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martedì 8 maggio 2018

L'amica maestra

Aprile finisce e sotto con maggio. Come al Tendenza alle 4.30 di notte, la musica sfuma, entrano le donne delle pulizie per portare fuori i sacchi dell’immondizia e forse forse è arrivata l’ora di andare a colazione. 
Se ripenso alle quantità di schifezze che mangiavo alle prime luci dell’alba vent’anni fa e lo confronto con il mio austero e misero regime alimentare di adesso è come se Taz il lupo della Tasmania sfidasse il bambino con il pigiama a righe in una gara di rutti. Ti piace vincere facile? Bonci bonci bonci bo! Perché a vent’anni è tutto più semplice? E se invece fosse soltanto meno complicato? 
La fine del campionato è arrivata e la primavera entra nel vivo. Non siamo voluti andare direttamente in Serie B (si può dire?) e adesso ci tocca subire la logorante apatia di una lenta attesa, lunga come un mese normale di trenta giorni. Abbiamo giocato a Prato la partita del "quel che poteva essere ma non è stato". Sarebbe stato un bel commiato salutare lo stadio di Pontedera tre anni dopo circa l’averci messo piede con la giovane Robur Siena appena promossa in Lega Pro. Volendo, poteva essere la chiusura del cerchio di una percorso pluriennale ed invece siamo stati costretti ad una comparsata contro una squadra che abbiamo condannato alla retrocessione. 
Chiudiamo in fretta questo campionato e pensiamo a ricaricare le pile per le prossime partite. Se poi per un secondo penso che durante il campionato abbiamo perso due volte con la squadra che ci arrivata davanti e non abbiamo mai vinto con quella che ci è arrivata subito dietro, un freddissimo brivido mi percorre la schiena, saltellando da una vertebra all’altra, scendendo dalla nuca fino al bacino. Boh, staremo a vedere, ma non vorrei che la volontà di non andare in Serie B, chiaramente espressa (lo ripeto) durante la stagione regolare (in culo agli inutili inglesismi), si riproponga come i peperoni durante i play off. A tal proposito farei volentieri un appello a dirigenti, giocatori e allenatori: fatemi bugiardo, vi prego! E soprattutto, se i presupposti sono quelli di non voler salire, non ci fate arrivare fino alla finale. Almeno i soldi della benzina fateceli risparmiare. Se invece volete provare in tutti i modi a vincere, avrete nel sottoscritto un fiero scudiero, che non esiterà a finire la voce ogni qualvolta la maglia bianconera scenderà in campo. Però, ve lo ripeto: patti chiari e amicizia lunga. Meglio diventare rossi prima che verdi dopo. 
Anche perché gli anni di Paganini e di quello sciagurato campionato di C1 non sono poi così lontani. Anni ’90, che tempi. Musica dance, dottor Martens (scarpe, non parenti del giocatore del Napoli) e tanta voglia di vita nelle vene. A qualcuno (pochi in verità), oltre alla voglia di vita nelle vene scorreva anche altro, ma quello era un problema marginale (forse…). Tempi duri quelli della scuola superiore. Non era ancora diffuso il bullismo, ma io i miei sonori scapaccioni da quelli più grandi l’ho sempre presi. Sarà per questa faccia di cazzo o per l’incapacità di tenere la lingua a posto, ma nessuno mi ha mai risparmiato niente. Poi lo farai anche te, mi dicevano. Ed invece, niente. L’ho prese senza ridarle. Parallemente ai nostri dolori da villici scapestrati, crescevano rapidamente le nostre coetanee: ragazze troppo avanti per confondersi con noi piccoli moccoloni. Ed infatti finivano sempre per mettersi con quelli più grandi. Che poi erano i medesimi che mi prendevano a botte. Come a dire: becco e bastonato. 
Le ragazze sono un mondo a parte, si sa... è il loro bello ed il loro brutto. Alcune di loro facevano il Bandini, qualcuna il Monna Agnese, altre le Magistrali. "Da grande farò la maestra", mi disse un giorno la mia migliore amica. "Non voglio altro nella vita che insegnare a vivere ad un branco di cittini scalamanati. Mostrar loro i colori, parlare delle stagioni o elencare i nomi dei mesi a filastrocca, tipo 30 dì conta novembre, con april, giugno e settembre, etc. etc". I sogni sono magici per definizione, ma quelli immaginati da piccini hanno un potere maggiore: ti rapiscono soltanto a sentirli raccontare. E poi è bello osservare la luce della speranza che illumina uno sguardo. Così, parallelamente all’alba del periodo d’oro bianconero, la mia amica conseguiva un diploma magistrale abilitante all’insegnamento. Non era molto, ma era già qualcosa. Il Siena vinceva i campionati e lei accumulava punteggio, buono per piazzarsi ai primi posti della graduatoria, non appena quest’ultime fossero state riaperte. Nel frattempo lei cresceva e per conseguire il suo sogno cominciava dalla gavetta in una scuola materna privata. Ma il sogno era sempre