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giovedì 15 febbraio 2024

Melancholia, è il momento

Adoro Lars von Trier. Lo idolatro come un genio, un artista che mi smuove roba profondissima, che entra nel cuore e nel cervello della gente come pochi altri sanno fare.


Fra i suoi film, che ho tutti divorato pian piano negli anni, ho due picchi: Antichrist (uno dei film più belli, duri ed onirici mai prodotti da essere umano) e Melancholia. Anche se Melancholia...

Melancholia è parola che viene dal greco antico: melas + kolè, nero + bile. Il termine è usato da Ippocrate, nella sua teoria degli umori: il grande medico riteneva che l'umore nero fosse la causa dell'alterazione dello spirito che diventava cupo e triste. Si delineava così una tristezza profonda, lacerante, inesprimibile. Visualizzata probabilmente solo dalle espressioni corporee, in assenza di parole.

La locandina del film vede una meravigliosa Kirsten Dunst (Justine nel film) immobile galleggiare nell'acqua sulle ninfee, in uno spettacolare rimando al celebre quadro Ofelia di John Everett Millais. Justine, come Ofelia, è di una bellezza metafisica, ma marmorizzata dal dolore. Gli occhi vitrei, spenti, morti, carichi di un dolore che diventa sofferenza che diventa follia. Ma non c'è disperazione, non c'è passione, non c'è vita: queste se le è come portate via l'acqua, che scorre lenta sotto i corpi delle donne.

Perchè scrivo queste righe? Perchè Melancholia è arrivato fra di noi, forse già da qualche tempo.

Nel film, Melancholia è anche il nome di un pianeta che, piano piano, si avvicina alla terra fino a schiantarsi contro di lei, mentre Justine rivela al nipotino che "il mondo è cattivo". 

Sì, il mondo è cattivo. Lo si vede oggi, nelle inutili perdite di vite umane per volontà di demoni che si annidano fra di noi, di alieni che si nutrono di morte e dolore. In mezzo a milioni di esseri malinconici, che rincorrono un amore che non c'è più, flottanti nell'acqua che scorre in attesa di esserne consumati.

Esiste salvezza? Probabilmente sì. E ce lo spiega proprio von Trier attraverso il personaggio di Justine, che, dopo il calvario della depressione invalidante, attraverso l'abbraccio alla natura e l'approssimarsi della fine riprende vita, forza, in tutt'uno con la terra. Justine ricusa il mondo delle convenzioni, un marito amorfo, una famiglia folle, una sorella iper-razionale, un cognato fanatico della scienza. In un finale in cui il mondo letteralmente crolla, una Justine disarmante e disarmata ammette di sapere le cose. Justine sa, conosce, ha arti divinatorie. Sapeva che il mondo sarebbe finito a breve, che l'apocalisse sarebbe arrivata.

Nelle ultimissime scene del film, mentre il pianeta Melancholia si schianta sulla terra, Justine è in piena padronanza di sé, la sua sofferenza si placa nell'avverarsi di un evento tragico. Probabilmente è ciò che capiterà a qualcuno di noi.

4 commenti:

  1. La fine del mondo con «Melancholia»
    Lars von Trier ha dichiarato ai quattro venti la sua «guarigione». Non è più depresso. Ne siamo contenti, ma vorremmo sapere che film avrebbe fatto nel caso la cura non avesse avuto esito, visto che Melancholia comincia come Festen (dove naturalmente si sprecano le bordate contro la borghesia, i suoi riti e i suoi disvalori) ma continua come Armageddon. E senza missione spaziale per evitare la collisione interplanetaria. Il fatto è che Lars von Trier sembra ormai prigioniero di se stesso e del proprio personaggio, un po’ provocatore un po’ iettatore, e per raccontarci di depressione e legami familiari finisce per immaginare addirittura la fine del mondo. Tanto che parlare di montagna che partorisce un topolino sembra persino esagerato. Peccato, perché qui conferma il proprio originalissimo talento visivo e la capacità di cogliere l’insoddisfazione dell’esistere, sia che si riveli come tradizionale depressione (è il caso della promessa sposa interpretata da Kirsten Dunst) sia come sogno di onnipotenza casalinga, quello di controllare tutto tra le mura domestiche inseguito dalla sorella Charlotte Gainsbourg. È chiaro che, come Malick, anche von Trier pensa in grande e non si accontenta di riflettere sul destino del singolo. Ma il quadro apocalittico che offre allo spettatore non è fatto di domande e interrogativi (come nel film del regista americano) ma di affermazioni apodittiche (come troppe volte nelle sue opere passate) che non trovano nelle immagini messe in campo una vera necessità. Tutti e due i film passano dal particolare all’universale, dal piccolo all’immenso, ma se The Tree of Life lo fa perché spera di trovare nella Storia del Mondo la risposta ai propri dubbi e usa la forza immaginifica del cinema per dare loro una forma, in Melancholia le immagini dei pianeti hanno lo stesso ruolo di un qualsiasi effetto speciale fantascientifico. Invece dei dischi volanti o dei marziani, adesso ci «invade» una sfera celeste e per rendere ancora più solenne questa specie di funerale dell’umanità ecco in sottofondo la musica del Tristano. A Woody Allen sentire Wagner metteva voglia di invadere la Polonia, ma dopo Melancholia le note del Ring rischiano di colorarsi anche di una «simpatica» vena iettatoria. Anche Naomi Kawase non sembra avere un’immagine molto allegra della vita ma in Hanezu (espressione poetica risalente all’ottavo secolo che indica un certo tipo di rosso) non si nasconde dietro i simboli e le tradizioni animiste, che pure cita. La disperazione che mette in crisi il legame tra una donna e un uomo rimanda all’incapacità dell’essere umano di dare ascolto alle domande della Natura ma anche al fatalismo dell’uomo di fronte alle «richieste» della donna. E alla troppo supina rassegnazione di fronte ai «desideri» dei genitori. Temi eterni, che mescolano tradizione e cultura e che la regista declina con un andamento sospeso e sognante, che finisce per produrre immagini di raffreddata bellezza visiva.

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    1. Allora, bel commento anzitutto. Von Trier è iper divisivo, per cui è assolutamente normale che crei dibattito, spesso assai polarizzato. Mi pare di capire che non hai gradito il tema della fine del mondo con collisione inclusa, però a me pare che l'evento, immaginifico e fantascientifico, leghi molto la trama ed i personaggi. Certo, il tutto può risultare bizzarro: è Von Trier, prendere o lasciare. Al-Mutanabbi

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    2. Il commento è del mitico Mereghetti. Non mio. Iena, chiamatemi iena.

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    3. Beh oddio, che fosse un commento di una persona non ipo-dotata lo avevo capito. Me ne dai conferma. Grazie comunque. Al-Mutanabbi

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