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giovedì 16 novembre 2017

Via Celso Cittadini

Ogni volta che a quel posto passo davanti, non posso che riavvolgere il filo della memoria. E mi vedo piccino, munito di pallone, che guardo a destra e a sinistra per non farmi mettere sotto da qualche auto di passaggio.

Sì, perché io provenivo dal piazzale e quella piazzola là, dove c'era il macellaio, era davvero off-limits. Sia perché la strada la tagliava fuori dal mio orizzonte di movimento, sia perché, seppur a dieci metri di distanza, il mondo cambiava totalmente. Non sapevo a memoria anzitutto i nomi dei residenti sui campanelli. E, di rimbalzo, non conoscevo le loro abitudini: se tifassero il Siena, se amassero il fumetto o la fantascienza, se fossero del Nicchio. Tutte discriminanti che, nella mia modesta griglia interpretativa del mondo in epoca infantile (ma un po' anche odierna...), facevano la differenza.
Eppure, davanti a quelle attività commerciali di Via Celso Cittadini, vedevo fermento, vita produttiva, sudore e lavoro.
E c'erano macchine, c'era casino. C'erano cittini amici miei, che come e con me giocavano perennemente a pallone, quasi fin dentro i negozi.
Sicuramente ho la mente annebbiata dai ricordi di una felice infanzia, fra ginocchia grattugiate e vita da strada. Ma mi ricordo che si rideva molto. Non mi pare di rammentare molta gente incazzata; anzi, dal macellaio e nella bottega di alimentari andavo spesso ad accompagnare mamma anche perché tutte le persone mi conoscevano ed erano gentili.
Un altro mondo, quello della Siena anni '70, dove prevaleva la persona per bene, la gente che si aiutava, che aveva pochi soldi ma all'altro dedicava tanta comprensione, seppure in un quartiere popolare e considerato al tempo molto periferico e per certi versi problematico.
C'era anche Massimo, amico di una vita e persona che ha imparato a vivere tirandosi su le maniche della camicia, perché a lui, come a tutti noi del quartiere, nessuno ha mai regalato niente. Da quel gruppo di cittarelli, che io sappia, nessuno ha fatto danni in città. Forse proprio perché nessuno ci ha regalato niente.
Oggi Massimo si trova parte di una diatriba che lo coinvolge direttamente, toccando la sua attività produttiva, che crea lavoro per se stesso, per la famiglia e per un indotto. Massimo non è un cretino e neppure un polemico (sempre stato io, sia il cretino che il polemico) e, fin da piccino, era sempre quello che cercava di mediare e di non essere distruttivo, anche a costo di sembrare troppo "politically correct".
La diatriba di Via Celso Cittadini, dove io sono nato, ha avuto un risalto mediatico eccezionale, per cui non la ripercorriamo (ma chi non la conosce, vada a documentarsi). Conosco Massimo ma non per questo sono il suo avvocato difensore. Ma capisco benissimo le esigenze di quelli che, ancora nel 2017, scelgono di buttare via una vita aprendo una attività in Itaglia per arrivare a fine giornata con due spiccioli in mano e capisco molto meno la battaglia di chi gode ad avere 20 cm in più di asfalto calpestabile davanti a casa.
Entrambe le parti hanno le loro ragioni, presumibilmente stabilite da un giudice. Ma, almeno ai miei occhi, la differenza esiste.

2 commenti:

  1. Anche io ebbi i natali (e fino a 7 anni anche le pasque, i 25 aprili e le befane. I ferragosti no perché a Siena non esiste tal festività) in codesta via... Poi si cambiò casa. Vicino di casa gli esercenti Marino fruttivendolo (e misteriosamente anche nostro giardiniere a tempo perso) e Navarro: una volta ebbe il gentile pensiero di regalare tre astici al mì babbo. Che intelligentemente pensò di piazzarli, in attesa della bollitura e della maionese, nella vasca da bagno di casa. Riconduco alla visione improvvisa che ebbi ancora imberbe di quelle bestie nel posto dove la mia mammina mi faceva il bagnetto, buona parte delle mie turbe mentali.

    Brancaleone

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    1. Oddio, effettivamente saresti in parte giustificato...

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