il solito: il posto di ruolo allo Stato. Aveva un diploma abilitante (ribadiamolo!) e tutta la vita davanti. Come sempre succede in questo Paese, con una manovra più o meno politica, le graduatorie vennero finalmente riaperte. Saranno stati i primi del 2000 o non lo so, ma fatto sta che un bel giorno il Ministero, bisognoso di maestre, aprì le liste, inserendo anche le diplomate magistrali tra le figure idonee all’insegnamento. Piano piano le cose si appianarono e dopo qualche anno la mia amica fu chiamata ad insegnare nello Stato. Nel frattempo però la ragazza era diventata una donna, si era sposata e aveva messo su famiglia. A metà con il Monte dei Paschi aveva acquistato un appartamento piccino ma accogliente e viveva la sua vita. Senza eccessi, con equilibrio e serenità. La chiamata del Ministero le stravolse l’esistenza: lasciare i bimbi della vecchia classe dopo un ciclo di tre anni si rivelò una scelta assai dura. Qualche bambino pianse, i genitori ci rimasero male, la direttrice la guardò con rancore. Si avvicinò allo Stato una mattina di settembre: ad attenderla, dall’altra parte della scrivania, c’era un signore con un contratto in mano, che le disse: "Il tuo diploma è abilitante, quindi puoi insegnare, tuttavia il Ministero, lo stesso che qualche anno fa ti ha accettato, vorrà riservarsi la facoltà di decidere se convalidarti o meno il ruolo. Ma non ti preoccupare, questa riserva sa tanto di formalità. E poi siamo in Italia, no? Per il momento dovrai licenziarti dal tuo posto fisso (anche perché la chiamata è unica e se rinunci perdi tutto) e accettare questo posto senza protestare". La mia amica logicamente accettò di buon grado, buttandosi anima e corpo nel lavoro. Progetti, gite, crogetti e carnevale. Per lunghe notti ed interi giorni scrisse un trattato di scienze dell’educazione al posto della tesina, necessaria per superare l’anno di prova, che a giugno dell’anno successivo passò senza problemi, tra i complimenti del dirigente scolastico e gli abbracci dei genitori. Però? Però nel frattempo, la Ministra dell’Istruzione senza laurea di un governo illegale e non eletto dal popolo, in un avventato decreto (o roba simile), contraddicendo il suo stesso Ministero (!), aveva estromesso dall’insegnamento in qualsiasi grado o livello della scuola pubblica tutti coloro non in possesso di un titolo di laurea. Risultato: la formalità di cui sopra si trasformò rapidamente nel Mortirolo, ma non c’era nessun Pantani per poterlo scalare. Quella formalità in verità non riguardava molti, soltanto 55.000 maestri e maestri regolarmente assunti, sul cui misero stipendio avevano architettato la piantina di una vita semplice. 55.000 individui normali, la cui passione per i bambini permetteva loro di ridere anche quando la vita fuori dall’asilo non andava come avrebbero voluto. 55.000 individui completamente dimenticati dalla recente campagna elettorale (non tutti in verità, perché la Lega e Matteo Salvini li hanno ricordati più volte), che saranno tutti licenziati al 30 di giugno, con conseguente disastro sociale di un Paese in ginocchio. 
Di due cose ha bisogno la nostra italia: di asili e di commende: basta badanti importate dall’Est Europa! Fare la maestra è un po’ come fare il pompiere: non è un lavoro, è una missione. A loro affidiamo la cosa più preziosa che possediamo, ma spesso nel farlo non ce ne rendiamo conto. In uno Stato normale, non in questo che a distanza di due mesi dalle elezioni manca ancora di un governo, questa triste pagina sarebbe già stata riscritta. In Italia purtroppo no. Quindi, mentre la primavera entra nel vivo nonostante i temporali, il mio cuore si unisce a quello di migliaia di maestri e maestre, la cui stabilità fisica, economica ed emotiva è appesa al buonsenso. Gente perbene che chiede soltanto di poter continuare a fare il lavoro per cui è stata chiamata, senza attendere la sentenza (sicuramente negativa, visti gli scellerati presupposti) di un tribunale. Attenzione: non c’è peggior sbaglio che prendere un buono e farlo diventare cattivo. 55.000 non sono molti: sono un esercito! Che potrebbe bloccare il Paese, da nord a sud. Solidarietà alle maestre italiane e grazie di cuore per lo strepitoso lavoro che con costanza e perseveranza quotidianamente portano avanti, incuranti delle follie di palazzo e dei giochetti sporchi di una politica malsana.

Sono andato lungo, ho scritto troppo. Chiedo scusa, perdonatemi. W le maestre, W il buonsenso e, come dissero in quel vecchio film, W l’Italia bagnata dal Mar Ionio!


Mirko

1 commento:

  1. No,non si può dire che "non siamo voluti andare direttamente in serie B".

    Roby di Tressa non vuole!

    Michele delle lastre.

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