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mercoledì 27 aprile 2016

Serie A 2005-2006 - Milan-Siena 3-1


Seconda partita di campionato, giochiamo a San Siro.
Perderemo malino, dato che qualche occasione per il pareggio arriva e non la sfruttiamo e soprattutto mister De Canio canna modulo tattico (chi si ricorda Portanova terzino sinistro contro Stam?).
Ma la mia partita è memorabile per altro, per ciò che succede prima.

Perché si diventa tifosi di calcio? E perché, soprattutto, tifosi del Siena? 
Ognuno di noi ha la sua risposta. Personalissima. 
Io ho la mia. 
Anni fa, in via Celso Cittadini, dove sono nato, quattro piani sotto a me viveva un giocatore del Siena. Erano anni in cui ci si ammazzava per la strada per ragioni politiche e si poteva affittare per un mese intero la casa al mare. Erano anni in cui i giocatori di calcio non avevano le gambe muscolose e rasate, non portavano orecchini e passate per capelli, indossavano rigorosamente scarpini neri e le maglie invernali erano di lana pesante. Erano anni in cui i giocatori di calcio erano, forse, ancora uomini. Cuccureddu celo, Roversi manca… L’odore inconfondibile della colla delle figurine Panini rendeva ancora più profondo il distacco fra me, bambino, ed i giocatori di calcio. Nella mia mente essi erano miti, figure sovrumane, icone inavvicinabili. 
Luciano Gavazzi, invece, sembrava un impiegato della COOP a pochi passi da casa mia, sempre un sorriso, sempre una parola dolce per me, che tutte le domeniche andavo a sostenerlo al Rastrello. E che gioia quella volta che mi salutò dal campo, lui, con indosso la maglia della Robur più bella di sempre, quella azzurra con le strisce orizzontali bianconere! Oggi il gergo calcistico trita-tutto avrebbe definito Gavazzi una meteora; poche presenze, ricordo sbiaditissimo nella mente degli appassionati senesi. Per me Gavazzi è stato la conclusione logica di un percorso avviatosi sui seggiolini della tribuna coperta accanto a babbo. Ed è stato la prova per cui, al di là del mito da me creato, sotto la maglia a strisce bianconere si nascondeva un uomo, di stanza in un appartamento nelle case popolari alla periferia di Siena.
 

Sabato 10 settembre 2005. 
Ormai ho 35 anni. Non so perché, ma è così. 
Oggi il Siena gioca contro il Milan. Assurdo, incredibile, ma reale. Tanto che per un attimo Gavazzi non esiste più. Anche perché il calcio di Gavazzi non esiste più. 
Esco di casa, oggi vado in trasferta a Milano con San Prospero. 
Il caso ha voluto che sotto di me, dopo tanti anni, viva un altro giocatore del Siena. Questa volta si tratta di una giovane promessa argentina. Anche lui ha poco del calciatore dei nostri tempi, schifosamente affighettato. Lui è invece disponibile, poco formale, affabile, quasi ingenuo. Mi sembra come il fratello minore che non ho mai avuto. 
Ma è pur sempre un mito, è un giocatore del Siena. Esco io, esce anche lui. Ci salutiamo, mi chiede se io vado a Milano. Certo, gli rispondo. Anche lui va. Un attimo. Mi sta invitando a partire con lui. Io e lui in macchina a Milano. Da soli. Io e un giocatore del Siena. Non lo nego, sono felice. 
Da Siena a Milano si parla di tutto, di Siena, di genitori, della nostra infanzia, di calcio nazionale ed internazionale, di donne. Fra un tango e una bossa nova lanciati ad altissimo volume ci scopriamo molto simili. Forse anche troppo. E’ buffo a dirsi, ma le distanze fra noi si assottigliano, i ruoli si ribaltano: io indosso la maglietta del Siena, lui è “in borghese”. Ancora, come con Gavazzi, capisco che dietro al mito si cela una persona, con le sue paure, le sue speranze. Quelle di un ragazzo di ventiquattro anni che vive grande distanza da casa, dalla famiglia, in un ambiente sconosciuto, alle prese con i postumi di un grave infortunio. E di un uomo che mi confessa: "A Kiev ho avuto la mia più grande occasione, ma c'ho perso la carriera, la moglie ed i capelli".
Arriviamo infine a destinazione, l’albergo dove alloggia la squadra. 
Ci salutiamo, io lo abbraccio, lui mi strizza l’occhio. Mi dice: “Vai ora, che la squadra ha bisogno di te”. Avevo ragione, ho sempre avuto ragione.

Amo la Robur e i suoi paladini bianconeri, vanto di Siena tutta. Da Gavazzi a Nanni.

1 commento:

  1. Il calcio è l'evento sportivo più vasto e influente al mondo, considerato il primo movimento al mondo e in tempo di pace il calcio è anche definito "una guerra dove non c'è fumo tra le nazioni". Anche per il suo ricco contenuto e il suo fascino, Essere considerato un'arte. Amo il calcio, mi piace lo stile narrativo di questo articolo.

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