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martedì 3 gennaio 2017

Segreti e speranze

La prima cosa che balzava agli occhi, osservando l’inquilino del secondo piano scendere dall’auto e avviarsi a passo svelto verso l’ingresso del palazzo, era il suo bizzarro modo di camminare - o meglio dire “di strusciare i piedi” - mentre “caracollava verso il niente”, come se al posto della suole delle scarpe avesse un paio di pattine per la cera.
Caratteristica che gli era valsa dagli altri condomini gli appellativi di “spazzino” o di “rizza polvere”.

In realtà era un tipo taciturno e difficilmente se ne notava la presenza. O l’assenza. Percorrendo i pochi metri che lo separavano dal portone, una serie di impalpabili nuvolette bianche si staccarono dalla sua bocca, per poi disperdersi immediatamente nell’aria gelida della sera. Passando davanti al piccolo abete del giardino addobbato con palle di vetro e lucine colorate, la sua ombra si srotolò lungo il selciato, arrivando a lambire il cancelletto di uscita. Dicembre stava terminando e con lui anche l’anno era arrivato agli sgoccioli. In lontananza l’eco di alcuni petardi destarono la quiete pomeridiana, destando l’isolato dal limaccioso torpore nel quale era caduto al calar del sole.
Appena oltrepassato il brutto portone di metallo nero e vetro satinato, “rizza polvere” buttò distrattamente un occhio verso la sua cassetta delle lettere, più per abitudine che per altro. Anche perché erano anni che non riceveva qualcosa di diverso da “fatture” e “pubblicità”. Ed infatti anche questa volta all’interno del piccolo parallelepipedo di legno trovò soltanto due volantini colorati in carta lucida di una nota marca di telefonia mobile. L’offerta pareva proprio irrinunciabile, pensò con sarcasmo. E dopo essersi assicurato di essere solo, inserì i due volantini nella cassetta della sua anziana dirimpettaia, quella che ascoltava tutto il giorno Radio Maria ad un volume altissimo. Dopo di che, con perfida soddisfazione, scambiò la corrispondenza dell’Ingegner Salvioni con quelle della famiglia Rosini. Non ancora soddisfatto, afferrò una multa verdolina – emessa dal Comune di Casciano di Murlo – dalla cassetta in alto a sinistra, nel posto spettante a quel giovane scapestrato del figlio del cuoco, per infilarla con una gesto fulmineo da taccheggiatore partenopeo ai coniugi Parigi, una coppia di simpatici vecchietti che non guidavano l’auto ormai da svariati anni. Soddisfatto del proprio operato, estrasse di tasca il cellulare e avviandosi verso le scale si portò l’apparecchio vicino all’orecchio destro: una telefonata era sempre un ottimo modo per scoraggiare i vicini dal rivolgergli la parola. Senza voltarsi, ancora eccitato dal brivido della sua piccola trasgressione, che nel corso dei mesi stava diventando un vero e proprio rituale, affrontò i primi gradini con piglio deciso, ripensando al suo vecchio appartamento in centro e al suo comodissimo ascensore. Senza poter minimamente immaginare di essere stato appena “sgamato”.
Vanessa era poco più che una bambina quella sera e molto probabilmente lo sarebbe rimasta ancora per qualche anno. Per Natale aveva ricevuto un telefono nuovo tutto suo, una ricarica da 20 euro ed un pigiama di flanella rosa e bianco. In più, era riuscita a strappare a suo nonno la promessa di farsi accompagnare allo stadio, per vedere la partita della Robur contro l’Arezzo. Essere tifosa del Siena era l’ultima cosa che suo padre le aveva insegnato, prima di abbandonare la famiglia e scappare a Milano con una donna molto più giovane della mamma e – secondo il suo punto di vista – anche molto più brutta e cattiva. Immersa nel buio del piccolo locale caldaia nel quale si era rinchiusa per scappare alle grinfie del fratello, aveva sentito entrare “rizza polvere”, riconoscendo immediatamente il rumore fastidioso delle suole delle scarpe che grattavano il pavimento di marmo lucido dell’ingresso. Dal buco della serratura, con lo stomaco in gola ed il cuore che batteva all’impazzata, aveva visto quel tipo scombinare tutte le lettere e dall’alto dei