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mercoledì 21 febbraio 2018

Diverso

Ore 1,51. Metto le cuffie ed avvio l'ascolto della suite per eccellenza, "Echoes" dei Pink Floyd, suonata da Gilmour alla Royal Albert Hall. "Overhead the albatross hangs motionless upon the air": spettacolare.


Certo, a tutti è capitato. A certe cene di Capodanno, ad esempio. O più volte ai ritrovi con i parenti. Ovvero in qualche festa degli amici delle medie, in accompagnamento alla consorte. Spaesato, un pesce fuor d'acqua, un oggetto fuori posto.
"Accidenti, ma questo palco è davvero a forma di billo gigante". Ed immagino, alla fine della performance, una eiaculazione verso il pubblico, per lo più femmineo. Cosa che forse farebbe anche piacere e sarebbe accolta con una ovazione, una delle tante di questa bolgia.
Mi ricordo il periodo berlinese di Bowie, quella della famosa trilogia, con l'incontro con Eno, da sottile duca bianco.
"Invece tu sei qui e mi hai dato tutto questo, invece tu sei qui mi hai rimesso al proprio posto". Ma come cazzo si fa a cantare queste cose? Mi ricordo che in quinta elementare mi estraniavo spesso in classe, prendevo un foglietto bianco e dipingevo un omino con cinque dita ed i capelli ritti, poi a fianco scrivevo un pensierino. Ecco, il livello è il medesimo. Ma è sorprendente come ci siano migliaia di persone che cantano all'unisono e ballano e si divertono.
E, non so perché, la mente va, forse in un moto di difesa, alla bellezza del Principe Myskin, "L'idiota" dostoevskijano. Probabilmente il personaggio più complesso che io abbia mai letto, più profondo. "Chissà perché mai nessuno ha scritto una canzone su Myskin", mi domando.
E chissà perché certi rapporti... anzi, mi correggo... il rapporto fra uomo e donna, fra ragazza e ragazzo, fra fidanzata e fidanzato (nella secca rappresentazione dei tre urlatori) deve essere descritto così spudoratamente in superficie? Costa molto pensare che a volte le cose sono più complesse? Si fa fatica a concordare che non è elegante dire: "Io sto da schifo credi e non lo vorrei stare con te e pensare a lei"?
Ma a me... cosa cazzo me ne frega di sentire le gesta di un infelice che mi rappresenta il vuoto del mondo suburbano della Milano triste degli anni '90? Ma di quanto è impostato il folto crinito ne vogliamo parlare? Ma un colore differente dall'urlo costante nella voce del cantante esiste?
"La musica, si sa, nasce spesso nelle cantine, con uno che non sa suonare la chitarra", sostiene il figo. No, non è così. Ossia, è così quando si parla della tua musica. Ma non è questa la regola. La musica è benessere, è vibrazione, è risonanza.
"Che momento sarà stato, nel '74-'75', quando Gabriel lasciò i Genesis", mi sovviene mentre sento per la millesima volta la parola "figata". "Figo", "figata", "sfigato"... ma andate a ripigliavvelo in culo!
"Dai, su con questi cellulari"! E tutti, anche gli anziani, alzano al cielo il proprio phone, sul quale hanno registrato tutto il concerto. Accendino contemporaneo, il cellulare rotea, illumina, registra. Centinaia di lucciole artificiali punteggiano il buio. "Che figata", ripete il belloccio.
Accanto a me, un martire. Un signore oltre la sessantina, che accompagna moglie e figlia e che resta immobile, impietrito per tutta la durata del concerto. Non so se, come me, si immagina un Fripp, che sarebbe scappato da questa arena; ma non penso. Immagino invece che si sintonizzi sulle faccende da pensionato che il giorno dopo gli propinerà: la bolletta da pagare, il giornale da comprare, magari accompagnato da un sorriso nascosto all'edicolante. Insomma, non proprio delle "figate". Il mondo contemporaneo tende poco a sopportare questi signori dagli occhiali spessi, che hanno svolto un lavoro ordinario durante una vita ordinaria. Me ne dispiaccio un po'.
Mi giro spesso e lo guardo, immobile mentre scruta l'infinito. Davanti a me una ragazzina manda un messaggio, immersa nella finzione dei social.
Sono le 2.17. "And no one sings me lullabys and no one makes me close my eyes". "Echoes" sta per terminare. Come questo giorno. Diverso. Come me, diverso da tempo immemore.

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