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mercoledì 14 settembre 2016

Il primo giorno di scuola

E alla fine ci siamo, anche per quest’anno s’è sfangata: le vacanze sono finite e le scuole finalmente riaprono!

Anche perché, diciamoci la verità cari cuori bianconeri con prole al seguito – ma mi ascolti bene anche chi eredi non ne ha, almeno capisce che forse forse garantire la sopravvivenza della specie spargendo figli in giro per tutto il territorio provinciale non è proprio una cosa saggia - non se ne poteva proprio più di vedere i pargoli gironzolare intorno casa col telefono in mano impegnati tutto il giorno a giocare a Clasch of Clans, come immigrati sudanesi di fronte ai centri di accoglienza.
In verità sembra passato un attimo da quando la bidella ha attaccato i quadri alla finestra del primo di piano, e noi ce li siamo visti arrivare a casa col sorriso a 320 denti (macchiati di gelato bacio, caffè e nocciola, tanto per non farsi mancare niente) e correrci incontro gridando: “Sono stato promosso”. E aggiungendo subito dopo: “Comprami la go pro. Quella che può andare sott'acqua però!”. 
All’inizio – come sempre - le intenzioni sono buone, del tipo: faccio passare il Palio e poi comincio a fare i compiti, una pagina al giorno e non me ne accorgo nemmeno. E mentre parlano, tu li guardi, sorridi e annuisci. Perchè dentro il tuo cervello da 14 enne intrappolato in un corpo da adulto deforme e consunto sai perfettamente che ti stanno raccontando una stronzata megagalattica. D’altra parte, hanno preso tutto dal babbo.
Il problema grosso delle estati del terzo millennio non è tanto le cattive compagnie, la droga, la delinquenza. No, quella era lo spauracchio dei nostri tempi, adesso il problema reale si chiama what’s app. Ed è un male contagioso, che ti prende da piccolo e ti accompagna fino alla tomba. Seduti sulle panchine, ragazzini e ragazzine, muti come pesci non si parlano più: si scrivono. E a forza di farlo, dimenticano l’uso della parola ed interagiscono con il mondo reale facendo le faccine (J) e rispondono solo girando il pollice: verso il basso o verso l’alto a seconda del parere. 
L’estate è una stagione meravigliosa, piena di suoni, colori e profumi: io della mia ricordo i berci di mia mamma quando non tornavo a casa in orario, la tintura di iodio cosparsa abbondantemente sopra le ferite (d’altra parte il primo San Martino del palio con le biciclette non l’ho mai girato, come Pistillo quando lo facevano montare) ed il puzzo di piedi fetido che appestava l’aria una volta tolte le Nike in vera finta pelle “Made in Bangladesh” da basket, che stringevano fino a sopra la noccola della caviglia e bloccavano la circolazione. Caro signor Geox, se avesse provato la sua invenzione su di noi, anni fa, molto probabilmente non ne avrebbe fatto di niente.
L’estate degli duemila invece, è molto diversa. Alla Coop ci sono tredici gradi sotto zero e la gente ci passa le ore come se fosse dall’estetista, dalla stazione si arriva all’antiporto senza vedere la luce del sole ed il corso è pieno di negozi di calze. Solo la torre dell’Isola è sempre lì. E come una sentinella silenziosa, vigila sulla Valdarbia. Fa sempre più caldo, le zanzare ti succhiano via il sangue anche di giorno (o com’è che da bambini non ci si faceva caso?) e i peperoni non si digeriscono più. Ma la cosa che ci manca di più è il Festivalbar. Ce lo ricordiamo in piazza del Campo una vita fa. Che meraviglia! Purtroppo non fanno più nemmeno du' concertacci alla Festa dell’Unità in Fortezza, quindi l’unica musica che possiamo ascoltare è la suoneria del telefonino del pargolo che suona disperata dalla sua cameretta.
A differenza della mia di mamma, la sua non grida dalla finestra: lo chiama al telefono. Ogni 12 minuti esatti. Dove sei? Con chi sei? Dove vai? Hai mangiato? E dopo qualche giorno di risposte del tipo: “Sotto casa! Con la mi sorella. Di là dalla strada. Sì, a pranzo mezz’ora fa”, il bimbo capisce e inizia a nascondere il telefono in casa. Almeno non passa da demente davanti agli altri. Ed è a questo punto che la sua mamma, alla quarta telefonata senza risposta, durante le quali il lamento polifonico dell’apparecchio sparato a 100 decibel ha svegliato tutti i cani dell’isolato, impazzisce! Ti guarda seria e ti fa: "Lo vedi? A me non mi rispetta. Nemmeno mi considera di striscio. Anche il telefono a casa lascia adesso. Lo puoi chiamare tu per piacere, che a te ti risponde?"... Silenzio di tomba, vento gelo e ululati in lontananza... Tu distogli per un secondo l’attenzione da Diletta Leotta su Sky Sport24, abbassi il volume della televisione, la guardi dolcemente e sorridi, perché in fondo in fondo non è cattiva. 
E l’estate scivola via così, in fretta. E come era arrivata, se ne riva via. Portandosi via tutti i ricordi, che solo qualche mese dopo saranno già “dell’anno scorso”. E intanto ricomincia scuola.

Robur Siena – Lupa Roma: ma questi che vogliono ora? O non erano retrocessi lo scorso anno? Non vorranno mica venire a rovinarci la serata, proprio mentre si presenta le magliette a rigoni (no, non Arrigoni, quello è un’altra storia) nuove di zecca ai migliaia di spettatori freschi freschi di rinnovo dell’abbonamento? Sappiate cari avversari che non si fa! Quindi, gentilmente, visto che già ci girano le scatole perché ad Arezzo s’è perso una partita che paradossalmente ci farà bene, la scuola riapre ed in Pescaia la mattina la fila arriverà alla Verbena, fatevi da parte e lasciatevi passare. Tanto, al limite si fa come anno (senza h, non è un verbo) e i tre punti vi si ridanno al ritorno. 

Nel pomeriggio più inutile di settembre, ad un orario assurdo ed inconcepibile, scendiamo nuovamente in campo per quello che già in molti hanno definito uno scontro salvezza… Che dite, ho esagerato? Speriamo di no! Se sabato scorso siamo schiantati al 65° minuto, vediamo se oggi ce la facciamo ad arrivare all'80°. E dopo tutti a cena: e se si vince portiamo anche il mister. Ma vista la stazza e per rimanere in tema, si fa alla “romana”. E ognuno paga il suo!

Tutti uniti insieme avanzeremo


Mirko

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