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mercoledì 6 aprile 2016

Quando il corso era in discesa

La giornata promette bene: l’inverno almeno per il momento sembrerebbe battere in ritirata, sconfitto dal tepore di una primavera dilagante. Magari nei prossimi giorni tornerà il freddo, oppure pioverà, ma oggi va bene così.
Proprio sotto all’azzurro del cielo, un lieve vento svogliato sospinge piccole nuvole bianco panna sopra ai campi coltivati: la colza sta nuovamente fiorendo e presto il suo giallo risalterà orgoglioso fra il verde dei grani, attirando lo sguardo incuriosito di chi ama perdersi nei colori. Sembra maggio, ma non lo è.
Lo schianto di un grosso calabrone contro il parabrezza dell’auto ci riporta immediatamente alla realtà, distraendoci dai pensieri che lentamente si erano impossessati delle nostre menti. Il movimento ipnotico del tergicristallo, azionato in tutta fretta nonostante il bel sole, tenta nuovamente di condurci in posti lontani e inviolabili agli altri, ma la musica diffusa dalle casse dell’impianto stereo della macchina arriva finalmente in nostro soccorso, costringendoci a sobbalzare sul seggiolino.
"Senti qua!", esclamo contento, aumentando automaticamente il volume di un almeno quattro tacche. Il mio piccolo accompagnatore alza lo sguardo e fissa incuriosito la radio.
"Bella. Di che parla?". 
"Dice", rispondo io, "che oggi gioca la Robur e nient’altro ha importanza". 
Il ragazzino mi guarda, sorride e ritorna a immergersi nei suoi silenzi.
La strada scorre lenta, nessuno davanti, nessuno dietro, nessuno in direzione contraria; vorrei che la canzone non finisse mai. I Metallica stanno chiudendo il loro pezzo, mentre mi accorgo di stringere con forza il volante dell’auto: le nocche delle mani sono sbiancate e le dita fanno male. Dallo specchietto retrovisore intravedo la sciarpa bianconera sotto una pila di felpe e giacchetti, mali di stagione del vestirsi a cipolla. Oggi non saremo molti, la partita non vale niente e a Monteroni ci saranno le corse: ma in ogni caso va bene così e nient’altro ha importanza.
Proprio sulle ultime note mi soffermo un secondo a pensare a cosa possa essere più noioso di un pomeriggio alle corse in un piccolo ippodromo della provincia desolata, dove l’unica cosa bella è la strada per andare via e concordo con me stesso quando decido di collocare tale passatempo sul gradino più alto del podio, a pari merito con i saggi di pattinaggio e le esibizioni di danza. Tutte cose alle quali, nel tempo, siamo stati costretti a presenziare, sonnecchiando dentro palazzetti tetri o sale da ballo decadenti, fra le grida dei bambini e la felicità degli istruttori, con quelle fastidiosa area da “rompete le righe” a fare da sfondo e tanti arrivederci al prossimo anno. Senza pensarci accelero, come se farlo potesse contribuire ad aumentare la distanza fra me ed i miei pensieri.
Piano piano la campagna cede il passo alle fabbriche; alla vecchia Del Tongo hanno coperto le scritte: ennesima vittima di un paese che cambia. La città arriva proprio dopo una curva: il centro storico occupa un’intera collina, lasciando le zone nuove a contendersi la pianura. Il Medioevo si fonde con il Rinascimento in un mix di stili che rendono la vista molto piacevole. Il Corso si inerpica ripido verso il Duomo, posto alla sommità del clivo e protetto a sud est da una fresca pineta. In città c’è fermento, o almeno dovrebbe esserci, leggendo la locandina del giornale locale. Ma essa è l’unica traccia evidente della partita: in centro la vita scorre regolare e nessuno pensa al calcio.
Con disappunto esclamo: "Oh che si fa il corso in salita?". 
Meravigliato il mio giovane compare di avventura mi risponde: "Guarda che anche a Siena è in salita!".
Lo guardo perplesso, vorrei tanto metterlo in punizione per l’impertinenza, ma poi ricordo che non ha più 5 anni e tutto sommato non ha detto neanche una sciocchezza. "Credi?". E senza aspettare al sua risposta continuo: "Forse sì; dipende da dove vieni. Eppure c’è stato un giorno nel quale il Corso era solo in discesa!". 
Il piccolo mi guarda serio e nei suoi occhi passi un lampo di compassione: "Eh? Domanda incerto".
Sì, ci fu un giorno nel quale un biondo signore venuto dal freddo, che prima di arrivare qui per lavoro Siena molto probabilmente non sapeva nemmeno indicarla sulla cartina, decise all’improvviso di porre fine a 100 anni di attesa e segnare uno dei goal più belli della nostra storia. Sul documento aveva un cognome di tre lettere e sulla maglia portava il numero 9. Quel giorno vincemmo sia in campo che fuori e fu come se ognuno di noi avesse vinto per sempre. Avevamo 12 anni in meno, qualche sogno in più e le speranze erano di gran lunga superiori ai rimpianti. Ci fu un calcio d’angolo sotto la nostra curva, dal quale scaturì un colpo di testa… dopo, non ricordo più niente. Se non che passeggiando “per città” a fine partita, avevamo la sensazione di vivere in discesa, mentre aspettavamo che il cervello sgombro da pensieri riuscisse a mettere a fuoco tutta la gioia che scendeva libera lungo i fianchi della storia. Quel derby fu tutto nostro e nient’altro ebbe importanza.

Arezzo – Siena 0-1: quasi per dispetto, per fargli schifo, per ripicca o per sfogo personale. Ancora un calcio d’angolo e ancora un colpo di testa. Per 10 minuti – dieci! – ci siamo ritagliati una piccolissima vacanza da questa brutta stagione, portando via tre punti da una città che aspettava da decenni questo momento. Per dieci minuti – dieci! – abbiamo dimenticato gli ultimi mesi, messo da parte il Tuttocuoio, il Sant’Arcangelo, la Lupa Roma, gli sproloqui, i socini , gli aumenti di capitale e ci siamo goduti la visione dei uno dei più grossi sformati che la nostra recente storia ricordi. Ma si sa, il calcio è fatto così: si vince e si perde. E di solito, noi vinciamo e loro perdono. Noi si canta e loro ci rimangono male. Noi si ride e loro tirano i sassi.

Sul finire della sera, nel silenzio del ritorno, una domanda rompe il silenzio: "Ma oggi il corso è di nuovo in discesa?". No, purtroppo non lo è e temo non lo sarà ancora per molto tempo. Oggi è stata solo una buona giornata, nella quale abbiamo vinto, sorriso e scherzato. E per un secondo, nient’altro ha importanza. 

Tutti uniti insieme avanzeremo.


Mirko

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