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mercoledì 25 novembre 2015

La domenica del pareggio

In una città che stenta a riconoscersi, sempre più impaurita dalla propria immagine riflessa sullo specchio che da altro, aspettiamo la partita della Robur mentre il giorno piano piano scivola via.
È una Siena presidiata da decine agenti quella che ospita la nuova puntata di calcio spezzatino (che in Ungheria chiamerebbero calcio gulasch) dell’assurdo programma domenicale della Lega Pro. E pensare che se avessimo giocato alle 15, ci sarebbe stato un teporino niente male. Ma poi giocare di giorno non sarebbe anche più economico? Mah…
Squadroni di Vigili Urbani vigilano (per definizione!) il centro, mentre Guardia di Finanza e Forestale si dividono il gravoso compito di assistere la Polizia in assetto antisommossa, impegnata nella scorta dei tifosi ospiti. L’accesso allo stadio dalla parte di Pescaia è un proliferare di luci blu, che a intermittenza si mischiano con l’arancione dei lampioni e colorano il mondo di un lisergico color “fatto di cronaca”. 
Una ragazza chiaramente non senese mi guarda perplessa e con voce leggermente turbata chiede: "Ma è successo qualcosa?". "No", le rispondo, "fra mezz’ora gioca la Robur"! Non capisce, ma pare comunque rinfrancata dalle mie parole. In centro, le solite cose. Ragazze con i pantaloni strappati sulle ginocchia e scarpe da tennis camminano veloci osservando il display dello smart-phone, protette dai mali del mondo da cuffiette colorate. Imponenti signore dell’Europa dell’Est, intrappolate in abiti troppo stretti, si godono le ultime ore del giorno libero parlottando allegramente in una lingua assolutamente incomprensibile. Forse non si capiscono nemmeno fra di loro: fanno solo finta! Una coppia di signori nord africani mi sfila accanto. Respingo sul nascere un vago senso di inquietudine e mi sforzo di sorridere mentre i nostri sguardi s’incrociano. Francamente non so perché ho sorriso, ma vengo comunque ricambiato. Per un secondo Parigi sembra veramente lontana. I signori accennano un saluto e spariscono per sempre dalla mia vita. 
La giornata è piuttosto fresca. Il generale inverno ce l’ha fatta: dopo essersi fatto attendere a lungo, come la sposa la mattina della cerimonia, ha deciso finalmente di degnarci della sua presenza. Dicono che il freddo “ci voglia”, ma io ne facevo volentieri a meno. In lontananza le cime dei monti hanno cambiato aspetto e i caldi colori autunnali sono stati sostituiti da un freddo “bianco neve”. A parte qualche nuvola alta, il vento di tramontana ha spazzato via l’umidore snervante delle ultime settimane ed il cielo appare terso. 
Anche la Robur, se vince e gli altri no, potrebbe andare terza. In alta quota c’è freddo e l’ossigeno scarseggia: speriamo bene. L’aria di rigore della porta sotto la curva appare finalmente quasi dritta (ad essere pignoli ci sarebbe da addrizzare ancora un pochino il lato corto di sinistra, ma ora può andare) e sotto la tribuna coperta la macchinetta elettrica dei soccorsi fa bella mostra di sè. Dopo il pullman è tornata anche lei o c’era anche le partite scorse e non me n’ero accorto?
Dal settore ospiti arriva la solita sequela di insulti. In parte li capisco: dev’ essere frustrante cercare U.S. Arezzo e trovarlo solo sotto la voce A.C. Siena (ma quanto è bella questa denominazione!). Gli altoparlanti continuano a dare il peggio di loro e all’entrata delle squadre l’incomprensibile motivetto (ma che canzone era?) sovrasta lo speaker, che sembra parlare dagli spogliatoi del Campino di San Prospero. 
I primi 44 minuti e spiccioli scorrono senza tanti grandi sussulti. Il freddo punge più del Siena, il mio vicino offende Bonazzoli - in verità ha cominciato ad offenderlo al calcio di inizio, ma essendo lo stesso che due settimane fa offendeva Mastronunzio, l’anno scorso ce l’aveva con Minincleri e ai tempi buoni imprecava contro Maccarone, non fa più testo - e l’Arezzo aspetta soltanto di prendere goal. Hanno le maglie di un colore che mi ricorda il Pontedera e non mi piacciono affatto. Nell’ultima palla del primo tempo accade una delle cose più belle del mondo: facciamo goal. La mia reazione non è certamente oxfordiana (e un po’ me ne vergogno) ma finalmente saltiamo tutti felici. La frase “fa go’ ora è tanta roba” la sento pronunciare almeno 35 volte in 5 minuti. Da un momento all’altro temo di vederla apparire anche sul maxi schermo. 
Dopo un quarto d’ora di noia mortale, durante i quali nemmeno Maria Salvador viene in nostro soccorso, finisce l’intervallo e ricomincia la partita. 
Pronti via e assistiamo ad un vero e proprio miracolo sportivo: per la prima volta nella storia del calcio, un giocatore brutto, sconosciuto e appena subentrato dalla panchina riesce, in meno di 10 secondi, a rimanere sui coglioni a tutto lo stadio. Roba che nemmeno Carl Lewis... Non conosco il nome e non voglio conoscerlo: dentro di me lo ricorderò sempre incastrato a metà campo sotto le ginocchia appuntite di Portanova. Quando tutto pare spianato per il verso giusto, l’amaranto stile Pontedera colpisce ancora: Celiento si ricorda di quando giocava per strada e abbatte uno di loro a 70 metri dalla porta. Secondo giallo e via. Considerando in quale partita si fece male, anche a lui l’amaranto non porta granchè bene. Sullo stadio cala il gelo e non è un eufemismo. Con un paio di cambi “discutibili” (soprattutto uno) cerchiamo di assestarci un po’ alla meglio. Certo, 33 minuti in 10, risono un’altra vita. Diversa da quella di Pontedera ma altrettanto difficile. In realtà l’Arezzo fa pochissimo per pareggiare, ma ci riesce lo stesso. Il profumo di arrosto si alza prepotente dalla nostra area di rigore mentre la palla s’insacca alla spalle nel portierino bianconero in maniche corte. Al ventisettesimo minuto del secondo tempo finisce l’ennesima domenica del pareggio. L’Arezzo con l’uomo in più non vale il Siena con l’uomo in meno, ma noi abbiamo paura di perdere. La chiamano sindrome di Macerata. Arretriamo troppo e solo quando la linea difensiva si ritrova seduta sui cartelloni pubblicitari capiamo che il campo è finito. Oggi non se ne parla di osare.

Siena – Arezzo 1 – 1. Ancora un pareggio, ancora una domenica amara, ancora un “vorrei ma non posso”.

Tutti uniti insieme avanzeremo.


Mirko

2 commenti:

  1. Ma non ho capito... è stato decisa questa CAZZATA dell'anticipo per la concomitanza del CAZZO di mercato... a nessuno va bene...MA CHI È STATO A VELERLO? IL COMUNE? PONTE? QUELLI DEL MERCATO?

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    Risposte
    1. Vedo che l'hai presa bene...
      A quel che ho capito, l'Amministrazione ha deciso di non far disputare la partita nel canonico orario, data la concomitanza con l'eventissimo del mercato in Piazza del Campo (non so se d'accordo o meno con "quelli del mercato"). Ponte aveva due date a disposizione: venerdì e lunedì ed ha scelto la prima. Ho capito bene o male?
      Il detto latino dice: "Ubi maior, minor cessat". Il minor è sempre e costantemente la Robur...

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