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giovedì 29 gennaio 2015

LA FOLOSA COMMEDIA. Inferno, Canto VII (Avari, prodighi, iracondi, accidiosi)

"Canto settimo, dove si dimostra del quarto cerchio de l’inferno e alquanto del quinto; qui pone la pena del peccato de l’avarizia e del vizio de la prodigalità e del dimonio Pluto; e quello che è fortuna folosa"

(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)


Ci ritrovammo all'inizio del quarto cerchio. Lì trovammo un mostro, una strana bestia. Aveva il corpo di un lupo e la testa del Chiorba, i capelli di Beppe Beppe, il cervello del Mendingo, il viso del Paonazzo. Insomma, era un mostro al cubo. 
Come guardiano del girone, pronunciava frasi sconnesse e senza senso: “Forza Viola, Forza Viola aleppe”. Lapo lo zittì, ricordandogli la sconfitta che il suo capo, Lucifero, subì da Tore Andre Flo in quel bel giorno di gennaio. La bestia, che per la cronaca si chiamava Pluto, si accasciò e, sconsolata e depressa, si fermò, così come le gonfiate vele caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca. La ferita, evidentemente, era sempre aperta.
Entrammo allora nel quarto cerchio. 

Vedemmo subito una moltitudine di anime, tanto che sembrava di essere al casello autostradale per ferragosto. La prima impressione era che fossero anime non tanto furbe. Divise in due schiere, un gruppo spingeva dei massi enormi, mentre altri facevano rotolare altri sassi, finché non si urtavano. Si sentivano urla altissime: "Ma chi vi ha dato la patente? Noi abbiamo la precedenza!". "Chi vi ha insegnato a guidare? Compratevi gli occhiali buoni. Un certo foloso l'ha belli e nuovi. Non lo vedete che siam di color magenta?". Riprendevano i massi, ritornavano indietro e ricominciavano da capo. 
Ero angosciato. Visto il loro q.i. non eccezionale, ipotizzavo sarebbero presto stati presentati da un noto partito (scusa) come candidati a sindaco; perciò chiesi a Lapo chi mai fossero quelle anime. 
Mi rispose la guida, dura come un leccio: “These men in vita erano persone che non hanno speso i soldi con la giusta misura. Peccando gli uni di avarizia e gli altri di prodigalità. As un istituto (-S): avaro con il popolo, generoso con chi voleva”. Capii il concetto, ma non riuscii a riconoscere nessuno. Virgilio mi chiarì allora che il carattere immondo del loro peccato li rendeva irriconoscibili. Ma che tra loro c'erano anche Papi e cardinali. E qualche dirigentone. 
“Essi continueranno con il loro stupido gioco fino al giorno del giudizio”, disse Lapo. “In quel giorno gli avari risorgeranno con il pugno chiuso e i prodighi con i capelli rasati. Eppur sappiam che i beni terreni affidati alla fortuna sono effimeri e nemmeno tutto l'oro del mondo e gli aumenti di capitale possono essere sufficienti a placare le loro anime afflitte”.
Chiesi a Lapo cosa fosse la fortuna. Si trattava di avere culo nel gioco? “Niente di tutto questo”, mi rispose incazzoso. “You are ignurant com na capra” e si scostò tra l'incavolato e l'indemoniato. “Nostro Signore ha disposto intelligenze angeliche, dando la possibilità di gestire le ricchezze in modo equo, dando disposizioni in quali mani esse devono andare e chi deve prosperare e chi no. Your problem è che dalle tue parti son sempre cadute nel sistema aggrovigliato. Ma adesso stop, seguimi, the trip continua”. 
Attraversammo il cerchio seguendo un fiume di un colore assurdo, magenta scuro, e arrivammo nella palude Stige. Qui notai delle anime che si flagellavano, si prendevano a schiaffi, si mordevano, si sbranavano: erano gli iracondi. 
Messi sott'acqua, le loro bestemmie e le loro grida facevano arrivare a pelo d'acqua molte bollicine. “Fanno la Jacuzzi?” chiesi alla somma guida. 
“Che demente... Sospirano e chiacchierano. Sono tutti quelli che dovevano rubacchiare qualcosa dai soldi di Siena Capitale della Cultura e che ora sono ridotti così, in mezzo al fango”. 
Li costeggiammo guardandoli con curiosità ed alla fine giungemmo ai piedi di una torre.

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