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domenica 17 maggio 2015

I Medici e il Palio alla tonda


Lo abbiamo già scritto in una precedente occasione ma è utile ribadirlo, perché solo una volta acquisiti questi due concetti è possibile comprendere fino in fondo l'importanza delle politiche del rituale che intorno alla metà del Seicento porteranno all'istituzionalizzazione del Palio alla tonda.




L'ingresso nell'orbita medicea, avvenuto nel 1557 quando l'Impero cedette al duca di Firenze Cosimo I de’ Medici il territorio senese a titolo di investitura feudale, non comportò affatto, per la città e il suo ceto dirigente, la perdita di spazi consistenti di autonomia, né tanto meno le magistrature repubblicane, sopravvissute con la “Reformatione” emanata nel 1561, costituirono solo un involucro privo di contenuti. 
Nel territorio senese, infatti, fu istituito un ordinamento normativo separato, con organi di governo diversi rispetto a quelli vigenti nello Stato fiorentino. Aspetto che sorprese non poco chi visitò Siena in quegli anni, e che suscitò reazioni contrastanti. Abbiamo già visto, ad esempio, che l'ambasciatore veneziano Andrea Gussoni bollò la presenza, ancora a fine Cinquecento, di magistrature quali il Consiglio generale, il Concistoro, il Capitano del Popolo o i Gonfalonieri dei Terzi come “reliquia e ombra della già morta Republica”, con contenuti più ideali e sentimentali che effettivi. 
Più acutamente, invece, nel 1561 un altro ambasciatore “dell'illustrissima Signoria di Venezia”, messer Vincenzo Fedeli, annotava che i Senesi “dicono ora che non potriano tollerare, né tollerarieno mai, d'esser sottoposti a' fiorentini; ma che, con la casa de' Medici non avendo mai avuto inimicizia, sopportano d'esser da quelli governati, poiché a quella vedano medesimamente sottoposti i fiorentini”. 
In realtà Siena continuò anche dopo la caduta della Repubblica ad “essere” una città capitale di un suo Stato, elemento che venne puntualmente “ricordato” ogni volta che da Firenze arrivavano iniziative, o venivano anche solo ventilate, che potevano mettere in discussione le prerogative garantite ai Senesi. Per esempio, dopo la guerra Cosimo rese esente la città da ogni imposta, concessione estesa nei decenni successivi, e anche quando si resero necessarie imposizioni fiscali straordinarie ebbe sempre un trattamento di riguardo; inoltre i cittadini senesi non pagarono mai tasse sulla proprietà immobiliare urbana e neppure il Granduca Pietro Leopoldo riuscì a procedere ad un accatastamento degli edifici esistenti. Ma soprattutto non va sottovalutato il profondo dato culturale insito nell'autonomia senese, cioè il fatto che la città continuò a “percepirsi” come una capitale, e di conseguenza si comportò il suo ceto dirigente e aristocratico. Tant'è che dopo un'iniziale fase di “dialettica” piuttosto vivace tra le magistrature locali e i Governatori della città nominati a Firenze, collocabile alla seconda metà del Cinquecento, il XVII secolo si aprì con un equilibrio assai vantaggioso per l'oligarchia senese che, di fatto, indicava al Granduca i nominativi dei candidati alle magistrature cittadine. 
Il governo mediceo, insomma, fu talmente “leggero” e discreto, non solo da consentire a Siena di mantenere un quadro istituzionale di indiscussa ascendenza repubblicana, ma addirittura da permettere un consolidamento del ceto dirigente locale. A partire dal 1627, poi, si registrò una novità saliente, proseguita ininterrottamente fino al 1731: dell'incarico di Governatore di Siena fu investito direttamente un membro di casa Medici, scelta cui certo non fu estranea l'evidente erosione di prestigio subita dalla carica, messa a dura prova dal continuo confronto con l'ormai rivitalizzata Balia. Così nell'aprile di quell'anno giunse a Siena per ricoprire il delicato ufficio Caterina Medici Gonzaga, che tuttavia morirà appena due anni dopo e verrà sostituita dal nipote, il principe Mattias de’ Medici, terzogenito maschio di Cosimo II e Maria Maddalena d'Austria, figura di fondamentale rilevanza per la storia del Palio e delle Contrade. 
La presenza a Siena dei principi di sangue da un lato fu interpretata, correttamente, come un indubbio privilegio e una forma di riconoscimento della dignità dello Stato e del suo ceto dirigente, dall'altro ebbe un impatto vigoroso sulla società senese, perché all'interno del palazzo che li ospitava, si ricreò una piccola quanto attiva corte mondana. 
Palazzo che, è bene rimarcare, era quello in Piazza del Duomo (l'odierna sede della Prefettura e della Provincia), perché mai il Governatore mediceo (e poi lorenese) ha messo piede in Palazzo Pubblico, rimasto significativamente sede delle magistrature cittadine, ad indicare la totale separazione tra queste, rappresentanti della “civitas”, e le altre strutture di potere. Anzi, l'antico palazzo nel Campo costituì un luogo cultuale dal forte valore civico. Come detto, con Mattias vi fu la vera svolta nella storia del Palio, che sin dal Medioevo veniva corso per la festività di mezz'agosto “alla lunga”, ossia per le strade della città, con mossa prima da Fontebecci, e poi da Valli o dalla chiesa del Santuccio, e arrivo di fronte alla Cattedrale. Si trattava, però, di un gioco simile a quello praticato in moltissime altre città e che, soprattutto, non vedeva la partecipazione delle Contrade. Sin dal Quattrocento queste ultime disputavano la pugna e le cacce ai tori nella pubblica piazza, ma nei primi due anni del suo governatorato Mattias tentò di coinvolgerle ancor più nelle celebrazioni per l'Assunta. 
Così, a causa della peste che nel 1630 colpì gran parte del Granducato, e che l'anno dopo sconsigliò l'arrivo a Siena di cavalli e forestieri per la tradizionale corsa del 15 agosto, decise di sostituirla con una “bufalata”, cui appunto avrebbero partecipato le Contrade. Per le quali la carriera con le bufale nel Campo non era certo una novità, avendola disputata più volte sin dall'inizio del secolo dopo l’abolizione della troppo cruenta caccia ai tori seguita al Concilio di Trento, ma mai erano state invitate a correrla per la festa di mezz'agosto e per di più su input del Governatore. E perdurando i rischi per la peste, anche nel 1632 le consorelle furono nuovamente convocate per animare la festività agostana, bissando nell'ottobre seguente, quando all'ormai consueta bufalata volle assistere il Granduca Ferdinando II in persona, fratello di Mattias. 
Va detto che sull'effettivo gradimento delle Contrade di fronte a questi pressanti “inviti”, specie per questioni di natura economica, permane qualche perplessità, alla luce della documentazione d'archivio. Per esempio, il fatto che alla bufalata del 20 ottobre 1632, corsa davanti a Ferdinando II, e vinta dal Nicchio, avessero aderito “solo” sei di loro la dice lunga al riguardo. 
Ciononostante, i tempi erano ormai maturi perché le Contrade gareggiassero un Palio con i cavalli nel Campo, ciò che avvenne l'anno dopo, e venisse istituzionalizzato il Palio di Provenzano, con i Medici, ancora una volta, che recitarono un ruolo non proprio secondario. (continua)





Roberto Cresti

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