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martedì 27 giugno 2017

Due chiacchiere con... Duccio Rugani

Questa intervista parte in primis con le mie personali scuse all'intervistato, dato che tutto ciò sarebbe stato da fare (per promessa) circa un anno e mezzo fa... Meglio tardi che mai, quindi.
L'intenzione di sentire Duccio da parte mia nasce da una libido che provo nel leggerlo da anni: ebbene sì, la sua scrittura, elegante e dotta, mi procura piacere! Quindi la curiosità è stata tanta. E debbo dire che, oltre alla forma, in ciò che dice c'è tanta, tanta sostanza...


- Ciao Duccio, presentati al mostruosamente vasto pubblico di Wiatutti, tentando anche di condensare in poche righe il tuo CV professionale.
- Direi un pubblico di intenditori. Mi converto da universitario indolente a scribacchino ai tempi delle "private", poco dopo prende il via un quotidiano a Siena e sono parte di quel gruppo che arriverà a unire 30 testate e 46 società; quando, anni dopo, ne arrestano i vertici, tutto salta e fondo con dei colleghi e mio padre il "Cittadino". Da allora, e fino lo scorso anno, con diversi ruoli lavoro per quella testata che mi porterà per tre lustri lontano da Siena. Professionalmente, credo di aver imparato molto da due eventi, cioè una serie di cause intentatemi per diffamazione e l'aver occupato ruoli di manager non giornalista in un'azienda editoriale. Parlando della sola Siena, mi sono interessato nei primi due anni di vita della comunicazione della Robur e ho diretto il primo anno di edizioni del periodico #Siena. Ora, come tanti, sto alla finestra con la valigia pronta...".

- Partiamo dal fondo, cioè da #Siena. Periodico interessante perché innovativo, dal punto di vista di forma e sostanza. Ci puoi spiegare quali furono le ragioni alla base di questo esperimento?
- In termini progettuali si trattava di proporre un “giornale di comunità”, simile ad esperienze che avevo già fatto nel Valdarno e in Alta Umbria, cioè un periodico free, ad altissima diffusione e contenuti non meramente cronachistici (cioè inchieste e commenti); in fase di applicazione è stata privilegiata la comunicazione delle aziende e la vocazione movimentista che potrebbe esser stata anche la ragione scatenante. Da quasi un anno me ne sono distaccato, ma ci sono due aspetti che mi rendono orgoglioso. Il primo è che per tramite di #Siena le aziende si siano espresse su temi di sviluppo e governance locale, prescindendo quindi dalla stretta promozione dei propri prodotti. Il secondo è che #Siena dal suo primo articolo introdusse il concetto di guardare al presente con una prospettiva futura; oggi infatti ci sono molti sacrifici personali da affrontare ed è aumentata la disparità di trattamento. Il presente dunque divide; tuttavia i Senesi potrebbero sentirsi uniti nella condivisione di uno scenario futuro.

- Mi ricordo infatti che su #Siena fu avviato un ciclo di domande su come il personaggio intervistato vedesse la città fra quindici anni. Risultato: mi pare una sola intervista al Prof. Buccianti. Commenti da parte tua?
- Avevamo da poco incassato il rifiuto a Siena 2019 e sarebbe stato interessante sapere se quello era l’unico obiettivo o invece ce ne fossero stati degli altri. Quello del prof. Buccianti fu l’unico contributo costruttivo, altri soggetti accamparono i doveri di par condicio per sottrarsi o proprio ritennero di non rispondere perché il termine dato eccedeva la durata della propria carica. Strana la nostra Siena, tant’è che il prof. Grottanelli de Santi, uno dei soggetti che in seguito intervistai, ritenne di concludere provocatoriamente che in questa città si sta ancora troppo bene e alla gente non merita mettersi in prima fila per cambiare le cose. Che dire? L’aspetto della progettualità è vitale per il nostro futuro. La nostra Università, pur fra tutti i suoi compiacimenti ed edonismi, è l’unica istituzione che ha affrontato l’argomento con continuità, mentre la politica lo riscopre solo ora che è cominciata la corsa per il rinnovo della municipalità.


