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venerdì 9 marzo 2018

Il fiore del melograno

Tra tutti gli alberi del giardino, ella amava il melograno. Non che adorasse anche i suoi frutti - sia ben chiaro - così piccoli, aspri e incastrati dentro quella odiosa corazza spessa e dura che li rendeva praticamente immangiabili. 

No, lei era follemente attratta dall’ostinata voglia di vivere di quel piccolo arbusto, piantato ai margini del rigoglioso giardino che circondava la casa dei nonni, al centro del quale due maestosi cedri del Libano obbligavano a salire ai piani alti per vedere la città. In primavera poi, verso maggio, dalle gemme sparpagliate lungo i rami sbocciavano piccoli fiori delicati, il cui colore rosso intenso dei quattro petali pareggiava la totale assenza di profumo e lo rendevano visibile anche al tramonto, quando l’aria si faceva più fresca ed il mondo diventava scuro. 
"Questo fiore profuma così poco, che nemmeno le vespe ci si posano", disse un giorno Fernando il giardiniere. Sicuramente non era una pianta importante come i due cedri ed i fiori non sembravano complessi come le eleganti composizioni viste nel negozio del fioraio, tuttavia le sembravano intrisi di una bellezza semplice ma al tempo stesso potente, come la voce di Cristina Aguilera in Lady Marmalade, la sua canzone preferita, scoperta per caso un giorno su internet e subito scaricata.
Su quel piccolo albero si rincorrevano le storie più assurde. E nelle rare occasioni in cui la famiglia si ritrovava a pranzare sul lungo tavola del salone, tutti i commensali finivano sempre per parlare delle sue origini: chi sosteneva avesse più di un secolo, chi invece raccontava che venne piantato dai vecchi proprietari della casa dopo la fine della guerra, chi ancora giurava di averlo visto improduttivo per oltre vent’anni e poi, nella primavera del 2000, avesse improvvisamente ripreso magicamente a fiorire. "Volle festeggiare anche lui il Siena in Serie B", disse un giorno suo zio, un ometto sempre allegro, con due esile gambette incastrate sotto ad un ventre turgido, che col passare del tempo si faceva sempre più gonfio. "Ed il poro nonno lo sapeva bene". 
In casa, eccetto lo zio ed il compianto nonno, nessuno amava il gioco del pallone. Anzi, per molti dei familiari, era soltanto un’inutile scocciatura, che ogni quindici giorni bloccava il traffico del centro e riduceva i parcheggi. "Fosse per me", aveva sentito dire un giorno da un cugino di suo madre, "lo stadio lo farei a Pianella! O anche per niente, tanto del calcio in questa città, non importa a nessuno". 
Lei anche in questo era diversa e la nonna lo aveva capito subito. Anche perché trascorreva più tempo con lei che con i suoi genitori, troppo impegnati a girare il mondo e frequentare la gente altolocata della Siena bene. "Nonna", esordì un giorno, distogliendo lo sguardo dal romanzo giallo aperto sulle gambe, "in questa casa ci sono due cose che vorrei rimanessero sempre al loro posto: il mio melograno e le foto delle partite del Siena, che il nonno teneva dentro al baule". La nonna, alla parola "nonno" aveva chiuso impercettibilmente gli occhi, attendendo l’immancabile ondata di dolore freddo che nel giro di pochi istanti le avrebbe stritolato lo stomaco, ma sforzandosi di sorridere, rispose: "Lo sai che anche a tuo nonno piaceva tanto quel buffo melograno? Considera che un giorno, tanti anni fa, uscendo di casa per andare a vedere la partita del Siena, lo pizzicai mentre si nascondeva un paio di melagrane in tasca. Le sgranocchio nell’intervallo, mi disse strizzandomi l’occhio, mentre scimmiottando i militari, faceva finta di uscire dal giardino a passo di marcia. Tuo nonno era veramente un gran tifoso