Il canale youtube di wiatutti!

domenica 10 ottobre 2021

La domenica di Franco. Come un cammello in una grondaia

Ok, questa è sì una perla, ma non nascosta. Tuttavia...


Tuttavia, dopo una buona esposizione al momento della pubblicazione dell'omonimo album del 1991, questa meraviglia è rimasta subito in retrovia, salvo poi rarefarsi mentre gli anni passavano. Eppure - e lo vedremo - mai come oggi la canzone risulta attuale. L'album, nella prima parte, comprendeva altre tre composizioni, che sono divenuti masterpieces senza tempo: "Povera patria", "Le sacre sinfonie del tempo", "L'ombra della luce": ovvio essere parzialmente oscurati da tanta beltà... In più, nella seconda parte, quattro lieder del '700-'800, seppure poco ascoltati, fecero molto parlare, in quanto assoluta sorpresa (e pensiamo unicum) per essere stati inseriti in un album di musica pop. Ecco quindi le ragioni della messa in secondo piano di questa perla.

Siamo nel pieno del periodo cosiddetto mistico di Battiato, quello del barbone che gli faceva assumere una tipica facies di origine arabo-turcomanna (le somiglianze ad esempio con qualche califfo ottomano ottocentesco sono imbarazzanti) e della rigorosità musicale, alla ricerca dell'essenza con relativa messa al bando dell'elettronica tanto cara al nostro cantautore, tranne un piacevole sottofondo di tastiera del grande Filippo Destrieri. "Come un cammello in una grondaia" quindi si regge tutto su una melodia ariosa e di grande apertura della squadra di archi (viola, violoncello, violino), che per due terzi del brano disegna un'aria che accompagna al millimetro il testo battiatesco (ascoltate ad esempio lo scoppio degli archi dopo aver parlato di ali per abbandonare il pianeta, quasi che le stesse si fossero dischiuse per alzarsi in volo). Fino agli ultimi secondi finali, in cui gli archi si acquietano e prende corpo un sibilo di fiati, sommesso e triste, mentre nel video del tempo si vedono i traccianti luminosi dell'esercito iracheno sopra il cielo di Baghdad sotto bombardamento. Un'immagine che, sotto l'ascolto della canzone, fa commuovere anche oggi, a distanza di tanto tempo.

Il testo, dicevamo, è clamorosamente attuale. Il titolo del brano è una citazione del filosofo persiano del 1100 Abu Rayhan al-Biruni, che usava l'espressione per rappresentare la inadeguatezza della propria lingua nel descrivere argomenti di carattere scientifico (oggi abbiamo Burioni e quindi il problema è risolto). Le prime due strofe delineano strepitosamente bene la mia condizione odierna, in stile cammello su una grondaia, che tenta di destreggiarsi in una società capovolta, ma autoproclamatasi illustre ed onorata, in attesa di un paio di ali che servano per abbandonare il pianeta. Una poesia, che tratteggia in poche righe il senso di inadeguatezza, incomunicabilità, precarietà dell'essere umano in una società malatissima. Tanto malata che le ali potrebbero essere non solo metafisiche, ma reali, se davvero servissero a farla finita ed allontanarsi dal male, dalla violenza, dalla guerra. E proprio di male, violenze e guerra parla il resto della canzone. Sofferenza terrificante ma sfumata, per cui ancor più pericolosa; perpetrata da individui che fingono di pregare e che per questo si portano dietro masse di persone, tentate a rispondere con la violenza a violenza, in quanto poco furbe. Fino a giungere ad un cumulo di pene ed inutili dolori, che rendono il cielo pesantissimo come il piombo, una cappa che il finale della canzone descrive talmente bene che la si sente come veramente posata sulle nostre spalle.

Splendida, struggente, tristissima.

Nessun commento:

Posta un commento