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martedì 23 ottobre 2018

Baia del Sole

Da quanto è tramontato il sole? Cerco di fare mente locale senza successo, in alcuni istanti il tempo si cristallizza, non che mi importi davvero di trovare la mia collocazione nella storia, passato presente o futuro che sia. 

Cammino sulla sabbia umida e fredda, le poche luci arancioni che illuminano l’orizzonte arrivano dal ristorante al centro del lido, una luce bianca alla mia sinistra rende appena visibili tre cabine bianche col tetto azzurro e un paio di kayak abbandonati in modo scomposto. Arrivata alla scogliera che circonda la spiaggia prendo il tempo dal display del cellulare, mi metto le cuffie nelle orecchie e inizio a camminare verso l’altro estremo intenta a capire quanto sia lunga questa linea di fior d’acqua da parte a parte. Immersa fino alle caviglie nell’acqua calda del mare tento di memorizzare ogni sensazione. Quanto dura un istante? A volte per sempre. E un per sempre? Anche meno di un istante. 
Non capisco come mi sento, non capisco se sono felice, se sono triste, se sono rilassata o se tremo per la voglia di scappare, non riesco a percepirmi, non riesco a focalizzare nulla. Forse va bene così. Ma non ci credo molto. Alzo il volume, tentando di non ascoltare i miei pensieri, ma non sembra funzionare stasera. Sedici minuti. Andando piano piano sembra sia lunga sedici minuti. E che da questo lato le conchiglie siano capaci di tagliare la carne come fosse burro. Spengo tutto, lascio cadere gli auricolari sulle spalle e mi stringo nella felpa. 
Sento delle risate provenire da destra, dal bar, le luci sono troppo forti e troppo allegre per un giovedì di settembre di fine estate, lo è anche la musica sudamericana che pompa dalle casse. Un signore mi fa un cenno di saluto e mormora qualcosa, forse in tedesco; annuisco e torno al punto di partenza. Non so bene cosa fare. Sono quei momenti in cui scegli di fare qualcosa nella più totale solitudine salvo poi renderti conto di sentirti solo. Può qualcosa essere giusto e sbagliato allo stesso tempo? Non lo so. Sono stanca. Sul traghetto non ho avuto tempo di pensare, tra l’imbarco e la traversata da sola in compagnia di un cane litigioso è stato semplice perdersi. Sembra che il problema del perdersi sia il momento in cui si finisce col ritrovarsi. Scesa dal traghetto mi sono guardata intorno riconoscendo ogni strada, cercando cosa fosse o non fosse cambiato in quei posti che non vedevo da anni. Ho cambiato posto, ho cambiato zona, ho tentato di vivere le cose in modo diverso, di creare qualcosa che fosse solo mio per non rendere le mie sensazioni ancora una volta... affollate. Ma qualcosa è andato storto, non ero arrivata da questa strada la prima volta che sono stata qui, ma qui ci sono già stata. 
Una volta lasciato lo zaino in appartamento e percorso il vialetto di ghiaia del residence mi sono trovata in uno strano deja vu. Sono entrata nel ristorante in punta di piedi e in silenzio guardandomi intorno come se avessi violato un luogo sacro. Ho preso da bere solo per non sembrare troppo strana e senza accorgermene ho sorriso al titolare rivolgendogli qualche parola: "Non è cambiato davvero nulla qui", seguito da un impercettibile "... per fortuna...". Sembra tutto così lontano nel tempo eppure è stato poco fa il tramonto, ma ora il buio e il rumore delle onde mi hanno portata via. Una serie di suoni mi indica che il cellulare ha ripreso beffardamente campo tutto insieme, abbasso la suoneria e torno ad ignorarlo. Faccio un passo lento verso l’acqua per poi saltellare indietro all’arrivo delle onde, non so per quanto tempo ho continuato a giocare col mare, so che è stato il tempo necessario a costruire il tintinnio di una risata. Ho lasciato che il mare mi rincorresse per poi concedermi infine, per paura decidesse di non volermi più. Dopo tanto rincorrersi si è infranto sulle mie gambe con forza ricordandomi cose che avevo davvero dimenticato. 
C’è stato un tempo in cui le emozioni più forti riuscivano a mettermi letteralmente le ali ai piedi. Di colpo correvo via. Da una delusione, da una dichiarazione, da un abbraccio, dalla felicità o dal dolore, correvo semplicemente via quando il mondo crollava o smetteva di girare. Non correvo verso nulla, avevo solo bisogno che qualcuno mi fermasse ripristinando il normale equilibrio del mio universo. Come il mare adesso. Non so quando ho smesso di correre. Ma so di non aver mai smesso di scappare. Cambiano le cose, ci illudiamo di essere cambiati anche noi ma forse siamo tutti vittime dei nostri stessi schemi. Forse sarebbe sufficiente non fuggire, magari basterebbe a rendersi conto che non è successo nulla e che va tutto bene. Ma se così fosse avrebbe lo stesso significato? Ottenere un abbraccio dopo averlo chiesto ha lo stesso sapore di un abbraccio che ti sorprende esattamente nel momento in cui ogni cellula del tuo corpo freme perché arrivi? Io credo di no. Credo che nessun gesto abbia alcun significato senza empatia. Credo che qualsiasi desiderio espresso perda la propria luce. Ce lo dicono fin da bambini: "Esprimi un desiderio, ma non ad alta voce, altrimenti non si avvera". Forse era questo il vero significato. Senza sorprese, senza empatia, senza un contatto di anime le cose non hanno la stessa intensità, sono solo delle copie non troppo riuscite della felicità. Come una coccarda per un secondo posto. E’ pur sempre un premio, ma privo di significato. Uno di quei premi che preferiresti non ricevere perché ti ricordano ciò che non hai raggiunto. La verità è che la parola capace di fare più male al mondo è davvero breve, è composta da sole due lettere ma è capace di distruggere tutto.

