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venerdì 24 febbraio 2017

Parlare al me piccolo

E alla fine che qualcosa non stava andando esattamente per il verso giusto, credo se ne siano accorti in parecchi. Dai tifosi ai colonnini di piazza. Magari non saranno ancora tutti tutti, ma il gruppo è sempre più numeroso.
Meglio tardi che mai, mi verrebbe da dire. Ma non lo farò. Anzi, l’ho già fatto senza accorgermene. A questo punto tuttavia, temo che anche i nostri avversari abbiano cominciato ad intuire qualcosa! Ed infatti hanno smesso di ripeterci: il Siena è una buona squadra ed entrerà sicuramente nei play off. Capirai che paura…
Perdonatemi il gioco di parole, ma il tempo degli scherzi è finito da tempo. E non venite fuori col discorso che siamo a Carnevale e tutti gli scherzi sono ammessi, perché mi pare non si stia divertendo nessuno. Ma poi sto Carnevale, smetteremo mai di festeggiarlo? Tre miseri punticini in sei partite sono un bottino che nemmeno il meraviglioso Atletico Siena, strepitosa compagine cittadina anni ‘80, militante nel campionato provinciale di Terza Categoria e residente al fu campino di San Prospero, sarebbe stata in grado di eguagliare. E guardate che quella squadra di partite ne vinceva proprio pochine.
Che bellezza quelle domeniche passate senza aver niente da fare! Sveglia dopo le dieci, tagliatelle con il sugo e via fuori. Alla domanda della mamma: "Che c’hai da fare per domani?", la risposta era sempre la solita: "Niente. Non ci hanno dato niente". Come se la menzogna fosse più credibile se coniugata al plurale. Infatti, non era mica vero! Ma poi metti che spesso capitava di giocare con gli Esordienti di sabato pomeriggio, metti anche che per il Tendenza o il Papillon non avevamo ancora raggiunto l’età minima e consideraci anche che Tele Più non era stata inventata, che c'era per riempire la domenica? Si, magari c’era Koper Capodistria, ma mica tutti la prendevano. Quindi, che fare? Semplice, a fine settimana alterni, una volta si vedeva il Siena e l’altra l’Atletico. Anche perché l’allenatore (dell’Atletico) era il babbo di un mio amico, quindi o l’accompagnavo o il nostro rapporto ne avrebbe pesantemente risentito.
Era una gran bella Siena quella là. Peccato non esista più. Peccato tutto sia finito in pochi anni. Peccato aver perso le tracce del mondo che amavamo. Rimorsi, rimpianti e un futuro incerto: a raccontarlo trenta anni fa, c’avrebbero rinchiuso in manicomio. Sì, proprio quello di Porta Romana. Anche se, in realtà, gli ospedali psichiatrici erano stati chiusi nel ’78 dalla legge Basaglia. Ma secondo voi, sarà un caso che io sia nato proprio in quell’anno?
Tornando velocemente ai giorni nostri, c’e’una partita da presentare, quindi non è certo il momento di farsi prendere dalla nostalgia e struggersi al ricordo delle cose finite ed oramai sepolte. Anche se mi piacerebbe proprio domani mattina scendere dall'auto e trovarmi di fronte il me di trenta anni fa. Cosa gli direi? Secondo voi mi crederebbe se gli dicessi che il Siena, il suo piccolo Siena, è stato in Serie A per 10 anni? Dubito fortemente. Da piccoli già la C1 sembrava un miraggio, figuriamoci il resto. Magari mi guarderebbe con i suoi occhi color nocciola e scapperebbe via, a rifugiarsi dietro le gambe di sua madre, la nostra madre. Oppure resterebbe lì ad ascoltarmi parlare, mentre la mattina si fa giorno. Se potessi incontrarlo, gli direi di non credere a tutto quello che gli raccontano. Lo so, sembra una frase fatta, ma dirlo è piú facile che farlo. Gli parlerei della mia vita, degli sbagli fatti, delle soddisfazioni vissute e delle sconfitte patite. Parlandogli del primo amore, gli confermerei che sì, in fondo é vero quello che dicono: non si scorda mai. E parlandogli di lei, potrei tornare ragazzo. E chissá, magari - come diceva Vasco - capire una volta per tutte che se "fossi stato con lei, adesso sarei laureato". Lui inorridirebbe di fronte alla parola Vasco. E' vero, non me lo ricordavo, ma a noi – al me attuale ed al me di trenta anni fa – non è mai piaciuto! Parleremo del tutto e del niente, come due fratelli divisi da una vita. Lui mi chiederebbe di raccontargli il futuro, io lo pregherei di ricordarmi il passato. Gli direi che sabato prossimo, in un anticipo che sa di Serie B, ma soltanto per via del giorno e dell’orario, giocheremo contro il Racing Roma una partita molto importante. Almeno per la stabilità mentale dei tifosi. Lui mi guarderebbe perplesso e io non avrei parole per spiegargli bene che squadra sia il Racing Roma. Anche perché, quando mi emoziono, finisco sempre per non trovare le parole. Lo guarderei come guardo adesso mio figlio, suppergiù hanno la stessa etá, evitando tuttavia di dirgli che un giorno diventerà padre. La bellezza del futuro sta proprio nell’incertezza che esso offre. Perché rovinarla? Lo inviterei a difendersi dagli altri, senza offendere mai. A limitare gli scatti di ira. A tenersi vicino le persone che gli vogliono bene. A perdersi negli occhi delle ragazze felici. A ridere. A ragionare con la testa ma ascoltando la pancia. Perché in certe casi l’istinto va assecondato. Lo porterei al parcheggio di San Prospero, mettendolo di fronte al segno dei tempi che cambiano. Poi lo saluterei, strofinandogli quei bei capelli castani portati a spazzola, che presto cadranno, lasciando tristi stempiature bianche.
Lui forse mi mostrerebbe orgoglioso la sua sciarpa bianconera, la stessa che io dovrei avere ancora da qualche parte dentro all’armadio di camera. E con la timidezza tipica della sua generazione, mi saluterebbe con la mano destra aperta, come si fa con un fratello piú grande. Poi, dandomi le spalle, se ne tornerebbe in quel posto lontano dal quale è arrivato, una fresca mattina di fine febbraio, mentre l'inverno sta velocemente lasciando il posto alla primavera.

Siena – Racing Roma: leviamoci velocemente da queste beghe e torniamo alla tranquilla vita che la mediocrità consente. Né cadute, né acuti. In un campionato dove è salvabile soltanto la partita vinta col Livorno, cerchiamo almeno di tenere a distanza quelle dietro e arrivare a maggio senza ulteriori danni o preoccupazioni. Dopo vorrá dire si vedrá: tanto il tempo è galantuomo.

Tutti uniti insieme avanzeremo.


Mirko

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