Da alcuni anni sono un assiduo lettore dei libri di Marco Pizzuti, inattaccabile scrittore "complottista" ed autore di opere che, con dovizia di particolari e secondo una forma scientifica perfetta
(eccellente bibliografia, ricorso a fonti riconosciute, documenti d'archivio) minano alle basi le fondamenta della realtà così come la conosciamo (anzi, così come altri ci raccontano).
Un giorno mi piacerà mettervi a conoscenza nei particolari di ciò che Pizzuti scrive, oggi prendo solo spunto da un post sul suo profilo FB, nel quale riporta un articolo del Corriere della Sera del 30 maggio, a firma di Rosario Sorrentino, neurologo di certa fama.
In sostanza, in tale articolo, Sorrentino auspica con ferma decisione l'introduzione di una authority della divulgazione scientifica, frutto di un'alleanza fra mass-media ed istituti scientifici, che "si occupi della corretta divulgazione scientifica e del monitoraggio della disinformazione e delle false notizie". Secondo la versione di Pizzuti, tale organo servirebbe tuttavia soltanto a "censurare qualsiasi argomento non allineato alla versione ufficile".
Tale authority, ancora nella visione di Sorrentino, dovrebbe trovare applicazione anche nel campo di facebook, spazio che "va presidiato a tutela della salute di tutti", onde impedire le "scienze del fai da te che mirano a creare confusione e scompiglio con modalità ideologiche".
Pizzuti interpreta così: "In sintesi ci viene detto che siccome la popolazione non è in grado di
capire cosa è vero e cosa è falso, deve intervenire lo Stato per il suo
bene mettendo a tacere i dissidenti della
controinformazione... praticamente ci stiamo avvicinando al tipo di
regime descritto nel libro "1984" di Orwell, dove questo tipo di authority
si chiamava il "MINISTERO DELLA VERITÀ".
Perché scrivo tutto ciò?
Traslando sugli affari di casa nostra, in questi ultimi giorni si sta tentando di sviluppare un (per me poco) interessante dibattito sulla funzione dei social e sulla valenza e la credibilità di certe notizie in essi vergate, fra chi vorrebbe forse un controllo maggiore sulle news divulgate ed altri che al contrario professano il libero flusso dell'informazione.
Non sto per ora a dare un giudizio, ma vi porto una mia esperienza personale, che indirettamente si rifa al tema trattato; pare che non ci incastri niente, ma non è proprio così.
Anni fa (e pare una vita fa...) svolgevo attività di ricerca presso l'università, sommo ente dove il termine "scientifico" muove un mondo assai complesso, nel bene e nel male. Per questioni fortuite, mi trovai costretto a terminare la mia carriera, che si basava sulla ricerca storica fondata su fonti accreditate e, di conseguenza, accettate. Oddio, fin lì un po' discolo lo ero già stato, dato che, nei miei studi, avevo preso spesso come riferimento un eccezionale ricercatore, che aveva letteralmente scandagliato gli archivi di mezzo mondo ed aveva scritto opere illuminanti nel settore di sua competenza. Ahimè, lo scrittore in questione aveva un problema di base: non essendo un accademico, ma solo un giornalista, non veniva letteralmente riconosciuto dai potenti Professoroni che gestivano le sorti del settore. In altre parole, questo giornalista, seppur clamorosamente più in gamba dei suddetti Professoroni, era considerato il diavolo in persona; e diavoletti erano gli studentelli che osavano rifarsi alle sue opere.
Forse sarà stato anche per questo che la mia carriera accademica, come detto, terminò, fra tragedie e rincrescimento.
Anni dopo, pur con la vita indirizzata verso altre tangenti, fortuitamente mi capita di riprendere a studiare per divertimento, approfondendo le tematiche già trattate, ma con il potente utilizzo di fonti non ortodosse, non "scientifiche", ovvero non vagliate da una equipe di "studiosi" (o "mafiosi"?), che d'imperio selezionavano cosa fosse il Bene e cosa fosse il Male. Bene, mi si apre un mondo, capisco tutto ciò che prima era volutamente criptato, arrivo ad una consapevolezza che, stando fissato a studiare cose eterodirette, mai avrei scoperto. Libero.
"Ed allora", direte voi?
Ed allora, w i social! E w tutto ciò che possa contribuire a farci conoscere, esplorare, capire. Starà a noi (e non ad altri, che magari sono dotati di una qualche tessera di appartenenza ad una determinata professione-casta) discernere fra ciò che va bene e ciò che non va, se avremo desiderio di farlo. Io so cosa posso leggere. Io so cosa posso discutere. Io so dove posso confrontarmi. Io e solo io, non altri. E soprattutto, non una claque "scientifica" di Potere dominante che sentenzia per mano di una informazione ufficiale passata per canali mainstream e che vorrebbe dettare tempi e modalità della divulgazione della conoscenza.
In una parola, cari soloni alla Umberto Eco, fatevi li cazzi vostri e lasciate fare!
Ho avuto la fortuna di girare un po' il mondo e nelle dittature (quelle feroci, seppur ammantate da falsi miti ideologici) i social non esistono.
Resistiamo finché possiamo.

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