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venerdì 14 dicembre 2018

Cactus

Se a dicembre non ci fossero le feste, sarebbe peggio di novembre. Giornate corte, freddo, pioggia e buio pesto di continuo. Ma come fanno a vivere in Norvegia? In una vita precedente devo essere stato un cactus, nato al sole del deserto del Messico. Oppure una pianta di agave, sfogliata e distillata per produrre tequila. 

E il pensiero che il mio sacrifico possa essere servito ad alleviare i patemi di qualcun altro mi rende sereno. Esattamente, immagino, come la Pasqua per Gesù di Nazareth. Natale invece è soltanto un compleanno sovrastimato e mal festeggiato, seguito dalla gigantesca a illusione del capodanno: "Quest’anno è andata così, ma quest’altro che viene vedrai sarà meglio". Sempre più fanti, sempre meno santi. L’importante è spendere, nutrire la vacca e assicurarsi che non muoia. 
Una fila di furgoni intasa la strada, Amazon promette di consegnare tutto per tempo, mentre alla televisione passano insulse reclame di profumi costosi. Il ragazzo dell’hotel mi avverte che per l’aeroporto è in partenza lo shuttle. Una signora dietro di me si lamenta ad alta voce di tutte queste parole straniere che oramai hanno contaminato la nostra lingua. "Ma perché shuttle" - bofonchia - "non potrebbe dire pulmino?". La guardo con occhi colmi di comprensione e quasi quasi mi fa tenerezza. Vorrei tanto farle notare che anche pullman non è una parola italiana, ma poi lascio perdere. Sorrido, annuisco e faccio finta di niente. Ignara e irritata, la vedo digitare qualcosa sullo schermo del telefono, smaniosa di condividere con altri tutta la sua rabbia. Se il puzzo viaggiasse via fibra, la gente la smetterebbe di scoreggiare su internet, perché certe parole scappate da una tastiera puzzano più di molti sospiri di culo. 
Siamo tutti intellettuali, anche se l’ultima cosa letta è "Lasciate il bagno come lo avete trovato". Belli quei tempi in cui what’s up era soltanto una meravigliosa canzone delle 4 No Blonde e il calcio era ancora un gioco. Ma cosa stiamo diventando? Sempre più sale bingo, sempre meno sale da ballo. Compro oro e slot machines a profusione. Debiti, frustrazioni e vino cattivo per dimenticare. E quando non sai che dire, basta una faccina per riempire un messaggio. L’inverno inizia tra le luci lampeggianti dei balconi: tante ore di notte, poche di giorno. L’unica evasione rimane la pizza del sabato sera. Grani antichi e condimenti nuovi. Vestiti di marca comprati al grande magazzino e mutui da saldare: a volte un capo firmato funziona meglio dell’aspirina. Basta poco per sentirsi bene. E poi è un affare: hai visto quanto poco costava? Il mondo si divide tre gente retail e gente outlet. In mezzo un unico grande, gigantesco, parcheggio. La musica finisce, la gente si emoziona: vince Anastasio, lacrime e applausi in chiaro per tutti. Coppie bianche con figli di colore in mezzo a passeggini gemellari. A chi troppo e a chi niente. Ma dov’è questo Dio caro, che giudicate tanto buono e giusto? 
Passano gli anni, si inaspriscono gli spigoli. Cambia il clima e mutano le stagioni: m’avete rotto il cactus e non è più possibile tornare indietro. Cambia il pallone e mutano le abitudini: m’avete rotto il calcio e non più possibile tornare indietro. Ma perché chi comanda nel calcio non sa niente di calcio? Vorrei che i manager del pallone potessero trovare sotto l’albero un po’ di buonsenso. Riconosco che non sia un regalo ambito, costoso e prezioso, ma ritengo possa essere comunque utile. Vorrei che i signori seduti nella stanza dei bottoni capissero che la scatola oramai è vuota e sollevando il