. A niente serve prendere un "8" per rimediare una serie infinita di "4". A niente serve chiedere scusa e giocare da professionista una volta ogni tanto, se poi alla prima occasione si riparte da zero. Fissando i cocci del bicchiere, che sfrigolavano sotto le suole delle ciabatte della nonna, forse mossi il primo passo verso quel posto strano chiamato "quando sarò grande". La Robur invece, questa Robur attuale, quella della Durio e del Trani, di Dolci, Vaira e Scazzola, di Castiglia e Rondanini, temo che grande non diventerà mai. E alla fine chiedere scusa a chi l’ha sempre sostenuta senza chiedere niente in cambio sarà l’unica (totalmente inutile) cosa da fare, prima di salire sull’auto e sparire per sempre.
Carrarese – Siena: 2 a 0. Due goal presi contro zero tiri fatti. Tutto come da programma. Oramai non siete neanche più originali e ad ogni occasione copiate voi stessi, ripetendo sempre le medesime assurde prestazioni. Vi serve uno psicologo? Sì, ma uno bravo bravo peró. Altrimenti potreste iniziare a drogarvi o magari a bere. Almeno avreste una ''scusa''. Comunque, una di meno alla fine. E questa è la sola nota lieta della partita.
Tutti uniti insieme avanzeremo!
Mirko
Bello il pezzo. come al solito. Anche se mi ricorda mia moglie che si incaxza quando le chiedo scusa.....
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