SE.

Tutto qui. Basta un "se" a catalogare ogni dolore. Piccolo o grande. Raramente lo usiamo per ricordare che le cose sarebbero potute andare male, sono pensieri dai quali la mente umana tenta di difendersi, ma si tortura pensando a come sarebbero potute andare meglio. Facilmente catalogabili anche come seghe mentali, tanto per fare mente locale sempre e solo sugli errori e mai sul resto. E’ forse questa la follia? 
Cammino sulla passerella di legno, mi fermo al ristorante e cerco un tavolo. Cerco quel tavolo. Mi siedo, faccio un respiro profondo e socchiudo gli occhi. Sento la tua mano sulla mia spalla e il tuo sorriso nei miei occhi, perdo una lacrima e ti lascio andare. Ironia della sorte, questo posto si chiama "Baia del Sole" ed è stato forse l’ultimo posto in cui io ho visto il mio. Dovremmo trovare il coraggio di non tornare mai dove siamo stati davvero felici.
Finito! Dovremmo trovare il coraggio di non tornare mai dove siamo stati davvero felici? Guardo i biglietti del concerto nella mia borsa, sono rimasti qualche settimana attaccati con un magnete alla lavagna in cucina ed ora sembrano fissarmi con aria interrogativa. Dovrei solo prendere l’autostrada e andare a Milano ma l’entusiasmo è andato scemando man mano che questa serata si avvicinava. Ripenso alle parole che ho appena finito di scrivere. Ha mai funzionato? Tornare in un posto dove si è stati davvero felici cercando di vivere emozioni positive o di creare nuovi ricordi? C’è mai stata una volta in cui abbia funzionato? Stavolta non voglio nemmeno tentare. Ci sono dei ricordi che devono rimanere tali. Anche se il tempo è ciclico e sembra divertirsi a riproporci il passato, che come ogni cosa che si ripropone produce acido e ci brucia dentro. E’ stato di nuovo Palio straordinario, ma il giorno dopo non siamo partiti per Genova. Il Genoa ha affrontato invece la Juventus e la Robur la seconda squadra della Juventus, ironia della sorte, in un campionato di Lega Pro che quest’anno veste stretto come un paio di jeans alla fine delle feste di Natale. E’ da fine luglio che non metto piede al Rastrello. Cinque partite e cinque punti. Squadra che vince non si cambia (s’è visto), ma squadra che pareggia? Se la prevedibilità non gioca a favore di chi vince figuriamoci se può giocare a favore di chi strappa un punto solo su rigore (quando si riesce). 
Ma in fondo noi non capiamo un cazzo. Si sa. Io in particolare. Cinque è un numero che ho sempre amato. In questo caso meno. Anche se loro erano in bianconero e noi in arancio Anas, iniziamo a giocare? Ci scrolliamo dalle spalle le delusioni e ripartiamo? Per non dover più vivere un’estate come quella appena terminata. Per far ripartire qualche cuore che si muove a stento. Per lasciare questa merda di categoria. Per tornare lì dove siamo stati felici.

Vale

2 commenti:

  1. Vale è Mirko travestito da donna.
    Stesso stile,stessa prosa...speriamo dopo il due non ci sia anche il tre perchè alla gente poi viene a noia e va a leggere Camillo o il blog di qualche ripurgato storico.

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  2. In realtà non esiste nemmeno il due :) E' stata solo un'invasione di campo 'una tantum'. Per la somiglianza,chiedo venia,posso immaginarne il motivo. Comunque giuro che ho finito,mi verrei a noia anche da sola!

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