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giovedì 8 febbraio 2018

L'esame di Inglese

E, dopo tanto attendere, il fatidico giorno arrivò: 8 giugno 1990, iniziavano i Mondiali italiani, con Argentina-Camerun. Il giorno precedente terminavo di studiare Diritto Civile I, in vista del prossimo esame a Giurisprudenza.


Mi ricordo benissimo la sensazione di quei momenti: guardando il fischio d'inizio sul televisore Mivar nuovo, acquistato proprio per meglio gustare il football mondiale, sbirciavo alla mia destra l'enorme tomo di diritto civile, quasi come se fosse un frammento del relitto UFO caduto a Roswell. Possibile che in quattro mesi di lettura non ricordassi praticamente niente di quanto letto?
Intesi, da quel momento, che il mestiere di avvocato che mi era stato dipinto addosso non faceva per me e virai verso Scienze Politiche.
Ecco, al mio ipotetico figliuolo consiglierei vivamente di iscriversi a tale facoltà, per due ragioni: intraprendere la carriera del mantenuto cronico post laurea ed aprire la mente ad una organica interpretazione della realtà che ci circonda.
A Scienze Politiche mi divertivo studiando, perché ciò che affrontavo mi piaceva molto. Anche gli esami minori erano forieri di belle sorprese.
Prendiamo ad esempio l'esame di Inglese.
Studiavamo (in lingua inglese, obviously) la metodologia dell'uso di tecniche giornalistiche per indirizzare il pensiero del lettore. Tecniche talmente consolidate da far parte, appunto, di un corso di esame universitario.
Sì, perché, nello scrivere un articolo o nel comporre un quotidiano, esistono delle regole, subdole e poco visibili, che innescano nella mente del lettore un processo di adeguamento a ciò che lo scrittore vuole che venga inteso.
Non vi starò qui ad elencare una per una queste tecniche. Ma per semplificare vi farò un esempio immaginario, anzi immaginarissimo.
Prendiamo un quotidiano locale, uno di quelli che si professa totalmente imparziale. Questo quotidiano, nello stesso giorno e nell'arco di pochissime pagine, illustra, tramite una lunga intervista al soggetto di cui sotto, le difficoltà che un sindaco può trovare sulla propria strada ("anche perché, non so se lo sapete, i soldi del Monte sono finiti", cit.), lasciando al contempo allo stesso sindaco la possibilità di risolvere, per lo più tramite una serie infinita di supercazzole che non includono l'opzione di formulazione di misure tangibili, concrete e controllabili, tutti i problemi che lui medesimo non ha affrontato nell'arco del suo mandato di governo. E solo poche pagine dopo, ecco un articolo (correttissimo peraltro) sulle difficoltà di un noto movimento, che a Siena proprio pare non farne una giusta.
E, non contenti, continuiamo nei nostri esempi immaginari, anzi immaginarissimi.
Riprendiamo sempre il medesimo quotidiano locale, uno di quelli che si professa totalmente imparziale. Il quale spiattella, in una mega intervista dal sapore vagamente revisionista, il pensiero di uno di coloro i quali a Siena hanno davvero fatto parte integrante del famoso Sistema - a proposito, nessuno ne parla più... - quasi quasi dando a costui anche la facoltà di passare come vittima del sistema stesso. Anzi, togliamo il quasi quasi.
Vedete, non si sta parlando di massimi sistemi, di tecniche esoteriche, di strategie mirabolanti. No, perché non serve. A Siena, almeno. Bastano due o tre cazzatucole da terza elementare e tutto si sistema.
Facile eh!

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