- E allora, in difetto di opinioni in merito (davvero... strana la nostra città...), vuoi provare a rispondere te alla domanda che proponevi sul periodico? Quale Siena ti aspetti e quale Siena ti aspetteresti fra una quindicina di anni?
- L’attuale stato di indifferente accettazione non mi piace. Ci introdurrà a una distruzione, sperando che essa sia il primo stadio di una catarsi. Non so davvero se fra quindici anni saremo una città di vecchi ed esercenti in franchising, oppure se saremo una collettività che si è riproposta grazie alla solidarietà e alla mutualità. Io comunque ne approfitto per dare la stura a una personale petizione. Vorrei un centro vissuto e quindi vorrei che si confermasse il divieto di frazionare immobili al di sotto dei 90 metri quadri e che non si desse vita a successi commerciali come la nuova Pantaneto senza risolvere in anticipo i problemi di convivenza urbana. Vorrei che si preservasse la nostra storia, anche da calamità naturali, ma nel frattempo ci si convincesse che l’alternativa a un’odiosa cupola di vetro è l’accettazione di contesti architettonici moderni e simbiotici. Vorrei che l’Università intensificasse i corsi di studio plurilingue e accettasse di riconoscere e premiare il merito quando esiste. Vorrei che il Palio non appartenesse ai fantini e che molte di quelle risorse oggi dissipate, andassero a sostenere azioni sociali o di studio; vorrei che ciascun priore o vicario passasse un paio d’ore in visita alla Confraternita della Misericordia e traesse ispirazione dai molti casi di miseria dignitosa su cosa può fare nel proprio rione; vorrei che la politica capisse che chiunque vince oggi deve affrontare i medesimi problemi: giovani che non lavorano, donne che non lavorano, capifamiglia che non lavorano, immigrati che non lavorano… e un sistema che non è poi così incentivante per chi sceglie di fare l’imprenditore o il libero professionista. Vorrei che la città avesse un secondo sindaco viaggiante che andasse a giro per il mondo a contrattare agevolazioni per le imprese dei settori che la comunità riterrà strategici allo scopo di farle insediare da noi. Vorrei una sanità meno farraginosa, vorrei che alcuna parte del territorio risultasse in abbandono e mi piacere capire se questo parco delle biotecnologie era un volano di sviluppo o una chiapparella. Vorrei più cultura dell’accoglienza, più solidarietà e meno leccaculo. Vorrei, vorrei… anche lo stadio nuovo.

- Fermo qua! Stadio nuovo... Come lo faresti, tu fossi il Presidente del Siena? PS: si accetta soltanto uno proposta che possa essere condivisa con altri interessi di pubblico dominio.
- Capisco che un immobiliarista abbia una gran voglia di riempire la buca del Rastrello, ma un conto è se fa uno scempio, un conto è se mi crea qualcosa sul tipo di Les Halles; impatto zero sullo skyline, magari percorribile a raso, magari che prevede che la Fortezza sia circondata da soli giardini, magari con la viabilità canalizzata in entrata e uscita in modo da impattare il giusto sui residenti di zona. Parlare di uno stadio che costa svariate decine di milioni sarà sempre un “troppo” per l’intellighentia senese che così ci definisce anche qual è il suo ultimo pensiero sulla Robur… La mia proposta è discutere di un “quid” che sia bello e importante da aggiungere alla nostra Siena; in cui si pratichi anche calcio e la Società che impersona il calcio a Siena ne venga proporzionalmente avvantaggiata. E invece si è sempre discusso di chi ci guadagna, di chi ci perde, con qualche solone che ci dice che niente si deve cambiare. Oh, la sapete una cosa, a vent’anni ero più carino di ora, e voi? Oh, come si fa? La soluzione sarà mica di farsi imbalsamare a 20 anni? E un’altra cosa, alla Stazione, l’Edificio Lineare è stato eletto come punto di ritrovo, anche culturale, di una bella fetta della città, specialmente i giovani che vanno lì e non vanno in centro. A Perugia - dove ho vissuto gli ultimi dieci anni - i centri li hanno aperti uno dopo l’altro e la vera vita della gente è lì, al Quasar, al Gherlinda o a Centova. Siamo proprio sicuri che avere la possibilità di creare un polo economico, sociale e sportivo integrato al centro storico urbano sia decretare la morte di quest’ultimo? Odio le ipocrisie e trovo che finora lo stadio nuovo si è negato per prepotenza e non per convenienza dei cittadini. E restando in tema di ipocrisie… fatemi apprezzare che a Siena abbiamo anche l’unico presidente di una squadra di calcio italiana che oggi sostenga che dello stadio nuovo non gliene importa nulla; salvo un bel giorno sentire nelle aule di un tribunale una storia diversa".

