Terza relazioncina delle ultime Leopoldelle. Parla stavolta il politologo, straniero per l'occasione, quel Silvio Pucci by Portoferraio, che tuttavia per molti anni ha vissuto e frequentato il borgo polveroso essendone - spesso suo malgrado - un protagonista e profondo conoscitore. Il suo intervento è assolutamente interessante, pregno di spunti controcorrente e molto puntuale. Abbeveratevene.
Sono stato invitato a fare due parole alle Leopoldelle ritengo perché per qualcosa come ventisette anni ho vissuto, lavorato e fatto politica e sindacato a Siena, da cui mi sono allontanato ormai da oltre sei anni. Immagino quindi che un punto di vista come il mio, da foresto che però è a conoscenza in modo piuttosto approfondito delle dinamiche politiche e sociali senesi, possa rivestire un qualche interesse. Va anche considerato che con l'attuale inquilino di Piazza del Campo 1, la cui vicenda elettiva è stato il tema centrale di queste Leopoldelle, ho un antico e consolidato rapporto di amicizia e di collaborazione per cui vorrei sgombrare il campo dal sospetto che parli pro domo mea perchè così non è. Fra l'altro, sebbene sia convinto che si stiano facendo critiche a questa amministrazione come se non ci fosse un domani, sommando quindi critiche assennate e ragionate con polemiche sterili e capziose, tuttavia anche io, da fuori, ho motivo di dubitare di alcune delle scelte del Sindaco e della sua Giunta.
La cosa che mi ha colpito di più è stata rilevare quanti parlino di questa amministrazione come di un'amministrazione a trazione leghista. Trovo questa affermazione ridicola e spiego perché. In tanti anni di politica a Siena ho avuto modo di osservare come le dinamiche partitiche che solitamente si osservano in tutta Italia che vedono una politica nazionale riprodotta, con tutti i distinguo, a livello locale, qui a Siena non trovano corrispettivo. Un leghista senese, come l'amico Maurizio Montigiani presente in sala, o come Francesco Giusti invece non presente, a tutto assomigliano salvo che ai leghisti sia old style, sia del nuovo corso salviniano. E questo vale, ho visto, per tutte le formazioni politiche, anche per quanto riguarda il PD (coraggio). Che uno come Luigi De Mossi (o, per dire un altro a caso con cui ho ottimi rapporti, Marco Falorni) possano subire i diktat nazionali lo trovo francamente azzardato e, sempre da foresto, me la spiego così: la senesità prevale sempre sulle convinzioni politiche perché vi si mescola e dalla miscelazione ne deriva un prodotto che spesso, spessissimo non assomiglia per niente a quello di partenza.
Un'altra questione, che mi è cara, e su cui vorrei spendere due parole rileva per quanto riguarda la libertà di espressione, critica e stampa. Dico che mi è cara perché ho subito personalmente violente repressioni in proposito, inclusi diversi processi. Il che mi spinge ad osservare che un'occasione come questa con grande probabilità ai tempi del "regime monacian-ceccuzziano" non sarebbe stata possibile se non comportando probabili, anzi certe, rappresaglie da parte di tutta una serie di emanazioni del partitone. Anche questa è una libertà non da poco.
Oltretutto sono sempre stato convinto che si debba separare la politica dall'amministrazione cosa che, in altri tempi e con altre quantità di denaro a disposizione, è comprensibile che sia stata difficile da eseguire, ma oggi - considerando la povertà dei bilanci e la cessazione dell'unica fonte di reddito continuo, la banca e la Fondazione - credo vi si possa dare luogo serenamente. In altre parole ritengo che l'amministrazione debba essere giudicata per come amministra e non per come si preoccupa solamente di guadagnare consenso politico al fine di amministrare una fonte di ricchezza che, ormai e ahimé, non esiste più.
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