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mercoledì 24 febbraio 2016

Il potere della volontà

La rabbia arriva a ondate, come il traffico nell’ora di punta. La scala di metallo che conduce fuori dallo stadio sembra più ripida dopo la sconfitta. Un gradino alla volta arriviamo finalmente al piano stradale.
Per un secondo ho l’impressione di uscire dalla metropolitana di qualche grande città del Nord Europa, mentre mi immergo nel fiume di gente silenziosa, che a testa basta torna verso casa. Non ci sono sorrisi, né grida, né imprecazioni. Il pomeriggio ha offerto ben poco da ricordare. 
Lungo la salita, le piccole protuberanze gibbose del corrimano hanno solleticato la punta delle dita, che adesso prudono dentro la tasca dei pantaloni. Nell’aria fresca della sera, la gente abbandona lentamente lo stadio in piccoli gruppi. Qualcuno si ferma a salutare un amico, altri si danno appuntamento per mercoledì prossimo, un ragazzo scappa via senza voltarsi, con il telefonino all’orecchio ed “il Fedelissimo” sotto braccio. Tutti sembrano parlare sottovoce, come i signori seduti sul sagrato della chiesa in attesa che il prete liberi gli sposi. 
Mi fermo per un secondo a guardare le facce del popolo bianconero. In un primo momento il cervello non riesce a decifrare bene l’immagine che mi si para davanti agli occhi; poi, all’improvviso, realizzo. La gente, più che irritata, sembra annoiata. Come un bambino che guarda dentro un acquario, provo ad osservare la scena dall’esterno, cercando di trovare un appiglio per non farmi trascinare nell’abisso dello sconforto, ma, nonostante gli sforzi, un senso di rassegnazione s’insinua piano piano nella mia mente, espandendosi fino a contaminare tutti i miei pensieri. 
Ci sono dei momenti della vita in cui le cose non vanno come dovrebbero. Ed in quei momenti abbandonarsi alla autocommiserazione, piangersi addosso e lasciarsi annientare dagli eventi può risultare più facile che provare a combatterli per rimanere a galla. Per alcuni il tunnel appare lungo e la luce un piccolo puntino lontano, altri illuminano il buio che hanno dentro con pasticche colorate ed euforie effimere, altri ancora si lasciano trasportare in basso senza opporre resistenza, per mancanza di voglia, di carattere, tempo, o di capacità. Poi invece c’è anche chi affronta la vita di petto, si rinfodera il passato dentro i pantaloni, arrotola le mani del presente e prova cucirsi un futuro diverso. A coloro, nessuno potrà mai rimproverare niente. 
Quando tanto anni fa entrai a far parte della famiglia di mia moglie, a nonno Italo il cancro lo avevano già diagnosticato da tempo. Le cellule di una persona anziana si riproducono più lentamente, dicevano i dottori: la malattia sarà lunga. I mesi trascorrevano felici e il nonno di mia moglie, seppur provato nel fisico, provava a godersi spiccioli di tranquillità insieme alla compagna di una vita, concedendosi persino il lusso di provare l’aereo per scappare in vacanza in Sicilia. La vita lo aveva costretto a lavorare fin da bambino, ma lo aveva ripagato con cinque figli e una decina di nipoti. Adesso che il suo compito stava per terminare, passava i pomeriggi seduto al tavolo del giardino. 
Qualche tempo più tardi tuttavia, le cose cambiarono piuttosto velocemente. La sua auto non si mosse più dal garage e sul tettuccio si accumulò un denso strato di polvere. Le partite a carte con gli amici del bar si fecero sempre più sporadiche e le giornate sul divano divennero tutte uguali. Sapevamo bene cosa stava succedendo, ma non avevamo il coraggio di dircelo. 
Parallelamente, in grembo a mia moglie, il destino aveva deciso di piantarci due semi preziosi, da coltivare e crescere con amore e pazienza. Se da un lato la pancia aumentava di giorno in giorno, dall’altro la vita del nonno si stava spegnendo. Una sera di marzo, tuttavia, rientrando in casa dalla solita passeggiatina “premaman”, nello stupore generale lo trovammo in piedi accanto al tavolino. L’indomani usci di casa e girò intorno al palazzo. Stessa scena il giorno dopo e quello dopo ancora. A distanza di una settimana, seppur aiutato, riuscì a compiere il giro dell’intero isolato. Tornando verso casa, guardandoci ci disse: "Se non mi alleno e voi siete sempre al lavoro, chi la spinge la carrozzina di questi bambini?". Gli occhi si inumidirono velocemente e non tirava vento. Sapeva perfettamente che non li avrebbe mai visti sorridere, né tantomeno lo avrebbero chiamato “nonno”. Non gli rimaneva il tempo di prenderli in braccio, sgridarli, viziarli di nascosto o proteggerli dal mondo. Sapeva che la sabbia della sua clessidra si stava per esaurire, ma nonostante tutto aveva deciso di rimettersi in piedi. Il giorno che tornammo dall’ospedale fu il primo a inforcare la carrozzina e uscire in strada sorridente, per far vedere a tutto il quartiere quanto belli fossero i suoi nipotini. Qualche mese più tardi, quando stremato decise che era giunta l’ora di andarsene, realizzando l’impresa che aveva fatto, provammo a riempire il vuoto che aveva lasciato con poche parole semplici: niente può fermare il potere della volontà.

Siena – Santarcangelo: c’è modo e modo di perdere. E a volte basta provare a lottare ed uscire dal campo stremati, per cambiare i fischi in applausi. Ma purtroppo, quando Arlecchino si trova a servire improvvisamente due padroni, non sa più a quale rendere conto e le cose non possono che andare male. Una società sempre più avvolta su stessa, presieduta da una figura che non si capisce bene se è ancora centrale o già vivacchia ai margini, finanziata da un’entità restia a farsi conoscere e diretta da personaggi obsoleti alla disperata ricerca di una riconferma (che non arriverà!) e una squadra di gente SCONFITTA prima di entrare in campo, per la quale la maglietta è soltanto un indumento da indossare la domenica, Siena una tappa famosa e “ambizione” una parola troppo difficile da imparare a memoria: tra qualche mese sarete (tutti) soltanto un brutto ricordo. Nel frattempo avrete contributo ad annoiare un popolo che anche quest’anno aveva sperato in qualcosa di buono, dando anche l’impressione di fregarvene! Ma chiedere scusa è tanto difficile? Ci sono uomini con la U maiuscola ed altri piccoli piccoli. Non sta a me giudicare: il tempo è galantuomo!

Tutti uniti insieme avanzeremo!!

Ps. La squadra della Robur scesa in campo domenica scorsa, avrebbe vinto il campionato di serie D? No!



Mirko

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