- Entrati a bomba (ah semmai!) nella questione Robur, ti chiederei anzitutto qualche sensazione che hai avuto in quei due anni nei quali ti sei occupato di comunicazione. Due anni belli densi di accadimenti, no?
- Intanto, prima che lo dicano gli altri, lo dico da solo: credo che, nonostante mi sia impegnato tanto, siano stati gli anni della peggior comunicazione della Robur. Però ho conosciuto tanta gente interessante, competente e leale, a cominciare da Gigi Rossetti. Che dire? Sedici anni fa a Carrara avevo capito che Ponte è persona che se gli fai un servizio, senza che te lo abbia chiesto in precedenza, al massimo ti ringrazia. Stavolta ho imparato che un professionista serio, quando è lì per svolgere una funzione, se non riesce a fare il suo lavoro, non dovrebbe passarci sopra, ma prendere la porta e andarsene. Ponte è una persona che, almeno nel privato, ha forte carisma e si finisce per perdonargli troppe cose. Comunque, lasciamo stare la comunicazione se me lo consenti. Il primo anno è stato memorabile, si creò un gruppo in campo e quel gruppo si legò alla città; per l’intensità delle passioni vissute, i nomi di borgate umbre e toscane acquisirono la rinomanza di San Siro e Olimpico. Mentre questo trionfo veniva consumato, a Ponte veniva rimesso il conto per l’aver preso la Robur con un colpo di mano e ogni adempimento divenne complesso, ogni sponsor un pochino più lontano, nell’ambito della tifoseria ci fu alla fine chi impose un distinguo attribuendo tutti i meriti all’allenatore e nessuno al dirigente che l’aveva messo in grado di schierare una squadra in campo. Questo ha tolto lucidità a una persona che a momenti è svizzero ed altri è napoletano; quest’ultimo vive della passione che la città trasmette, vive prorompente il momento e magari è esso stesso vittima dei rumors che provoca e delle scelte che compie. Si potrebbe fare la hit. Si va dal “che ci fai tu qui?” a un Sardone critico ma sempre costruttivo, a un “Si deve dimettere (dal club)” a un Mulinacci che sull’onda di quella giusta indignazione divenne sensibile a quel che dicevano Amato e Durio. Insomma, a promozione ottenuta, il corteo della vittoria rischia di concludersi a metà Banchi di Sopra con il Presidente portato d’urgenza in ospedale (ma un cazzotto manca il bersaglio); con lo scudetto in tasca, la Robur non riesce neanche a organizzare la sua cena della promozione. Questi segnali avrebbero dovuto far pensare ai lungimiranti quante nuvole stessero per addensarsi. Al 30 giugno 2015 un milioncino d’investimenti se n’è già andato, i nuovi soci sono gente normale, gli adempimenti della Lega Pro sono un brusco richiamo alla realtà. A me viene in mente un gruppo di persone in auto che sono insieme ma stanno zitte; e se si vanno a guardare i fumetti sopra il capo di ciascuno, sono tutti discorsi che non combinano niente con quelli degli altri. Fabio Caselli, onore a lui, che prova a cimentarsi con le cifre e dice che si possono spendere massimo due milioni; il mister blasonato e allupato che pensa se gli conviene davvero stare a Siena; Materazzi Sr che non trova il numero di quello che gli ha promesso che gli portava i tartufi, ma confida che si rifarà con le stagioni di caccia e dei funghi; e Ponte… Ponte, oltre a tenere il volante, medita un progetto simile a quello del maestro Sforzi, che avrebbe voluto portare i centocinquanta minorenni del Coro Intonati e Stonati a cantare a New York con il biglietto di sola andata. Visionario puro, mitico, trionfo e follia mescolati. Ponte mette un “per 2” alle cifre del Caselli e si parte. Ponte e Sforzi probabilmente sarebbero stati tutti e due da amare e invece finiscono presi a calci. Il resto è storia recente. Il Siena senza soldi. Bergamini e Mele (più soci senesi e laziali) che al massimo ripianano, tale Durio Anna, da Recco, con figlio appassionato, è pronta a dare di più. E solo poi si saprà quanto di più. Vivo gli ultimi mesi allettato per colpa degli scaloni gelidi dello Stadio de Marmi con tanto di Apuane imbiancate davanti; come tutti scriverò alla Durio dicendole che son pronto a dare le dimissioni, ma bontà sua, anche a rimanere. Tutto tace, viva l’educazione, al 30/6 ringrazio e mi tolgo di torno, non prima di aver avviato la stagione dei comunicati in ragione di un colpo di fiamma del presidente Ponte che in attesa del closing del 30/6 diventa un nemico della Durio per non aver realizzato il closing del 31/3. Che dire? Una constatazione è certa: finché il giocattolo era rotto o appena riaccomodato c’è stata gioia e serenità, appena il giocattolo ha ricominciato a funzionare in tanti hanno voluto introdurre il germe della zizzania. Emozioni indimenticabili, comunque”.

