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venerdì 12 settembre 2025

Charlie Kirk

Riceviamo e pubblichiamo.

"Credo che valga la pena accettare il prezzo di alcune morti per armi da fuoco ogni anno, se questo serve a preservare il Secondo Emendamento, che tutela gli altri diritti che ci sono stati dati da Dio".
La recente morte di Charlie Kirk a causa di un colpo di arma da fuoco porta con sé un’amara ironia, soprattutto alla luce delle sue stesse parole: l’affermazione oggi suona profondamente inquietante. 
Considerare la perdita di vite umane come un sacrificio tollerabile è un errore grave: ogni vita persa rappresenta una vera tragedia, non una semplice statistica o un prezzo da pagare. La morte di Kirk ci ricorda che la violenza armata non è un problema astratto, ma colpisce persone reali, anche chi sostiene posizioni simili sulle armi. Questo evento ci invita a riflettere su come la retorica influenzi la sicurezza pubblica e il valore che attribuiamo alla vita. Invece di accettare le morti per arma da fuoco come danni collaterali inevitabili, le società devono impegnarsi a proteggere tutti i cittadini e a ridurre i danni prevenibili. Nessuna morte dovrebbe essere considerata "accettabile". Dobbiamo lavorare per politiche che mettano al primo posto la dignità umana e la vita.
Questa America conservatrice e misogina, che sostituisce la scienza con la Bibbia, dove si crede che il pianeta abbia seimila anni, che il diluvio universale sia un fatto storico, che la teoria dell’evoluzione sia un’invenzione di Satana e che le armi siano le fondamenta della società.
Charlie Kirk non era propriamente il prodotto di questa cultura - era colto, scaltro, mediaticamente abile - ma è stato uno dei suoi più fedeli pretoriani: ben pagato per diffondere nei campus americani l’ideologia trumpista, travestita da libertà.
E alla fine, quella stessa ideologia lo ha inghiottito.

Dario Castagno

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