Il canale youtube di wiatutti!

venerdì 16 novembre 2018

La felpa grigia col cappuccio

Erano tempi felici. O almeno così me li voglio ricordare. Avevo venti anni e non mi mancava niente. Un lavoro, un'auto e una ragazza. Basta poco per essere in pace col mondo. E poi c’era la Robur che, per una serie di coincidenze astrali positive, andava bene come non mai, vinceva le partite e saliva sempre più in alto, come lo spot anni '80 della Grappa Bocchino con Mike Buongiorno in mongolfiera.

Di quei tempi rammento l’inebriante sensazione dettata dal sentirmi finalmente al posto giusto nel momento giusto. E per uno che non aveva grossi sogni nel cassetto era come raggiungere una specie di nirvana fatto di pace e di serenità, senza utilizzare droghe pesanti. Oddio, in realtà non era proprio così - non che mi drogassi, sia ben chiaro! - ma ogni tanto è bello distorcere i ricordi e ricordarli come meglio ci pare, giusto per farli tornare bene quando li riesumiamo per raccontarli, stando bene attenti a narrare la medesima versione. Altrimenti da ricordi diventano bugie e non sono più belli da ascoltare. 
Non ho mai inteso a fondo le parole di mio nonno quando sussurrava di nascosto dalla nonna: pane di un giorno, vino di un anno, donna di venti. Poi, arrivato alla maggiore età, finalmente compresi. E niente fu come prima. Ad ogni domenica nella quale il Siena giocava fuori, un po’ per forza, un po’ per amore e un po’ per scaramanzia, si ripeteva il solito rito: pane del giorno prima come colazione, visto che la domenica i fornai sono quasi tutti chiusi, vino rosso dell’anno scorso, né troppo giovane che non piace a tutti, né troppo invecchiato che costa troppo, e tanti pensieri sconci e pochi fatti concreti su ragazze coetanee. Da guardare senza toccare naturalmente, perché la pratica amorosa era riservata soltanto ad alcuni eletti, baciati dalla fortuna e dal destino. E poi a me, che quando il Signore dava la bellezza ho fatto tre volte la fila senza prendere niente, andava comunque bene così. In fondo per stare bene nella vita basta sapersi accontentare, anche se al tempo non sapevo quanti dissapori poteva creare questa frase. In futuro ho capito che certe cose è bene tenersele dentro e che non tutto debba essere necessariamente confessato.
Questo era il mondo domenicale. Non era molto in realtà, ma era tutto quello che avevo. Se dovessi indicare una serie di momenti della mia giovinezza in cui sono stato contento di essere venuto al mondo, indicherei senza dubbio anche quella grigia domenica di 9 gennaio 2000, nella quale salimmo a Lucca per difendere il nostro primato, atteso decenni e decenni, dalle grinfie di un avversario agguerrito e disposto a tutto per fare sua l’intera posta in palio e strapparci il primato. Pane, vino e donne. Tutto stava andando finalmente a posto e le caselline del cruciverba della mia vita cominciavano lentamente a riempirsi e, incrociando le definizioni orizzontali con quelle verticali, davanti ai miei occhi iniziava a formarsi il percorso tortuoso del mio futuro, all’interno del quale mi sarei dovuto confrontare con le gioie e le noie di tutti i giorni. Se ripenso adesso a quei giorni, non mi pare di essere nemmeno la stessa persona.
Ognuno di noi credo riesca a costruirsi nel tempo tutta una serie di barriere, dietro le quali difendersi dal mondo esterno e dagli altri individui della sua specie, per sentirsi protetto, invincibile, al sicuro. La mia barriera era una corazza di cotone grigio a forma di felpa col cappuccio. Francamente non ricordo nemmeno perché l’acquistai. Anche perché era di un paio di taglie superiori alla mia. Tuttavia la portavo a scuola durante le ore di ginnastica e piano piano me ne innamorai. Arrivato al sabato notte, con il fiato che sapeva di gin lemon e i panni intrisi dal fumo di sigaretta (perché venti anni fa, prima che il ministro Sirchia cambiasse tutto, si poteva ancora fumare nei locali), rientravo a casa dei miei di soppiatto e prima di addormentarmi, stando molto attento a non far rumore, preparavo i panni per l’imminente trasferta dell’indomani. Scarpe, maglia e felpa. Naturalmente i miei genitori non dormivano, ma restavano sul chi va là tutta la notte. Io al tempo non potevo immaginarlo, ma adesso che è arrivato il mio turno di aspettare il ritorno dei figli da ballare, comprendo molto bene l’apprensione che avvolgeva mia madre ad ogni fine settimana. Crescendo si imparano un sacco di cose.
Anche quel giorno di inverno di inizio secolo, con le feste di Natale appena concluse, mentre la gente disfaceva l’albero e riponeva le luminarie nelle scatole, io e mia felpa grigia col cappuccio, un panino, un bicchiere di rosso e il pensiero fisso di una certa ragazza, irraggiungibile come una stella cometa vista dal terrazzo, arrivammo allo stadio di Lucca. Senza giacchetto, perché a venti anni non è mai freddo, ma protetto dalla mia felpa. Sigarette in tasca, l’accendino nelle scarpe e cappuccio calato sugli occhi: un po’ per paura, un po’ per atteggiarsi a quei tipi ganzi visti in tv. La felpa come scudo e la voce come spada. La Robur sul campo che correva verso la B e noi a spingerla dagli spalti, rinchiusi dietro due metri di rete metallica verde. Bello vedere il mondo a rombi. Soprattutto quando Pagano raccolse una respinta corta della difesa rossonera e mise in porta il punto del pareggio, chiudendo di fatto la rincorsa della Lucchese. Ricordo la corsa giù per i gradoni, la braccia che si agitavano dentro le maniche grigie della felpa ed il cappuccio che sbatteva sulla schiena, come la criniera di un cavallo scosso, lanciato al galoppo verso il bandierino di un futuro dorato, nel quale il destino si sarebbe tinto finalmente dei colori del trionfo.

Lucchese - Siena: vorrei parlare d’altro, ma immancabilmente ritorno con la mente a quel giorno del 2000. Quando un pareggio valse molto più di una vittoria. Adesso che sono diventato grande vorrei tanto vincere, per riprendere un discorso interrotto dalla partita in casa col Catania dello scorso anno. Una vittoria al Porta Elisa per ricominciare a lottare e per dimostrare a tutti che sappiamo ancora farlo.

Saluti, baci, cordialità e sempre forza Siena!


Mirko

2 commenti:

  1. Felicitazioni vivissime per il parto trigemino !!!! A questo punto lo Strolago di Brozzi potrebbe suggerire a Mirko ulteriori scongiuri per il finale del prossimo racconto !

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Dato che c'è lo Strolago potrebbe anche allungarmi sottobanco una sestina potenzialmente fortunata e i relativi numeri jolly e superstar.
      Mirko

      Elimina