- Ecco, mi interessa assai questa ultima frase: "Appena il giocattolo ha ricominciato a funzionare in tanti hanno voluto introdurre il germe della zizzania". Cosa vuol dire?
- Lo sai che mi metti in difficoltà? Ho sbagliato a parlare di “tanti”, dovevo dire che gli anticorpi della città hanno cominciato a sgretolare il “virus Ponte”. Provo a creare il postulato. La Siena del dopoguerra, nel bene e nel male, si è retta, ed a tratti è progredita, su patti e accordi, anche e soprattutto istituzionali. La classe dirigente è sempre riuscita a imporre dei comportamenti o arrivare a degli accomodamenti. Per anni le molte risorse distribuite dalla banca sulla città sono state la dirimente di molti conflitti; e nelle rare occasioni in cui un giusto mezzo non veniva individuato, altrettanti soggetti si guadagnavano la nomea del folle, del diverso, dell’incorreggibile. Oggi, quelle risorse che ci arricchivano sono precluse, ma la mentalità tarda a cambiare. L’Ac Siena fallisce, i creditori diventano quasi appestati, di class action neanche a parlarne, a buon intenditor il messaggio che tale procedura deve esser gestibile. Nasce allora Siena 2019 srl, che nel nome c’ha una leccata, con quella si potrebbe ripartire, che poi si spenda per fare subito la D non è certo. L’indignazione dell’ingegner Mele per un verso, e di vasta parte dei tifosi per un altro, mette in sella Ponte che arriva in città col piglio del conquistatore, senza aver tratto veri insegnamenti dalla passata defenestrazione (incentivata). Ma restiamo sulla Siena 2019; l’imprenditore della ristorazione che l’aveva avviata, di recente, ha dato l’addio a Siena dicendo che qui non c’è trippa per gatti. Ma questa è gente che i bilanci non li legge nel saldo di cassa, ma nelle programmazioni a 3 e 5 anni, e allora? Con la Siena 2019 srl, per fare calcio, c’era? Sì, che c’era, perché dentro c’era la possibilità di sviluppare l’unica grande opera realizzabile a Siena da anni a questa parte: lo stadio. Esser presidenti del Siena ha una ricaduta sulla vita pubblica - mi fa un baffo chi sostiene che fede e politica non si combinano - oltre che su quella economica. Ponte inizia subito a creare, smontare, spendere e cambiare; soprattutto continua a mostrarsi troppo indipendente. E all’improvviso tutto gli diventa un po’ più difficile, nell’organizzazione interna e nei contatti esterni, come quello coi tifosi che ne avevano legittimato l’arrivo. Per alcuni diventa Capitan Tentenna, per altri un folle incontrollabile; con lo scudetto sulle maglie si passa l’ennesima estate di passione, i soci che dovevano entrare non entrano perché la maggioranza non è in vendita, quelli che entrano vengono battezzati soci piccini, “socini”; non c’è una soluzione che vada bene, la squadra imbattuta è contestata, non c’è una spiegazione che vada bene, tranne che Ponte se ne deve andare. E magari anche lui è d’accordo: l’unica mission diventa vendere a un socio forte. Ponte si chiude in se stesso, complice il suo vizio di chiedere ad altri consigli che dovrebbero dargli quelli che paga, arriva a dubitare di tutto e la rottamazione della sua opera inizia a compiersi. Ci vorrà un anno e qualche spallata da parte degli alleati di un tempo, i tifosi. E ora mi sa che per rispondere ti faccio incazzare. Spesso mi rivendichi che un tifoso parla da innamorato, in base alla sua passione, alla sua storia, alle sue aspirazioni di gioia. Bellissimo! Il tifoso vero dunque è un puro, ha un solo modo di pensare ed è… prevedibile. Se verso l’acqua si bagna, se so come scandalizzarlo si scandalizza. Ma insomma, leggo oggi su un blog del basket che, se non dice il giusto ci va tanto vicino, che Pietro Mele è il profeta del Trust che ha salvato la Mens Sana, giacché tutto era già stato studiato a fine 2015 per la Robur e invece sui giornali di un anno fa, Pietro Mele era la stampella di Ponte, l’anima nera, il profittatore. Sento alla radio che la Robur Siena è una società sana, perché perde quasi tre milioni l’anno ma ha un proprietario che la ricapitalizza e allora che faccio? Mi devo convincere che è sano quello che va a giro scianguinando ma ha la flebo in vena che gli rabbocca il sangue? Io, guarda, voglio un bene dell’anima ai Senesi perché siamo gente straordinaria, ma bisogna capiscano che ci è preso un attacco di pigrizia a tutti e i neuroni è un bel po’ che non li facciamo funzionare. Per favore, per favore, per rispetto dei nostri affetti, cominciamo a fare le cose con la nostra testa: i Durio, i Ponte, gli amministratori e i palazzinari, poco ma certo, si dovranno adeguare".

