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mercoledì 4 febbraio 2015

Pulizia e decoro

Come abbiamo appurato nell’appuntamento precedente, il decoro e la bellezza della città furono obiettivi assolutamente prioritari per i governanti senesi del Due e Trecento, che per raggiungerli profusero energie e prestarono attenzioni anche ai dettagli apparentemente minimi. 


Il Governo dei Nove, ad esempio, proseguì ed intensificò gli sforzi, iniziati sin dal XIII secolo, per ampliare e raddrizzare le vie urbane, ammattonare o selciare almeno quelle più transitate e nevralgiche, nonché per migliorare la loro accessibilità e l’aspetto, regolarizzando i numerosi ballatoi e gli aggetti che le soffocavano, o addirittura ingiungendo ai proprietari l’eliminazione di quelli troppo sporgenti, anche al fine di renderle più luminose. 
E non poche furono le disposizioni che mirarono a tenere pulite le strade e le piazze, componente certo non secondaria per il decoro cittadino. Le più antiche, sparute attestazioni di come il Comune gestiva l'incombenza della nettezza urbana sembrano indicare che almeno in parte questa era stata delegata ai cittadini stessi, magari inquadrati nei Terzi d’appartenenza e nei popoli in cui già allora si ripartiva la città. In particolare, dalla metà del Duecento, si cominciò a nominare alcuni di questi, tre o quattro per ogni Terzo, per verificare se coloro che “dovevano spazzare le strade selciate” avessero effettivamente portato a termine l’incarico, altrimenti avrebbero dovuto “denunciarli”. 
In quegli anni il Comune si impegnò anche su un altro fronte per migliorare la pulizia urbana: alcuni cittadini furono incaricati di scovare e denunciare “coloro che gettavano in strada acqua e sporcizia dai ballatoi”. Disposizione apparentemente scontata e doverosa, ma che in realtà, per un’epoca in cui i servizi igienici non esistevano, era già un passo in avanti. La prescrizione, tuttavia, doveva riguardare solo le ore diurne, perché dopo le nove di sera era sufficiente urlare un “guarda” come avvertimento per eventuali passanti (che peraltro dovevano essere ben rari visto che dalla stessa ora iniziava il coprifuoco ed era proibito uscire), e si poteva buttare in strada ogni tipo di immondizia, compresi gli escrementi “prodotti” durante la giornata. Certo almeno il “guarda”, o altri “annunci” simili, tipo il semplice “ohe”, era obbligatorio, sennò scattava l’immancabile multa di 20 soldi, comminata dai custodi notturni che vigilavano sulla città. 
Queste prime norme di nettezza urbana confluirono nel Costituto del 1262, che regolamentò la nomina e il compenso da versare ai cittadini incaricati di vigilare sulla pulizia delle vie selciate e di controllare che non vi venisse gettata alcuna “sozzura”. 
Tuttavia, il reiterare continuo di tali ordini conferma che la battaglia ingaggiata dal Comune era davvero ardua, tanto che ancora alla fine dell’Ottocento il professor Lodovico Zdekauer commentava in modo sarcastico: “la passione di gettare la roba fuori della finestra è rimasta: chi vuol persuadersene faccia una passeggiata in via della Stufa secca o in vicolo di Borgo franco, e troverà lì un angolo del Dugento, conservato perfettamente”. 
Nel Costituto vennero introdotte anche nuove direttive in materia. Soprattutto si stabilì che nelle vie già ammattonate, o che lo sarebbero state di lì a poco, ogni proprietario doveva spazzare, o ingaggiare qualcuno per farlo, di fronte all'uscio di casa o di bottega una volta a settimana, il sabato, pena una multa di 12 denari. Una commissione di dodici cittadini, quattro per Terzo, avrebbe dovuto controllare ogni sabato che effettivamente tutte le vie e le piazze fossero state spazzate diligentemente; se le avessero trovate sporche, dovevano denunciare pubblicamente i responsabili in modo da farli ottemperare, e se anche dopo tale ammonimento avessero continuato a disattendere, sarebbero stati condannati al pagamento di una multa pari a 12 denari. 
L’usanza di far gravare sui proprietari l’incombenza di spazzare davanti casa o bottega ogni sabato la troviamo ancora ordinata negli statuti trecenteschi, così come la contravvenzione di 10 soldi comminata verso chi gettava escrementi nelle vie. 
In quel secolo, inoltre, si aggiunsero altre regole per garantire la pulizia dei luoghi cittadini più significativi della Siena dei Nove. Ad esempio, sporcare in piazza del Duomo, davanti all’episcopio o all’ospedale di Santa Maria della Scala, ma anche in prossimità delle chiese e degli insediamenti monastici, costava una multa di 40 soldi, piuttosto salata rispetto agli importi fin qui incontrati. Ammende che colpivano i maggiori di 14 anni mentre i bisogni corporali dei bambini erano tollerati. Particolare attenzione, come è ovvio, veniva riservata al Campo, dove tra l'altro si teneva il mercato. 
A partire dal 1296 il Comune bandì una sorta di gara d’appalto per la gestione “della spazzatura, letame e granellame che si fa nel Campo”, il cui vincitore, in cambio di un corrispettivo in denaro (quell'anno pari a 36 lire), doveva mantenere pulita la piazza, raccogliendo i rifiuti anche grazie all'aiuto indispensabile e “naturale” di un maiale coadiuvato da quattro porcellini, incaricati di mangiare le granaglie lasciate dal mercato. 
Le autorità senesi, insomma, sin dal Duecento inseguirono il sogno di una città pulita e ordinata, pur consapevoli delle difficoltà impervie che avrebbero incontrato, dati i tempi di cui stiamo parlando, ma determinati a combatterle, pronti ad esercitare un rigoroso controllo per le strade e a punire le ripetute trasgressioni con multe pecuniarie piuttosto severe.

 

Roberto Cresti

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