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lunedì 10 dicembre 2018

Leopoldelle. L'intervento di Marco Bianciardi

Secondo contributo di un relatore presente alle ultime Leopoldelle, Marco Bianciardi (non è quello in foto, tranquilli), improvvidamente da me proclamato "intellettuale".  A mio avviso, in questa epoca così liquida, la funzione dell'intellettuale è quella di poter far fruire a chi sta in basso dinamiche complesse e difficili, spesso dipanate dall'alto. Una funzione eminentemente politica, quindi. Vabbè, vediamo se in questo caso abbiamo raggiunto lo scopo...

Compito che mi era stato assegnato per queste Leopoldelle: il tentativo di non separare il livello locale da quello nazionale ed internazionale, rileggendolo quanto meno anche alla luce di quanto avviene altrove per evitare il monadismo che ci caratterizza, l'idea, sbagliata, di essere sempre un caso eccezionale, unico. Un caso dotato di una sua unicità sì, ma non unico. Anche Siena è aperta a contaminazione ed influenze globali, ciò che succede qui, pur con la sua specificità, è specchio di movimenti più generali.
La crisi dei centri di rappresentanza e mediazione politica e culturale non nasce qui, ma è di lunga durata, direi che parte da fine anni '60, e riguarda Paesi e latitudini diverse. Ovviamente qui ha assunto una forma e una declinazione specifica, che poi magari sarà possibile sviscerare, ma la dinamica, il movimento è generale.
Crisi del mandato, della delega, a tutti i livelli (politico, culturale, economico), in tutte le sfere della vita pubblica ed associata, che negli ultimi cinquant'anni si è esteso ed amplificato nonostante i tentativi di censura e di conservazione, che però hanno totalmente carattere reattivo appunto, e non più propositivo.
Crisi della politica istituzione, della forma partito, del politico di professione o guida, del leader carismatico. Non è che non ne nascano più, ma vengono selezionati in base ad altri paradigmi, tenendo conto di altri poteri oggi più incisivi e pervasivi (come quello dei media, ma anche delle grandi concentrazioni di interessi finanziari, economici, persino malavitosi che dirigono effettivamente la vita di un Paese). Inoltre, meno disponibilità all'ascolto passivo dovuto ad una mutazione antropologica che non può più essere ignorata o osservata con snobismo o come accidentale incidente di percorso.
Due motivazioni per questa crisi.
1) L'autodelegittimazione delle classi dirigenti con il loro operato egoistico, autoreferenziale, scarsamente etico, ansioso solo di essere legittimato dalle lobby che contano o, cosa che non può più essere ignorata, fortemente influenzata dalle infiltrazioni delle grandi multinazionali del crimine (Siena?). E' il caso della sinistra istituzionale italiana e, più in generale, dei partiti socialdemocratici europei.
2) La radicale trasformazione antropologica indotta da oltre cinquant'anni di benessere (trenta effettivi, venti consequenziali) che solo adesso, da alcuni decenni, inizia ad essere intaccato (individualismo, soggettività acquisitiva, volontà di costruirsi una dimensione privata estranea a quella dei grandi destini collettivi).
Questo sembrerebbe scoraggiare, almeno dalle nostre parti, soluzioni radicali, sia di estrema (o, per meglio dire, ipercoerente) Destra o Sinistra. Il Nazionalismo estremo o ridistribuzioni radicali della ricchezza o risorse da collocare nel futuro. Valori assoluti o utopie come quelli di Nazione o Rivoluzione di Popolo sembrano completamente estranei in un orizzonte che è dissacratorio o desacralizzato, materialista, consumista, da cui non si può tornare indietro, a meno di catastrofi economiche e finanziarie che impoveriscano drasticamente, comunque non nell'immediato ma nell'ambito di una lunghissima durata, la popolazione. L'ansia è quella di perdere ciò che si ha, che le ultime generazioni hanno acquisito e che le nuove danno per scontato, non di edificare mondi nuovi o restaurazioni di un passato preconsumista (da qui, a mio avviso, la fallacia della paura di un ritorno del Fascismo). Che esistano atteggiamenti razzisti e intolleranti, definibili come fascismo mentale, può essere vero, ma non esiste chi sarebbe disposto a sacrificare le proprie comodità per annullarsi nell'edificazione e nel mantenimento di uno stato totalitario.
Insomma, più o meno sappiamo cosa non vogliamo più o cosa sarà impossibile ripristinare, ma non è ancora chiaro come sostituirlo ed è puerile pensare che lo si possa fare in pochi anni se non in pochi mesi. Un sistema è comunque collassato ed è perfettamente inutile che cerchi di intercettare nuovamente un elettorato che cambia continuamente, non è più disposto all'ascolto passivo (disposizione che assume due forme: o la liberazione dalla politica, o il suo contrario, la voglia di mettersi in gioco e partecipare - es. la campagna elettorale a Siena), non rilegittimerà più acriticamente chi vuol parlare in sua vece.
Bisogna cambiare occhiali, paradigmi ed abbandonare i vecchi miti rassicuranti che ci permettono di dotare di leggibilità un orizzonte complesso, stratificato, articolato.

Marco Bianciardi

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