Ci sono dei momenti, nella vita di un uomo, che rappresentano un bivio. Bivio che va affrontato. Ecco, quello di stasera per me è un bivio.
Oh, niente di drammatico, eh. Anzi! Vo a vedere i Depeche Mode!
Capita a tutti noi di essere accompagnati da qualche musico fin dall'infanzia. Musico che, appunto, ci prende da piccini e pian pianino, nel corso degli anni, ci segue nelle nostre evoluzioni. Chiaramente, bisogna essere suppergiù della stessa età, se no il giochino non funziona.
La mia generazione, da questo punto di vista, è stata fortunatissima, avendo potuto contare sul fior fiore dei musici, a partire dagli anni '70 in su. Io ad esempio sono cresciuto a suon di Mina e Battisti, fin dalla più tenera età. Mentre in tv passavano i Pink Floyd, gli Who, eccetera eccetera. I ragazzi di oggi mi fanno tristezza, in questo senso.
Da grande appassionato di fantascienza, da infante mi appassiono all'elettronica, ben sapendo che un giorno, con quella musica di sottofondo, una nave aliena mi avrebbe prelevato per portarmi nello spazio, in cerca di avventure. Senza sapere bene chi fossero, mi innamoro dei Kraftwerk e di Jarre, oltre che (chiaramente) di Francone.
Sarà stato sicuramente un giorno d'estate quando sento per la prima volta i Depeche Mode alla radio...
1981 - "Speak & spell". All'età di 11 anni mi folgora "Just can't get enough". Con i miei amici iniziamo a capire chi fossero questi Depeche Mode, fino a quando un giorno, nei primi video musicali che avrebbero da lì a poco invaso il nostro mondo, non li vedo in tv. Quattro ragazzini, fra cui uno che ballava come un forsennato, uno biondino effemminato, uno coi capelli ritti ed uno alto alto. Il tempo correva veloce, ma questa canzone restò nell'aria per mesi. Ed io, ancora oggi, quando sono un po' giù, la ascolto come toccasana.
1982 - "A broken frame". Passa solo un anno ed i quattro ragazzini si risentono. Ascolto "Nothing to fear", che ancora oggi probabilmente resta il migliore brano strumentale del gruppo. Entro in un universo di sintetizzatori, tastiere, suoni celestiali. Eppure... Non so, c'era qualcosa, in sottofondo, che stava venendo alla luce. Qualcosa di oscuro, di profondo. Ma io avevo 12 anni e la vita mi scorreva davanti a grandissima velocità.
1983 - "Construction time again". Bene, ormai I Depeche Mode non erano più una delle tante meteore che agli inizi degli anni '80, dove anche la musica segnava il disimpegno dell'essere umano, apparivano e sparivano nel panorama musicale in poche settimane, magari dopo un grande successo. Ecco arrivare "Everything counts", ecco i ragazzi fare la loro comparsa nelle tv italiane come ospiti (memorabile quella con Mike Bongiorno). Con i miei amici ascoltiamo questa canzone e tentiamo di decriptare il testo: un contratto fatto in Corea, ma insincero, mentre le mani afferranti afferrano tutto ciò che possono, in un mondo competitivo???
1984 - "Some great rewards". A 14 anni si fa finta di capire di più, ma non si capisce un cazzo. Però arrivano le superiori, le prime cittarelle, gli amici che cambiano. Ed arriva il vero giro di vite dei Depeche Mode. Che, in poco tempo, diventano neri, gotici, abbracciano sonorità oscure, parlano di tematiche pesantissime. "People are people", "Master and servants", "Blasphemous rumors", ecco la triade che piomba su una intera generazione, dedita al divertimento, e la mette con le spalle al muro. Vogliamo parlare di sadomasochismo, razzismo e soprattutto di ragazzine che si tagliano le vene o restano attaccate ad una macchina in coma? Inizia qui il mio forte legame con i Depeche Mode. Ma ne volevo sapere di più.
1986 - "Black celebration". Ed eccoci qua alla fine di questo piccolo racconto. I Depeche Mode sono ormai una consolidata realtà della musica elettronica degli anni '80. Non si capisce bene cosa suonino: industrial blues, elettronica, tecno-pop; o forse tutto, tutto insieme. I testi sono devastanti, si sconfina nel pre-satanico, si parla di morte come per le mosche spiaccicate sul parabrezza. Molti di noi si vestono di nero, io in prima liceo mi esibisco spesso nella versione di "Stripped", sopra il banco nell'intervallo.
Da qui in poi, su queste basi, i Depeche Mode mi hanno costantemente accompagnato. Ogni album è stato per me una goduria. Fino alla morte di Andy, che fra tutti era quello per me più simpatico. Nessuno sa bene cosa suonasse Andy (ok, le tastiere con due dita, ma sarà vero?), ma tutti sanno che se i Depeche Mode sono arrivati fino ad oggi, molto è merito suo. Facendo da cuscinetto fra un drogato (morto tecnicamente per due volte, di cui una per qualche minuto) ed un alcolizzato cronico, distrutto anch'egli dalla depressione, Andy non ha mai mollato, con la sua calma e la sua bontà. Fino a che un malore (già...) lo ha ammazzato ormai due anni fa.
Io lì per lì, alla zitta, sono crollato. La morte dei Depeche Mode, mi ero sempre detto, sarebbe stata anche la mia morte. Ma i Depeche Mode, forti anche di un album già fatto, non si sono sciolti ed anzi, anche in nome di Andy, hanno continuato, fino a questo tour, che raccoglie un ultimo disco per me meraviglioso. Ho molto aspettato prima di andare al concerto, perché non sapevo se accettare o no di vedere i DM senza Andy sul palco. E perchè tutti noi, amanti dei DM di una certa età, vedendoli così ci dobbiamo confrontare con il tempo che scorre e con la vecchia con la falce che prima o poi arriva per tutti, anche per i nostri miti.
Però, come mi dicono in tanti, di qualcosa si deve morire e quindi stasera io sarò a sentire i Depeche Mode. In un rito di fine definitiva dell'età giovanile, sebbene qualche canzone mi ricorderà quei bei momenti passati a ballettare sul banco della prima C. Francamente dopo non so cosa succederà. Sicuramente mi risveglierò più vecchio, come Noodles che torna alla stazione dei treni di New York. Con una domanda.
"Will I always be here?".
Bellissimo.
RispondiEliminaTenkiu. Al-Mutanabbi
EliminaInsomma, sempre a parlare male degli inglesi e poi fate la fila per andare ad ascoltarli.
RispondiElimina❤️
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