coperchio non esce più il pupazzo a molla. Stadi vuoti, orari assurdi, stato di polizia. Mi dispiace assai che chi regola la nostra passione non sappia nulla di essa. Andare allo stadio a vedere la Robur vincere 4-1 non è soltanto assistere ad una partita. Anzi, la partita non c’entra quasi niente, o meglio diciamo che è soltanto un pretesto per stare insieme. È un panino prima e una birra dopo. È l’unico modo per rivedere vecchi amici, staccando per 90 minuti dalla vita di tutti i giorni, perchè farlo rimanendo seduti nel divano di casa non è decisamente la stessa cosa. Ritrovarsi in curva è condividere qualcosa; accendere la tv del salotto invece è soltanto dividere quel qualcosa. Salire sui gradoni è come tornare un po’ bambini: misero è colui che non ha mai provato l’emozione di affacciarsi dalla curva e guardare i giocatori finire il riscaldamento, con il cuore che batte forte al ritmo di musica e pubblicità. Certe cose non hanno età: il profumo dell’erba umida tagliata di fresco, l’eccitazione dell’attesa, la birra rovesciata sui jeans. E poi ci sono gli avversari dall’altra parte del campo, con i loro colori diversi e i loro dialetti strani. 
Chi comanda nel calcio non sa niente di calcio. Non sa cosa significa salire sul pullman alle sei di domenica mattina pieni di sonno e di speranza, oppure tornare a notte fonda dopo aver perso 4-0. Non sa cosa si prova a giocare nel fango gelido e a non dormire tutta la notte per un goal preso a bischero negli amatori a 7. Ma in compenso sa perfettamente che DAZN si pronuncia Dazone, come se ciò bastasse a farmi stare tranquillo. Come siamo arrivati a tutto ciò? Vi state accorgendo che il calcio sta morendo? Perché questo accanimento terapeutico televisivo? Non sarebbe stato meglio assoggettare le telecamere al calcio, piuttosto che il contrario? Sarebbe bello far capire che se a me piace il Siena, voglio guardare il Siena. Punto. Sfalzarmi gli orari per permettermi anche la visione della Ternana e del Sud Tirol non mi cambia proprio niente, tanto non le guarderò mai! Nemmeno se Luca Giurato e Maria Venier fossero l’unica cosa rimasta in tv. E quindi, a chi giova giocare alle 18.30 di mercoledì? Oppure anticipare alle 20.45 di un sabato dicembrino una partita programmata per il pomeriggio dell’indomani? Pensiamo veramente che 3.90 € Iva inclusa a partita possano risolvere la crisi economica? Ci siamo domandati come mai tutti gli anni falliscono decine di società? Cosa ci fa un’attrice alla vice presidenza della Lega? Caro Babbo Natale, lo so, ho troppe domande e poche risposte, perciò non ti chiedo niente di personale quest’anno. Come regalo vorrei soltanto tu potessi donare un po’ di buonsenso a chi comanda, in modo che questa triste agonia non diventi presto cancrena.

Siena - @|b!§§#|@: 4-1 a scuola quando prendevo 7 a matematica il professore mi guardava perplesso. Sapeva che avevo imbrogliato, ma non poteva dimostrarlo. Ecco, mercoledì sera mi sono sentito come dopo un bel voto preso copiando. E come in quelle occasioni, ho salvato soltanto il risultato e i tre punti presi, che sollevano lo spirito e fanno classifica. Per il resto boh... manca poco ci pareggiano in 10.

Carrarese - Siena: i mali del pallone continuano. Una squadra prima in classifica, senza pubblico e con uno stadio inagibile. Ha ragione Baldini: il calcio è dei tifosi, perché i presidenti e i sindaci passano, mentre i colori e la passione restano. Tornate tutti alla normalità e lasciateci cantare. La vera violenza è nei palazzi, non negli stadi.

Saluti, baci, cordialità e sempre forza Siena!


Mirko

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