- No, no, non mi incazzo... Ho rispetto per tutto ciò che una persona dice, anche se non condivido. E sicuramente sul discorso del tifoso "puro" = prevedibile hai ragione te. Ma personalmente preferisco essere prevedibile, in questo caso. Bene Duccio, ora fo come Marzullo, dato che siamo alla fine: fatti un'ultima domanda e datti un'ultima risposta (fra ciò che non ti ho chiesto io).
- Allora, in stile Marzullo: Duccio è meglio fare domande a chi non conta un cazzo come te, o ascoltare le risposte di chi ha già detto tutto per diventare qualcuno? Beh, intanto un vaffa a Marzullo. Sapete, se presentate una scelta all’interlocutore - esempio: per la prova dell’aspirapolvere vengo martedì alle 15 o mercoledì alle 16? - tra il 35 e il 40% degli italiani vi risponderà l’una o l’altra cosa semplicemente perché individuare una terza opzione rappresenta uno stress. Quindi il conduttore crea molto del suo successo sullo smarrimento che induce in chi deve rispondere. Far funzionare i neuroni vuol dire sfuggire a questo gioco psicologico e al contempo avere rispetto e responsabilità per ciò che si sostiene. Provando a rispondere alla domanda, penso a quanto potere rivoluzionario (e innovatore) avrebbe una platea di persone disposte a dare udienza a chi non conta un cazzo, ma che ha un universo di pensieri da condividere, di proposte da fare, di racconti da ascoltare. Dai Wiatutti provaci. Sarei onorato iniziasse con me una nuova rubrica, quella delle interviste a chi non conta un cazzo. E mi raccomando: W tutti".


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- E quando già l'intervista stava per andare in stampa, leggo sul Fol che sarai il nuovo Responsabile della Comunicazione di Siena Sport Network. Premesso che hai tutti i miei migliori auguri di buon lavoro, ora però non sarai più uno che non conta un cazzo... Quindi ti estrapolo dalla categoria?
- Nooo, ti prego. Mi sento già affezionato alla categoria, e ora posso tra l’altro confermarti che ci appartengo perché il Fol neanche ha chiesto una mia conferma, né invero avrebbe potuto riceverla da qualcun altro. Ero presente a Castel di Pugna con piacere e con sentimento di lealtà verso i soci di minoranza; nell’occasione, potendo contare sulla condizione di amico di tale consesso, mi sono adoperato per fare arrivare una bottiglia d’acqua ai primi operatori giunti; a fine conferenza ho prestato il mio portatile a un collega che ne era sprovvisto. Al momento sto attendendo la conferma di un possibile incarico editoriale nella città di Benevento e nel frattempo sto dando una mano al mio amico Pietro Mele in quel che serve; a breve forse dovrò utilizzare le mie conoscenze contabili in una società di basket. Credevo di avere buoni, se non ottimi amici, anche nel Fol, ma quest’uscita non è mi è piaciuta per niente, perché ci ravviso strumentalità. Non so se un ruolo simile a quello indicato sarà in futuro tra le mie opzioni, ma al momento non lo detengo e l’illazione del Fol di certo non mi aiuterà a ottenerlo.

2 commenti:

  1. Bellissima intervista! Bravo Signor Wiatutti per l'idea, che dovrebbe avere un seguito, e bravo Duccio Rugani, come uomo e come giornalista. Rugani, potrebbe insegnare a molti giornalisti senesi che straripano del "niente" nei giornali, nei programmi televisivi, che fanno i "punti" sulle varie situazioni e qualcuno fa anche l' "appoggino" a chi comanda (non importa se in situazioni importanti o no, legate alla politica, all'amministrazione o allo sport ad esempio, basta che comandi) ... Ma non è questo il tema del mio intervento; volevo esortare le molte menti sane che fortunatamente esistono, come Duccio, e che "girovagano" per questa "città mineraria ormai abbandonata dopo che è il filone aurifero si è esaurito" a iniziare a dare i loro apporti culturali e d'idee,indipendenti, per una rinascita vera e condivisa dai Senesi, della nostra Città. Duccio è un esempio
    campinodisanprospero

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