suoi undici anni si era sentita invadere da un’ondata di orgogliosa rabbia. Anche perché sua madre era la postina e a lei non andava giù che qualcuno potesse prenderla in giro. Da mesi oramai i vicini si lamentavano fra di loro del malfunzionamento delle poste e qualcuno era persino giunto a dubitare dell’onestà della signora. "Sai com’è", dicevano di nascosto, stando tuttavia bene attenti ad utilizzare un tono di voce che potesse arrivare a molte orecchie, "da quando ha divorziato, non mi pare sia tanto centrata". E poi: "Secondo me il marito ha fatto bene ad andarsene". E ancora: "Boh, sembra rimbambita. Pensa che certi giorni nemmeno ti saluta". Vanessa, con gli occhi colmi di lacrime e le mani strette a pugno lungo i fianchi, aprì la porta del piccolo sottoscala e senza pensare a nient’altro si fiondò verso casa, eccitata e al tempo stesso impaurita dal piccolo grande segreto custodito. Di fronte al portone marrone del suo appartamento, abbellito da una ghirlanda di vischio finto e palline di plastica, arrestò la sua corsa e sedendosi sui gradini, fece la cosa più stupida che potesse fare fra tutte le cose stupide. Chiamò suo padre allo studio, utilizzando il numero delle emergenze. Il genitore rispose al secondo squillo, con la voce tesa di chi ha paura di sapere: 
"Vanessa? Tutto bene?".
La piccola, rassicurata dalla meravigliosa voce del padre squittì con gioia: "Babbino caro!! Che fai?".
"Vanessa…", rispose il padre con un certo disappunto, "quante volte devo dirti che questo è il numero delle emergenze? Dove sei?".
"Sulle scale di casa nostra", fece lei sorridente, declamando la parola “nostra” come se fosse la cosa più naturale del mondo. E poi continuò, seria: "Ci sei stato oggi a vedere il Siena a Gorgonzola?".
"No amore, non ce l’ho fatta. Mi sono dovuto trattenere in ufficio. Però so che ha vinto: 3 a 2. Quando torno ti porto allo stadio, ok?".
La piccola, cogliendo la palla al balzo, partì spavaldamente alla carica: "E quando torni?".
Silenzio.
"Babbetto, mi manchi tanto. E secondo me, manchi anche alla mamma".
Silenzio. 
"Babbino, mi vuoi bene?".
"Sì tesoro, tanto"-
"E quanto?".
"Tanto!".
"Da uno a 10?".
"10!".
"Da uno a 100?".
"100!".
"Da uno a un milione di centomila milioni?".
"Quello che hai detto te", rispose l’uomo, ripetendo un rituale a filastrocca che andava avanti da anni.
D’improvviso la piccola si fece seria: "Babbo, ti devo confessare un segreto". E, senza aspettare la risposta, raccontò al genitore la scena alla quale aveva assistito, stando attenta a non tralasciare nemmeno un particolare.
Il padre, fattosi immediatamente serio, la interruppe di colpo: "Passami la mamma", le disse tutto d’un fiato.
Senza protestare, la piccola suonò il campanello e con la voce rotta da un pianto “gioioso” che lentamente stava crescendo dentro di sè, gridò: "Mamma, babbo ti vuole parlare!".
Gridò così forte che la parole rimbalzarono fra le pareti silenziose del condominio come un sasso lanciato dentro un pozzo. Erano mesi che nessuno riusciva a far parlare il babbo con la mamma e lei, dopo aver risolto finalmente lo spinoso caso delle lettere scambiate, c’era finalmente riuscita. E per giunta il Siena aveva vinto! Stava vivendo un pomeriggio magico e nient’altro aveva importanza. Forse quest’anno sarebbero andati al mare tutti insieme, come ai vecchi tempi, quando la mamma litigava con il fratello per farlo uscire dall’acqua ed il babbo. tenendola sulle ginocchia, le raccontava del Siena in serie A.

Giana Ermino – Robur Siena: 2 – 3. A volte basta veramente un niente per far la differenza. Altre è solo questione di fortuna. Vincere per un pelo non è poi così diverso da farlo “per un palo”. Ma quel che conta sono le sensazioni positive… Oltre naturalmente al portare a casa i tre punti, mettere un po’ di fieno in cascina, scalare qualche posizione e inserire nel mirino l’Arezzo. Anche perché quella sconfitta ancora brucia! Eccome se brucia!

Buona Epifania a tutti (e poi so’ finite, se Dio vole!).

Tutti insieme uniti avanzeremo.


Mirko

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