del pallone e io non potevo farci niente. Se i primi tempi tentai di fargli notare la mia gelosia, col passare degli anni capii che lui poteva essere mio soltanto per sei giorni a settimana, perché la domenica esisteva soltanto il Siena. Anzi, la Robur, come la chiamava lui. Vedessi com’era contento quella sera che andò in Serie B. Era maggio ed il tuo melograno, dopo un lungo letargo, magicamente riprese a fiorire. Al nonno brillavano gli occhi come il giorno che sei nata tu, qualche mese più tardi. Ricordo che entrò in casa di corsa e mi abbracciò con una forza così inaspettata che per poco non caddi. Poi mi disse di cambiarmi, si sarebbe andati in piazza. Capirai, era da quando si vinse il palio nel ’78 che non andavo in città di notte... E poi, tornando a casa quella sera, prima di togliersi le scarpe e lasciarle sotto il portico come faceva sempre, prese la sciarpa bianconera e la legò intorno al tronco del melograno. E non la volle più togliere. Diceva sempre che prima o poi tutti avrebbero capito. Quanti inverni e quante estate ha sopportato quella povera sciarpa, che ad ogni mese diventava più fragile e lisa. La stoffa si assottigliava e i bianconero virava verso il grigio. Un giorno provai anche a dirgli di toglierla, ma lui non volle sentire ragioni. In verità io avrei voluto levare anche l’albero: prima che nascessi tu, volevo piantarci una bella ortensia, di quelle coi fiori celeste che avevo viste un giorno sull’Amiata. Ma lui non voleva sentire ragioni. Questo melograno non si tocca! E pensare che un giorno, mentre il dolore nelle gambe già gli impediva di alzarsi dal letto, mi confessò candidamente che quella volta non aveva preso le due melagrane per mangiarle alla fine del primo tempo, ma per tirarle in testa ai tifosi avversari, che erano brutti e antipatici. Mi pare venissero da Arezzo. Ma al tempo potrebbero essere stati anche di Grosseto o di Viterbo, anche perché per me c’era solo Siena e quell’altre città mi sembravano tutte uguali. E poi non davo tanto importanza a tuo nonno, quando mi parlava mi calcio".
La ragazza, che nel frattempo aveva ascoltato la storia senza interrompere, dimenticandosi perfino di respirare, guardò intensamente la nonna, prima di correre in camera. Dopo pochi minuti, riapparve in cucina reggendo tra le mani una sciarpa bianconera, di quelle che i ragazzi della curva vendevano prima delle partite. "O codesta?", chiese la nonna. "E’ di un mio amico", rispose sibillina la giovane, "me l’ha prestata". "Certo certo", pensò sorniona la vecchia, "ora si chiamano amici". "Sai che faccio nonna? Visto che il Siena garba tanto anche a me e quest’anno è prima in classifica, io la lego intorno al melograno proprio come fece il mi’ poro nonno. Tante volte portasse fortuna. E poi tra pochino sarà primavera e vicino al bianco e nero sbocceranno i fiori, proprio come tanti anni fa! E guai a chi la toccherà! Poi, guardando alzando gli occhi al cielo, aggiunse fra sé e sé: tieni duro nonno, stiamo tornando".
Siena - Viterbese: ci sono delle partite talmente importanti che pagherei oro per poterle giocare. Sentire il boato della gente entrare dalla finestra degli spogliatoi, uscire a fare riscaldamento, cercare di arrestare il cuore che batte all’impazzata nel petto. Ci sono partite talmente importanti che tutta le genti dovrebbero interrompere le loro cose ed accorrere alla stadio. Ci sono partite talmente importanti che non possiamo mancare per nessuna ragione al mondo. E la prossima è una di quelle!

Tutti insieme uniti avanzeremo.


Mirko

1 commento:

  1. ....dedicato a tutti i nostri nonni che ci portavano allo stadio quando s'era piccini.

    Cuorenero.

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