I testi di Manlio Sgalambro a tanti possono apparire secchi, didascalici, decisi. Ebbene, lo sono. Soprattutto in questa canzone.
Quando ascoltai per la prima volta "Memorie di Giulia" (in macchina, con cd nell'autoradio), rimasi di stucco, fra il sorpreso e l'incazzato. Ma come, per due terzi di brano si ricorda la povera Giulia e poi...
Ma via via, nel riascolto e poi negli anni a venire, contestualizzai la canzone nella prosa "bestiale" di Sgalambro, quella poco propensa alle smancerie ed ai buonismi. Fino a rivalutarla totalmente ed accettarla come un dipinto di storia vera, corporea, materiale.
All'interno dell'album "La cura" il pezzo è un unicum, essendo l'unico autobiografico, in relazione alla vita di Sgalambro. Si parla del rapporto con una giovanissima Giulia, che viene dipinta come un essere dolce, quasi angelico. Si percepisce il rispetto, l'amore e l'autocelebrazione del ragazzo Sgalambro, che evidentemente aveva trovato una bella fidanzatina, tanto da rendere invidiosi i concorrenti. Era gioioso Sgalambro, gioioso di condividere molti momenti decantati in maniera quasi aulica con Giulia, gaia e ridente. Insomma, Giulia come una icona del modello di bellezza femminile, come nel corso dei millenni tanti poeti e cantanti hanno citato nei loro componimenti.
La musica, dolce e sinuosa, accompagna la descrizione sgalambriana con un giuoco virtuoso di archi, i violini fanno la parte del leone, con inserti di pianoforte, di oboe e flauto. Insomma, una partitura lenta, sulla quale la voce di Battiato interpreta al meglio il sentimento verso Giulia, quasi sussurrando le parole del testo.
E poi... Tre colpi di percussione, i violini che accelerano ed incalzano il cantato, Battiato che alza la voce, Sgalambro che ci dice la verità, in merito al precoce post mortem di Giulia. La vita lo aspettava, impaziente. Lui aveva diciassette anni, il vento frizzante del mattino aveva già portato via ogni cosa. Il ricordo di Giulia era sparito, all'istante. La vita, la gioventù, l'energia, il richiamo del corpo: queste erano le nuove priorità. In pochi secondi la canzone si rovescia, si percepisce la fretta di cambiare e dimenticare, pur nel rispetto della morte della fidanzata. Il tempo passa, le occasioni vanno sbranate, a Giulia si penserà poi, quando si avrà occasione di ritrovare in un cassetto la sua foto sbiadita. Tanta è la potenza dell'ultima parte della canzone, che parte un assolo di chitarra, suonata dal grande David Rhodes, che interpreta al meglio l'anima rock dell'album. La voce di Battiato pian piano svanisce, come portata via, anch'essa, dal vento frizzante del mattino.
Una canzone "classica", come la definì Battiato. Ma che classica non lo è affatto, nella franchezza della volontà di vivere del protagonista, anche a costo di dimenticare chi non c'è più. Non siamo ipocriti, in fondo tutto ciò ci pare molto umano.
Il radiogrammofono che prendeva tutto
Quando ti portavo in quel caffè
"Prego, fragole con panna", dicevo
E superbo ti guardavo
Mentre l'altro mi ricambiava con disprezzo
Sogghignando verso te
E la tua foto che portai tanti anni addosso
Prima che un cassetto l'accogliesse e la sbiadisse
Seppi della tua morte
E rividi i tuoi boccoli
E sul tuo viso la sorte
La mia memoria trae fuori i ricordi da un cappello
Senza che io sappia perché questo e non quello
Si dormiva tutti e tre
Io, tua madre e te nello stesso letto
Ma che innocenza, che santa trinità
Era un gesto d'affetto e di rispetto
O memoria perché mi inganni
Perché come se fossi vento
Mi butti questa polvere negli occhi
Accarezzavo le tue ginocchia
E il tuo semplice cuore era contento
Ho avuto delle gioie, sì
Ti ricordo così, povera Giulia, gaia e ridente
Mentre il vento frizzante del mattino
Si portava via ogni cosa
Avevo diciassette anni
Impaziente mi aspettava la vita
Mentre il vento frizzante del mattino
Si portava via ogni cosa
Avevo diciassette anni
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